Corriere della Sera, 5 gennaio 2022
Intervista al fotografo Uli Weber
Eugen Dollmann, l’interprete nei colloqui tra Adolf Hitler e Benito Mussolini, sosteneva che «non bisogna mai tornare dove si è stati felici», e lui era talmente innamorato dell’Italia da prendere casa a Roma, in piazza di Spagna. Anche il fotografo Uli Weber, nato a Ulm, adora la Città eterna: da ragazzo ci abitò per tre anni. Solo che adesso, nonostante abbia un appartamento a Londra e uno a Berlino, ha scoperto di poter essere felice proprio nel Belpaese. Di più: s’è comprato «un palazzotto» a Salve, nel Salento. Di più: ha cominciato a scoprire le contrade più remote per Italia nascosta, «working title, vedremo se alla fine si chiamerà così», un volume curato da Paola Colombari, la sua gallerista italiana, che sarà edito da Rizzoli New York. Di più: stravede per il risotto alla pescatora e beve Amarone. Inevitabile che qui trovasse anche l’amore. La sua compagna è la veronese Federica Zanella, deputata della Lega, venuta al mondo nella Maternità dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar, in Valpolicella. Ma farlo parlare di questo colpo di fulmine è più arduo che interrogare una statua di san Giovanni Nepomuceno, il martire del silenzio annegato nella Moldava.
Ivan Shaw, il direttore della fotografia che lo arruolò per Vogue America, l’ha paragonato nientemeno che a Henri Cartier-Bresson. I ritratti delle celebrity, apparsi anche su Sunday Times Magazine, Observer, Tatler, Elle, Mixmag, Style, Marie Claire e GQ, sono la specialità di Weber. Davanti al suo obiettivo hanno capitolato i cantanti Sting e Kylie Minogue; la supermodella Kate Moss; gli attori Eddie Redmayne, Kristin Scott Thomas, Helena Bonham Carter, Rachel Weisz, Damian Lewis, Stephen Fry, Matthew Goode, Mark Strong; il soprano Cecilia Bartoli; gli stilisti Dolce e Gabbana e Donatella Versace; l’architetto Oscar Niemeyer; il pilota Stirling Moss, leggenda della Formula 1; la cavallerizza Zara Phillips, figlia della principessa Anna: «La regina Elisabetta II mi ha ringraziato per il ritratto della nipote, apparso nel mio libro The Allure of Horses».
Belle anche le foto del designer Achille Castiglioni su «Architektur & Wohnen».
«Era già ottantenne, sarebbe morto di lì a poco. Mi accolse con un Campari nello studio di piazza Castello a Milano. Adoro la sua lampada Frisbi».
Irriconoscibile Patrizia Reggiani, in trono sulla copertina dell’«Observer».
«Un ritratto preparato in casa di suoi amici, dopo che aveva scontato la pena per l’omicidio del marito Maurizio Gucci. È una signora che vive ancora negli anni Ottanta. Mai diresti che c’entri con un delitto. S’è fidata. E non mi ha chiesto di spianarle le rughe con Photoshop».
Succede?
«Come no! Preferisco lavorare sui colori, sulla saturazione. Un file digitale Raw è zeppo d’informazioni, ma molto flat, piatto. Bisogna un po’ aggiustarlo».
Come si diventa ritrattista delle star?
«Devi essere bravo. Con me si sentono a loro agio. Forse perché non soffro di ipertensione e non sono nervoso».
A che età si trasferì a Roma?
«A 19 anni. Presi in affitto l’alloggio lasciato da una studentessa della Gregoriana, figlia di un pastore evangelico».
Una protestante che frequenta un’università pontificia. Interessante.
«I fratelli di mia madre, che ha 90 anni, erano gli scalpellini addetti al campanile del duomo luterano di Ulm, il più alto al mondo, 162 metri. Invece mio padre, cattolico, non andava in chiesa».
La prima foto?
«Un ritratto di famiglia con la Voigtländer di papà. La mamma lo conserva ancora nel suo album. Avevo 7 anni».
Quando ebbe una macchina tutta sua?
«Con le mance ricevute il giorno in cui mi accostai alla prima comunione. Era una Minolta XG2».
Oggi che cosa adopera?
«La Fuji GFX 100S. Avevo la Hasselblad, ma a Barcellona me l’hanno rubata».
Da chi le fu pagata la prima foto?
«Dalla Seat. Non c’erano auto. Solo una coppia, lui e lei, in bianco e nero».
Ricevette molti soldi?
«Boh, di sicuro so che li spesi. Adesso non mi chieda in quale modo».
Mi legge nel pensiero.
«Cose belle. La mia donna. La vita».
Come si diventa fotografi di «Vogue»?
«Vieni un po’ con me e vedi».
Lei con chi è andato?
«Sono stato assistente freelance di Nick Knight, autore delle copertine dei dischi di Lady Gaga; di Terry O’Neill, il ritrattista di sir Laurence Olivier, dei Beatles e dei Rolling Stones; di Clive Arrowsmith, che ha ritratto il principe Carlo d’Inghilterra, Paul McCartney, Mick Jagger e George Harrison».
Anna Wintour, dal 1988 direttrice di «Vogue», è dispotica come la Miranda Priestly di «Il diavolo veste Prada»?
«Mi pare che il film sia del 2006. Dovrei rivederlo, per non dire sciocchezze».
Molto diplomatico.
