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 2022  gennaio 04 Martedì calendario

Malcolm McDowell a 50 anni da Arancia meccanica

Malcolm McDowell è entrato negli annali del cinema con il nome di Alex DeLarge. Cinquant’anni fa, era il 1972,Arancia meccanica conquistava quattro nomination agli Oscar, veniva presentato alla Mostra del cinema di Venezia, agitava scalpore e polemiche. Nel film che Stanley Kubrick aveva tratto dal romanzo di Anthony Burgess, Alex è il capo dei Drughi, con gli amici frequenta il Korova Milk Bar, bevono latte “corretto” con stupefacenti. Le loro notti sono scorribande scandite da ultraviolenza, stupri, furti. Il film ebbe sul pubblico di tutto il mondo (o almeno dove riuscì a uscire e non venne censurato) un impatto fortissimo. L’apporto di McDowell, oggi 78enne, fu decisivo. Aveva 27 anni, era pronto a tutto pur di rispettare il copione e le volontà del regista. In una scena di pestaggio si incrinò una costola. Nella sequenza della “terapia correttiva” riportò l’abrasione delle cornee.
«È stata un’opera profetica in molti sensi» dice via Zoom dalla sua casa di Los Angeles, «credo che oggi sia chiaro più di allora. Ha dato vita a un’estetica della trasgressione alla quale si sono ispirati molti artisti, da David Bowie a Madonna. Jean-Paul Gaultier mi disse di aver creato un’intera collezione sulla base del film».
Ci racconti il primo incontro con Kubrick. E come ottenne il ruolo.
«Avevo lavorato con Lindsay Anderson in If , nel 1968. Stanley vide il film e, mi dicono, guardò quattro volte di seguito una mia scena, poi disse ai collaboratori: abbiamo trovato Alex. È stata una grande esperienza, ero molto giovane e mi ha segnato per sempre».
Il rapporto con il regista?
«Non è stato facile, in fase di montaggio abbiamo avuto dei disaccordi, alcune cose non mi piacevano. Ma posso dire di averlo amato e dal film traspare. Era un uomo straordinario, un genio che ha creato capolavori».
Lei come affrontò le critiche, le polemiche che seguirono?
«Per lungo tempo si parlò solo della violenza e la mia risposta era sempre: ma non guardate cosa passa in tv? Non avete visto Mucchio selvaggio di Peckinpah? Più violento di così... Arancia meccanica delineava il percorso esistenziale di un uomo e per fortuna, con il tempo, sono emersi sia questo aspetto che le sue forti implicazioni politiche. Le reazioni furono diverse: quando arrivai in America, subito dopo l’uscita del film, venni accolto dal pubblico con esultanza. Ne fui sorpreso: come potevano amare quel personaggio? In Spagna l’uscita nel 1975 fu un evento, hanno girato un documentario sulla prima a Valladolid, ci furono scontri e sommosse, la gente aveva dormito fuori dal cinema per assicurarsi il biglietto. Il Paese usciva dal franchismo, Arancia meccanica era un emblema di libertà».
In che modo fu deciso il look di Alex?
«Prima di iniziare a girare, andavo due o tre volte alla settimana a casa di Stanley. Ordinava pollo cinese e chiacchieravamo. Una sera, accompagnandomi alla macchina, mi chiese: cosa pensi che indosserebbe Alex? Non so, risposi, è così avanti che non riesco a immaginarlo. Poi volle sapere cosa avessi in un borsone che avevo in macchina. Jeans e magliette, risposi, e la roba per giocare a cricket, compresa la “conchiglia”. Kubrick s’illuminò. Mi disse “mettila sopra i jeans, fammi vedere”. E così andò. Poi, in una boutique vidi delle ciglia finte, mi parsero divertenti, le comprai e le portai a Stanley, me le fece indossare e mi fotografò. Il giorno dopo disse: voglio che tu le metta solo da un occhio, così quando si guarda Alex in faccia si capisce che qualcosa non va».
Si dice che, economicamente, Arancia meccanica per lei non sia stato esattamente una svolta...
«Verissimo. Avrei dovuto guadagnarci ben di più ma Kubrick non mi ha mai pagato i due centesimi e mezzo promessi.... Però ci ho guadagnato una carriera: faccio l’attore da sessant’anni, nel 2021 ho fatto quattro film, ne ho appena iniziato un altro. In confronto ad altri attori non sono ricco, ma sto bene così. Ho pagato l’università ai miei figli e non ho debiti: posso dire che sia andata bene...».