La Stampa, 5 gennaio 2022
Le dieci guerre del 2022
Se ci fermassimo ai numeri le cose sembrerebbero andare meglio, nonostante tutto. In un mondo piegato dalla pandemia e dai conflitti sociali, dopo un 2021 che ha visto il trionfo dei taleban in Afghanistan, le stragi in Etiopia, la crisi climatica che non si riesce – e non si vuole – fermare, le emergenze umanitarie, i numeri dei morti in guerra stano calando.
Se ci fermassimo ai numeri, e confrontassimo quelli dei morti in guerra dell’anno appena passato con quelli, ad esempio, del 2014, quando la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti iniziò a bombardare l’Isis in Siria e in Iraq, potremmo pensare di vivere in un periodo di relativa pace, con il numero di conflitti ad alta intensità in diminuzione. Nonostante il presidente russo Putin minacci l’Ucraina, gli Stati raramente entrano in guerra tra loro, raccontano le statistiche dell’Uppsala Conflict Data Program. I conflitti locali, insomma, infuriano più che mai, ma tendono ad essere di minore intensità. Per la maggior parte, le guerre del XXI secolo sono meno letali di quelle del XX secolo.
Ma le morti in battaglia, dopotutto, raccontano solo una parte della storia.
Il conflitto yemenita, ad esempio, uccide più persone della guerra, soprattutto donne e bambini, a causa della fame o di malattie. Milioni di etiopi soffrono di grave insicurezza alimentare e i combattimenti che coinvolgono gli islamisti nel Sahel non provocano migliaia di morti, ma milioni di sfollati. Ed è solo l’inizio: le guerre e i conflitti civili stanno costringendo alla fuga milioni di persone, costrette a lasciare i loro Paesi d’origine, soprattutto Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Birmania.
È questo lo scenario dipinto dal rapporto 2022 dell’International Crisis Group, che ha individuato i dieci conflitti più pericolosi di oggi e altrettante opzioni per evitare il disastro. Dall’Ucraina a Taiwan, «le correnti sotterranee in moto nel 2021 - si legge nel rapporto -, quest’anno potrebbero facilmente peggiorare». I conflitti più pericolosi di oggi, siano essi Ucraina, Taiwan o lo scontro con l’Iran, riguardano in qualche modo il mondo che lotta per un nuovo equilibrio, con gli Stati Uniti «più prudenti» e i rivali che cercano di vedere fino a che punto possono spingersi. Gli Stati si scontrano in guerre per procura, che Russia e Turchia che mantengono relazioni cordiali nonostante sostengano le parti in competizione nei conflitti siriano e libico. Gli Stati si fanno la guerra anche quando non scendono in trincea, con attacchi informatici, campagne di disinformazione, interferenze elettorali, coercizione economica e strumentalizzazione dei migranti. Il rischio è che «gli scontri locali accendano incendi più grandi».
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Etiopia
Oltre un anno di combattimenti tra l’esercito federale di Abiy e le forze della regione settentrionale del Tigray hanno fatto a pezzi il Paese. Il conflitto ha già ucciso decine di migliaia di persone e sradicato milioni di etiopi dalle loro case. Tutte le parti sono accusate di atrocità e gran parte del Tigray, a cui le autorità federali hanno negato gli aiuti, rischia la carestia. Dei 6 milioni di tigrini 5,2 milioni stanno facendo la fame. Senza una tregua e aiuti umanitari immediati gli spargimenti di sangue e la fame continueranno, con terribili conseguenze per gli etiopi e, potenzialmente, per tutta la regione.
Afghanistan
Se il 2021 ha chiuso un capitolo della tragedia dell’Afghanistan, ne sta iniziando un altro. Dopo la presa del potere da parte dei taleban ad agosto, oggi si profila la catastrofe umanitaria. I dati delle Nazioni Unite suggeriscono che milioni di bambini potrebbero morire di fame, mentre il mondo risponde ai taleban congelando i beni dello Stato, interrompendo gli aiuti al bilancio e imponendo sanzioni. Secondo gli analisti di Crisis Group, gli Stati Uniti e l’Occidente dovrebbero riconoscere il governo taleban e sostenere il sistema sanitario ed economia. L’alternativa è lasciar morire gli afgani, compresi milioni di bambini.
