Continuerà le telecronache?
«Certo. Ho cominciato a cinque anni commentando le mie stesse prodezze nel corridoio di casa. È la mia vera passione».
Quali novità porterà?
«Dal 16 gennaio parte il programma della domenica sera di Marco Cattaneo, un punto autorevole e leggero sul weekend. Poi ci sarà il Coca Cola Super Match, analisi divertente di una delle sfide clou».
Tornerà a condurre un talk?
«Ci sto pensando. Vorrei con taminare il pallone con altri mondi.
Come dice Mourinho, chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio».
Farete parlare gli arbitri in tv?
«Siamo stati i primi a introdurre un commentatore tecnico specifico in tempo reale, l’ex fischietto Luca Marelli. Se Rocchi decide di mandare gli arbitri a parlare in tv siamo pronti a ospitarli».
La parola “studio” resta tabù?
«Qui parliamo di “square”, spazio polifunzionale in cui prendono vita tanto i contenuti live quanto quelli on demand».
Con lo streaming, in ritardo rispetto all’evento, la diretta è un concetto superato?
«Io stesso ho visto la finale dell’Europeo fantozzianamente abbarbicato su un balconcino, visto che il vicino riceveva prima il segnale. È inevitabile ma è comunque diretta a tutti gli effetti».
Ventuno anni fa lei era a Stream, oggi a Dazn. Che analogie nota fra l’esplosione del satellite e dello streaming?
«Sono rivoluzioni. Il satellite portò il calcio nelle case. Dazn insegna che il pallone si può seguire ovunque. Stiamo contribuendo alla digitalizzazione del Paese, anche grazie ai giovani che insegnano ai padri».
Com’è cambiata la narrazione del calcio?
«Oggi puntiamo su highlights e interviste brevi. E ci esponiamo alla critica continua dei social, che a me non spaventa: non ho mai bloccato nessuno. Ma al centro per fortuna resta il pallone. E siamo fortunati: ci mandano allo stadio gratis per raccontare le partite».
Dopo i problemi di inizio campionato, ha chiesto a Dazn garanzie sulla qualità del servizio per gli abbonati?
«Non ne ho bisogno, vedo il lavoro che viene fatto ogni giorno. Le iniziali problematiche di aggiustamento sono superate».
La spizzata, i quinti, i braccetti, la transizione ... Delle espressioni in calciatorese, cosa salva?
«Adoro l’originalità. Il nome e cognome del marcatore scanditi da Fabio Caressa. Il “rete” di Compagnoni. Le sciabolate di Piccinini. Non mi piacciono espressioni antiche come gli alabardati, i partenopei, la barba al palo. Meglio l’ombrellino nel long drink del mitico Nicola Roggero, allora».
Chi è il suo idolo professionale?
«Beppe Viola, per distacco. Poi Pizzul, Galeazzi, D’Aguanno».
E come uomo?
«Nel mio pantheon ci sono Mandela e Guccini e Troisi.
Pannella, Pertini, De Gregori. Ma chi mi ha cambiato la vita è Springsteen».
Su Repubblica Tv ha curato “È il calcio bellezza”, su Dazn ci sono le sue pillole di storytelling “Parto con Pardo”. La diverte questa modalità di racconto?
«Sì, marca l’intreccio del calcio con la vita, la cultura, l’economia, la politica. Buffa ha fatto scuola».
Lei, laureato in Economia, ha mai pensato a un programma sugli aspetti finanziari del pallone?
«Non farebbe grandi ascolti. Però è vero che oggi i tifosi quando la loro squadra compra un campione sono sì felici ma anche preoccupati per la spesa. Tutti tranne quelli di City e Psg, ovviamente».
Un telecronista che ruberebbe alla concorrenza?
«Nessuno. O forse troppi. Il livello medio è elevatissimo. Ci si immagina in competizione fra noi, ma siamo amici. Fare una telecronaca e poi andare a cena con i colleghi resta un programma imbattibile»