Specchio, 2 gennaio 2022
Che fine ha fatto Alvaro Vitali
Quando Alvaro Vitali torna a casa sua, in una zona residenziale Vip della Capitale, si dirige istintivamente a Trastevere, dov’è nato e cresciuto finché non è stato scoperto da Fellini, che lo volle in Satyricon: «A volte mi ci trovo senza sapere come, quando rientro a casa». Settantun anni, maschera della commedia all’italiana Anni 70 marchiata indelebilmente con la serie B, quella di Edwige Fenech e di Gloria Guida, di Renzo Montagnani e Lino Banfi, nel 1983 è scomparso dai radar ed è caduto nella depressione degli attori dimenticati: «Grazie a mia moglie, che mi ha spinto a uscire e a tornare a vedere gente, ho passato anni difficili ma alla fine sono riuscito a superarla, ma ci sono miei colleghi che si rifugiano nell’alcol o pensano al suicidio».
La Roma nel cuore
Romano e trasteverino in tutto e per tutto, Alvaro ha due grandi passioni: «La Roma dalla nascita, e la musica. Andavo anche allo stadio a vederla, in tribuna Tevere, ma la gente mi riconosceva e passavo tutto il tempo a firmare autografi. Una volta mi sono girato verso un gendarme e gli ho chiesto: "Ma com’è finita la partita?", perché non ero riuscito a vederla...». Quanto alla musica, considerato il personaggio verrebbe da pensare che i suoi gusti accarezzino gli stornelli romani, ma sarebbe puro stereotipo e in questo caso non ci si azzeccherebbe nemmeno, perché Alvaro Vitali in realtà ama il country americano: «Mi piace da morire, una passione che mi ha preso in Canada, dov’ero andato per fare degli spettacoli. Nei bar e ristoranti sentivo suonare queste musichette che mi piacevano un sacco».
Un giovane ballerino
Hobby particolari invece non ne ha: «Mi piace vedere film e starmene a casa. Una volta giocavo a dama, mi piaceva moltissimo, e da giovane avevo passione per il ballo». A Trastevere, nei primi Anni 60, si facevano le feste in casa e Alvaro ragazzino portava dischi e giradischi: «Mi chiamavano il primo tacco di Trastevere, daje de tacco e daje de punta, poi con Federico Fellini ho imparato il tip-tap». Immortale la scena di Roma in un teatro di varietà, in cui piove un gatto morto sul palco dove sta ballando il povero Vitali, con la platea affollata di una fauna popolare di sfaccendati. «Quando abbiamo girato il primo gatto morto era vero, poi qualcuno si ribellò e Federico se n’è fatto fare uno finto». Se Fellini gli ha insegnato molto, volendolo con sé anche in Amarcord e ne I Clown, l’altro maestro importante è stato un artefice della commedia sexy di quel periodo, Nando Cicero.
L’industria del cinema
Lavorare fra tante belle donne, spesso svestite e scrutate da sotto una scala o dal buco di una serratura, non provocava sobbalzi emotivi o imbarazzi: «Facevamo dai tre ai cinque film all’anno - ricorda Vitali -, fra noi attori e attrici che stavamo così spesso insieme c’era questa fratellanza per cui, quando ci si spogliava gli uni di fianco alle altre, non ci facevamo neanche caso. Eravamo tutti amici, ma ora non ci si vede e non ci si sente più». Come capita spesso ai comici, anche Vitali soffre di una malinconia di fondo che riaffiora al termine della giornata, quando i riflettori del set si spengono e si torna alla vita normale: «La tristezza è in noi, come i clown che al circo si trasformano in pazzerelloni. Quando si va a lavorare si tira fuori questa comicità che ti fa stare meglio, poi torni a casa e la malinconia torna a galla». Sposato da venticinque anni con Stefania Caruso, musicista con cui si esibisce dal vivo in teatri e locali, ha un figlio di ventinove anni che vive a Vercelli e che non ha seguito le orme paterne. Della grande notorietà che spingeva la gente ad assediarlo per un autografo è rimasto un ricordo con cui ha imparato a convivere proprio grazie alla moglie, che ha saputo sostenerlo nel periodo più difficile della sua carriera, quando la commedia erotica si era esaurita e la sua faccia da Picasso non interessava più nessun regista. Era il 1983, dopo l’uscita di Paulo Roberto Cotechino centravanti di sfondamento, quando il telefono smise di suonare. «Alzavo la cornetta per controllare che funzionasse...».