Usa-Cina
La strategia di Biden in chiave anti-Cina, prevede che gli Stati Uniti rimangano la potenza dominante nell’Indo-Pacifico, dove la capacità militare di Pechino è aumentata a dismisura. Xi, dal canto suo vuole una sfera di influenza in cui i suoi vicini siano sovrani ma deferenti e considera il dominio della catena di isole che si estende dalle Curili a Taiwan come vitale per la sua crescita e per la sua ambizione di essere una potenza navale mondiale. L’escalation di tensioni tra le due superpotenze condiziona - in senso peggiorativo - le relazioni globali. —
Iran
Il rischioso conflitto tra Teheran e Washington durante la presidenza Trump pareva essere finito. Ma sebbene Teheran non si sia ritirata unilateralmente dall’accordo come invece ha fatto Trump, il mancato ripristino dell’accordo nei prossimi mesi potrebbe mettere in crisi l’intesa originale, proprio mentre l’Iran continua ad andare avanti nel suo programma di arricchimento dell’uranio. Il fallimento dei negoziati in corso è una possibilità concreta, ma sarebbe un disastro e il programma nucleare iraniano continuerebbe senza ostacoli.
Yemen
I ribelli Houthi hanno ormai circondato il governatorato di Marib, ricco di petrolio e gas. A lungo sottovalutati come forza militare, i ribelli sembrano condurre una campagna multifronte e in continua evoluzione. La presa di Marib, ultimo baluardo del governo Hadi nel Nord, segnerebbe un cambiamento epocale nella guerra, con un una vittoria economica oltre che militare. Ma chiunque speri che una vittoria Houthi preannunci la fine della guerra si illude. Nello Yemen meridionale, le fazioni anti-Houthi al di fuori della coalizione di Hadi ( i separatisti sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti) continuerebbero a combattere.
Israele-Palestina
L’anno scorso è scoppiata la quarta e più distruttiva guerra Gaza-Israele in poco più di un decennio, dimostrando ancora una volta che il processo di pace è morto e una soluzione a due Stati sembra meno probabile che mai. L’innesco di quest’ultimo conflitto è stato l’occupazione di Gerusalemme Est. La novità è che i palestinesi, per la prima volta da decenni, hanno superato la loro frammentazione unendo le voci in Cisgiordania, Gerusalemme Est, Gaza e Israele stesso. Tuttavia, la sostanza non cambia: il nuovo governo post-Netanyahu continua ad espandere gli insediamenti.
Haiti
La nazione caraibica è stata a lungo tormentata da crisi politiche, guerre tra bande e disastri naturali. Tuttavia, lo scorso anno si distingue per molti haitiani come particolarmente difficile e nessuno si aspetta un 2022 migliore. A luglio sicari hanno assassinato il presidente Jovenel Moïse nella sua casa, ad agosto un terremoto ha distrutto gran parte del Sud dell’isola, mentre le gang ostacolavano i soccorsi internazionali. Ma sebbene la crisi umanitaria peggiori di giorno in giorno, gli haitiani non vogliono nuova missione di pace delle Nazioni Unite, per non parlare dell’intervento militare degli Stati Uniti.
Sahel
Dal 2017, quando lo Stato Islamico ha perso il suo califfato in Medio Oriente, l’Africa è stata teatro di alcune delle battaglie più feroci tra Stati e jihadisti. La presenza islamista nel continente non è una novità, ma negli ultimi anni sono aumentati i conflitti legati allo Stato Islamico e ad Al Qaeda, in una spirale di sangue la cui portata si è estesa dal Nord del Mali fino al Niger e al Burkina Faso. Gli sforzi internazionali di costituire eserciti indigeni sono falliti, e l’approccio militare ha per lo più generato altra violenza. L’unica strada sembrerebbe quella di preparare colloqui con le milizie.
Birmania
Dopo aver rinchiuso i loro rivali in prigione - tra cui Aung San Suu Kyi - i generali si stanno muovendo per modificare le regole elettorali a loro favore e indire un voto nel 2023 che, secondo i sondaggi, porterebbe a un governo-farsa sostenuto dai militari.
Il costo umano della situazione di stallo è devastante. L’economia è in caduta libera, la valuta nazionale è crollata, i sistemi sanitari e di istruzione sono crollati, si stima che i tassi di povertà siano raddoppiati dal 2019 e metà di tutte le famiglie non possono permettersi cibo a sufficienza.