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 2022  gennaio 05 Mercoledì calendario

La Gig Economy conta 570 mila impiegati

A far tramontare definitivamente la tesi per cui i lavori su piattaforma digitale sarebbero “lavoretti” svolti da una ristretta nicchia solo per arrotondare i propri guadagni ci pensa un report diffuso ieri dall’Inapp. Secondo l’Istituto pubblico di ricerca, infatti, nell’ultimo biennio in Italia abbiamo avuto oltre 570 mila “platform worker”, e per metà di questi tale attività costituisce la principale fonte di reddito. Un pianeta, che ormai non può più essere definito “gig economy”, formato com’è dai rider del cibo a domicilio per il 36%. Poi ci sono gli addetti alle consegne di pacchi, i lavoratori domestici e una fetta molto ampia – il 34,9% – che esegue compiti online, per esempio traduzioni. Più che creare nuove professioni, le piattaforme sembrano essere diventate uno strumento per dedicarsi ai mestieri tradizionali. I diritti, però, stentano a essere riconosciuti: solo l’11,5% ha un contratto da dipendenti; 9 su 10 sono inquadrati come autonomi, sebbene – dice l’Inapp – molti siano “subordinati mascherati”. Anche perché le prestazioni sono soggette a valutazioni con criteri che vanno dal numero di incarichi svolti (per il 59,1%) alle recensioni dei clienti (42,1%). E le conseguenze dei cattivi feedback possono comportare la perdita di incarichi più redditizi (40,7%), il peggioramento degli orari (25,2%) o addirittura, in casi meno frequenti, il mancato pagamento o l’esclusione dalla piattaforma. L’Ue sta discutendo una direttiva che tenderà a imporre alle piattaforme di assumere e tutelare i loro lavoratori.