«Anna è fantastica. Come lo era Franca Sozzani, che dirigeva Vogue Italia. Non lavori per loro perché ti pagano bene. È un punto d’arrivo, un biglietto da visita».
Ha ancora senso «Vogue»? Ormai è Instagram che detta legge nella moda.
«Sì. Lo avrà sempre. La carta stampata è inimitabile. La guardi, la tocchi».
Il primo divo che le diede fiducia?
«Sting, nel 1994. Era una copertina per Arena, rivista maschile britannica. Indossava una pelliccia finta di Katharine Hamnett, color rosso vivo».
Lavora poco per i giornali tedeschi.
«Ho fotografato Roger Waters, bassista dei Pink Floyd, e Natalia Vodianova, top model e filantropa russa, moglie di Antoine Arnault, erede del patron di Lvhm, il colosso del lusso, entrambi con gli occhi chiusi, per una serie sui sogni giovanili inventata da Die Zeit».
Lo dirige Giovanni di Lorenzo, come lei invaghito del nostro Paese.
«L’Italia è fantastica. Per me è casa. La conosco meglio della Germania».
Da quanto tempo abita in Puglia?
«Nel Tacco d’Italia, vorrà dire. Dal 2006. Stavo per trasferirmi nelle Marche, vicino a Fano. Un cameriere di Dongiò, ristorante milanese, mi parlò del Salento. Lo visitai e ne fui rapito all’istante».
Vicino a Salve c’è la Marina di Pescoluse, che viene paragonata alle Maldive.
«Preferisco le rocce. Esploro in gommone le calette dello Jonio. Ma non le dico quali, sennò ci arriva troppa gente. Ceno spesso con Helen Mirren e suo marito, il regista Taylor Hackford, che abitano a 10 chilometri da me, a Tiggiano».
Non ho visto l’attrice nel suo portfolio.
«Gli amici non devi fotografarli tutti».
Mi parli del volume «Italia nascosta».
«Non sono cartoline postali. Ho già girovagato nel Gargano e in Basilicata, Calabria, Valle d’Aosta, Trentino. Mi hanno colpito molto gli albanesi della Lucania e la cattedrale di Gio Ponti a Taranto».
Dove ha conosciuto la sua metà, la deputata leghista Federica Zanella?
«A pranzo da un amico a Mondello, dopo aver inaugurato la mostra “Blocks” all’Albergo delle Povere di Palermo, curata da Daniela Brignone, dove ho esposto le foto delle celle che c’erano nel quartier generale della Stasi a Berlino».
Parlate mai di Matteo Salvini?
«Non mi occupo di politica italiana. Voto in Germania. Però trovo molto interessante il lavoro di Federica».
Le ha già scattato qualche ritratto?
«Certo. È una bellissima persona».
Si è mai cimentato in nudi artistici?
«Poco. Solo per ricerca fotografica».
Chi le piacerebbe spogliare?
«Sicuramente la mia donna. Non saprei indicarle il nome di una modella».
Ne deduco che Federica è gelosa.
«Siamo tutti un po’ gelosi, no?».
Che cosa pensa dei selfie?
«È bello farseli. Meglio una foto in più che una in meno. Della mia infanzia ho poche Polaroid sbiadite e mi dispiace».
I selfie hanno creato gli influencer.
«Basta non farsi influenzare. Mai scelto hotel consigliati da Chiara Ferragni».
Gli influencer alimentano Instagram.
«È il succedaneo degli album di famiglia. Beato chi ha qualcosa da mostrare».
Un cellulare e si sentono tutti Weber.
«La comodità consiste nell’averlo sempre in tasca. Capita persino a me di usarlo per le foto. Ho fatto pure il testimonial per il lancio del Samsung Galaxy S9».
Come si ottiene una bella immagine?
«Occorre occhio. E un po’ di fortuna, quella cui i Greci dedicavano i templi».
I colleghi italiani che stima di più?
«Giovanni Gastel era un grandissimo. Anni fa avevamo la stessa agente, Carla Ghiglieri, purtroppo se n’è andata anche lei. Poi Paolo Roversi e Luigi Ghirri».
Oliviero Toscani no?
«Ha fatto lavori notevoli per Benetton. Ma se non l’ho citato, significa che non mi è venuto in mente».
Quanto impiega per un ritratto?
«Una giornata intera. O 5 minuti quando la vedettemi dice: “Now or never”».
I vip si fanno pagare?
«A me nessuno ha mai chiesto soldi. Però non è mio compito occuparmi delle trattative, quindi non posso escluderlo».
Il ritratto più difficile?
«Quello di Daniel Radcliffe, l’interprete di Harry Potter, che in “Equus”, la piéce teatrale di Peter Shaffer, abbracciava nudo il cavallo bianco reso famoso da “Surfer”, lo spot della birra Guinness».
Non quello della top model in carcere?
«Le svelo un segreto: l’ho realizzato a Lincoln Castle, prigione vittoriana dismessa nel 1878, trasformata in museo».
Il servizio che le è costato più fatica?
«Tra sudore, freddo e pericolo, un reportage al Polo Nord. Una settimana per arrivarci. Mi lanciai con il paracadute da un Ilyushin 76. L’Antonov 74 dei russi che mi riportò a Chatanga dovette atterrare su una sottile pista di ghiaccio».
E se non fossero venuti a recuperarla?
«Li ho pagati soltanto al ritorno. Sono mezzo italiano, mica mezzo fesso».