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 2022  gennaio 04 Martedì calendario

Intervista alla direttrice d’orchestra Oksana Lyniv

«Spero che tutto questo un giorno sarà Storia e che le donne nel mio lavoro abbiano le stesse opportunità» dice Oksana Lyniv. C’era una volta l’ultimo regno incontrastato dell’uomo: il podio del direttore d’orchestra col suo fascino di magnetismo, autorità, mistero. In fondo è la professione di uno che muove l’aria, producendo suono. Il Karajan femminile si chiama Oksana Lyniv. Il Guardian le ha dedicato la prima pagina, perché è la prima direttrice musicale di una Fondazione lirica in Italia: il Comunale di Bologna, debutto il 14 gennaio. Il New York Times l’ha inserita tra le migliori sorprese del 2021. Ucraina, 44 anni il 6 gennaio, è la donna che infrange i tabù: è stata la prima (dopo 176 uomini e 145 anni) che ha diretto al Festival di Bayreuth, a luglio, nel tempio wagneriano. È una combattente dei diritti femminili, ma senza elmetto: usa la forza del talento. 
Bologna è da sempre avamposto del nuovo nella lirica. 
«Non avevo realizzato di essere la prima a ricevere un incarico del genere, e nel Paese che ha inventato la musica. In qualche modo sto facendo la Storia! Sono onorata di far parte di un cambio epocale». 
Obiettivi? 
«Fra i tanti, quello di portare i giovani a teatro. Le prime produzioni? Yolantha e Andrea Chénier. Tra opera e sinfonica, accanto agli italiani, porterò Ciajkovskij, Bruckner, Strauss, l’ucraino Boris Lyatoshinsky, Wagner...». 
Ricorda gli inizi? 
«Difficili. Alle masterclass mi sono sentita dire: chi te lo fa fare, non avrai mai il successo di noi uomini. Maschi direttori e insegnanti. Ero sola, non c’era modo di avere consigli e confrontarmi con una collega. Un giorno mi dissi: non importa se non andrai lontano, fai ciò che ami e sii te stessa. Ora vedo molte donne nelle orchestre, non ci si fa caso se il primo violino sia uomo o donna, solo negli Anni 90 era diverso. La società in termini di eguali diritti è migliorata e noi siamo pronte ad afferrare le opportunità». 
Lo scettro, in forma di bacchetta, era destinato all’uomo quasi come diritto divino. 
«Ci sono due eccezioni, a parte Nadia Boulanger: l’americana Antonia Brico che diresse i Berliner nel 1930, e sette anni prima, sconosciuta, Eva Brunelli. Il maschilismo riguardava ogni ambiente. In Germania Ovest, la terra dei compositori e delle grandi orchestre, fino al ‘77 si veniva licenziate se il marito sosteneva che un qualunque lavoro fosse in conflitto con gli obblighi familiari. Sono contro le quote rosa: a contare dev’essere la qualità. Noi donne possiamo avere successo solo attraverso una sana concorrenza». 
Lei fu assistente a Monaco di Kirill Petrenko, il direttore dei Berliner. Come ci arrivò? 
«Un musicista israeliano che per caso mi aveva ascoltato gli diede un mio dvd. Kirill mi chiese come avessi potuto mettere su così tanto repertorio da giovane; risposi che cercavo ogni opportunità per migliorare. Non mi aveva aiutato nessuno. All’Opera di Odessa davo dieci recite al mese. Avevo scritto a una ventina di agenzie, dicevano di non voler lavorare con donne. Da ragazza poi c’era l’Urss: non si poteva viaggiare». 
Lei è nata a Brody, la città crocevia di Joseph Roth. 
«È stata teatro di guerra, vi ho diretto nelle rovine di una sinagoga la Sinfonia Kaddish di Bernstein; sua figlia mi scrisse una lettera molto bella, pochi sanno che Leonard era figlio di emigranti ebrei di origine ucraina. Organizzo un festival a Leopoli, città dove per 30 anni visse Franz Xaver Mozart, figlio di Wolfgang. Ho fondato in Ucraina un’orchestra giovanile con musicisti provenienti dalle zone di guerra, cerco un dialogo tra Ovest e Est, in questo momento critico per noi vorrei diffondere un’immagine moderna e positiva del mio Paese». 
Cosa pensa di chi, essendo donna, vuole essere chiamato direttore? 
«Si rischia di riportare indietro di oltre 50 anni le conquiste delle donne. Per secoli alcune professioni erano destinate agli uomini, perciò sono d’accordo che mi si chiami direttrice altrimenti sarei un’eccezione nel mondo patriarcale. Oggi su 100 direttori 3 sono donne, fra poco saremo di più. In Italia c’è Speranza Scappucci, brava e nota». 
Una donna a Bayreuth: Wagner, i nazisti che se lo accaparrarono ma anche il fascino di un’esperienza unica. 
«Da studentessa, al tempo dell’Urss, Wagner era associato al nazismo, si diceva che le sue opere erano lunghe e complicate. Quando vidi le sue partiture fui travolta. Le Valchirie mi hanno sempre affascinato perché lottano, e nel creare figure femminili Wagner è stato progressista. A Bologna esordisco col primo atto della Valchiria. L’Italia è centrale per le arti e l’opera, è importante che il cambiamento avvenga ora. Dico sempre che più che parlare di voler cambiare le cose, dobbiamo farlo. Barbara Hannigan, direttrice e cantante, dice che se si chiudono gli occhi, da un uomo o da una donna si hanno le stesse aspettative».