La Stampa, 3 gennaio 2022
Cold case Raffaello
Qual è stata la causa della morte che, a soli 37 anni, il 6 aprile 1520, rapiva al panorama artistico italiano ed europeo l’immenso genio di Raffaello Sanzio? Sifilide, malaria, avvelenamento con arsenico o una forma di polmonite malamente curata con salassi dai medici del tempo? Il dibattito storico-medico ha attraversato cinque secoli. Cedendo alla «fallacia dell’attualizzazione», qualche studioso - considerato il decorso della malattia e altri dati come l’assenza di disturbi gastro-enterici - ha ipotizzato di recente una forma di polmonite, pur non giungendo ad ipotizzarne l’origine, batterica o virale, come il Covid-19. Ma, di certo, non cadrà nelle trappole metodologiche di interpretare scritti di epoche diverse, con il bagaglio delle esperienze e delle conoscenze dell’oggi, il gruppo di grandi esperti che fa capo al progetto «Enigma Raffaello», approvato dal ministero dei Beni Culturali e promosso da quattro prestigiose istituzioni: la Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon, l’Università La Sapienza, i Musei Vaticani e l’Accademia di Belle Arti di Roma.
Medici, paleopatologi, restauratori, genetisti, esperti in modellazione digitale 3D, paleografi, operatori di rendering e metodologie multimediali di ricostruzione virtuale dell’immagine riscriveranno nel 2022, dopo la pausa imposta dal Covid-19, una storia ancora avvolta nel mistero, col supporto di archivisti, storici dell’arte e dell’architettura.
Poche, frammentarie e relative a tempi diversi, le fonti dirette e indirette che hanno ispirato le diverse ipotesi diagnostiche. Quella di una malattia venerea si basa principalmente sulle informazioni contenute nelle Vite del pittore e storico dell’arte Giorgio Vasari: Raffaello, incline ai diletti carnali, «dopo aver disordinato più del solito tornò a casa con la febbre», all’inizio della primavera del 1520. Attribuita ad una discrasia da surriscaldamento, fu curata dai medici con ripetuti salassi, la strategia terapeutica più diffusa al tempo. Ma una vita sessuale pur «molto disordinata e fuori modo» non può essere automaticamente collegata alla sifilide. Peraltro quella diagnosi retrospettiva, basata solo sul generico riferimento del Vasari agli accessi amorosi, non trova conferma in nessun’altra testimonianza o scritto coevo, che certo non avrebbe mancato di citare i segni dell’infezione, le pustole e le sgradevoli «bolle», cui si fa cenno in tutte le memorie e le descrizioni del «mal francese» nei primi decenni del ’500. Senza parlare dei tremendi dolori alle articolazioni. Un quadro patologico così drammatico, e capace di condizionare l’operatività dell’Urbinate, non sarebbe sfuggito, di certo, in un personaggio celebre e circondato da tanta concitata attenzione.
Anche la malaria sembra da escludere: malattia conosciuta dall’antichità nella campagna romana, era endemica nel Rinascimento e il carattere ciclico delle manifestazioni febbrili (terzana e quartana) era ben noto ai medici e agli osservatori. Nel parlare di febbri improvvise e «continue» Vasari non alludeva certamente a quella malattia. Poco, o per niente attendibile, anche l’ipotesi di un avvelenamento arsenicale che avrebbe conservato il corpo del pittore in ottime condizioni, circostanza appurata in una supposta inumazione avvenuta nel 1674. Raffaello era ricco, invidiato, potente, giovane e di fulgida bellezza, come appare negli splendidi affreschi della Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena, opera di uno dei suoi maestri, il Pinturicchio. Ma bastano a dare corpo ad un movente le invidie di altri artisti messi in ombra dal suo straordinario talento che gli aveva guadagnato un enorme credito presso il Papa e altri ricchi committenti come Agostino Chigi?
Di recente, nuovi studi hanno indicato una nuova pista per risalire alla causa di morte: la pericolosità delle sostanze utilizzate per nuove miscele di colore. E’ nota la sua curiosità di sperimentare nuove tecniche come l’affumicatura col nerofumo da stampatori, utilizzato per la «Trasfigurazione». O, ancora, del blu egizio, un pigmento di cui non si servivano i pittori rinascimentali, individuato da poco tra i colori del «Trionfo di Galatea».
La strada dell’interazione tra studi umanistici e discipline scientifiche e tecnologiche è l’unica che può condurre vicino alla verità storica della scomparsa del grande artista, a cui il cardinale-poeta Pietro Bembo dedicò l’epigrafe che si trova nel Pantheon: «Qui c’è quel Raffaello, dal quale finché visse, Madre Natura credette di essere vinta e quando morì temette di morire con lui». La prevista riesumazione dei resti non è la prima: l’ultima, tra mille polemiche, è avvenuta nel 1833 e ha consentito la realizzazione di un calco del cranio e la ricostruzione del volto. Le nuove tecnologie dell’antropologia forense aprono nuove strade. Le esumazioni di personaggi illustri, effettuate a fini di studio e di ricostruzione di eventi storici, sono state numerose negli ultimi anni e le indagini hanno dimostrato il grande interesse sul piano antropologico, storico e medico. Tra le esumazioni, quelle di Sant’Antonio di Padova e di Cangrande della Scala, condottiero ghibellino e mecenate di Dante Alighieri, deceduto a Treviso nel 1329 a causa dell’intossicazione seguita alla somministrazione di un infuso o di un decotto a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale. E, ancora, del leggendario capitano di ventura Giovanni de’ Medici, detto dalle Bande Nere, colpito ad una gamba mentre combatteva per bloccare la discesa dei Lanzichenecchi. Ad ucciderlo non fu un complotto, ma l’amputazione della gamba, con la successiva setticemia, come ha stabilito il gruppo del paleopatologo Gino Fornaciari, dell’Università di Pisa.
Durante la presentazione del progetto «Enigma Raffaello», a La Sapienza, lo studioso ha spiegato che le indagini antropologiche - e il recupero di piccoli frammenti ossei per gli isotopi stabili e il Dna antico - consentirà, attraverso raffinate metodiche bioarcheologiche, di tornare al primo Cinquecento, allo stile di vita dell’artista, alla sua storia patologica e ad un’ipotesi verosimile sulle cause della morte dell’artista- considerato al tempo un semidio - che provocò un «ismisurato dolore» al papa Leone X e lasciò attonita e sbigottita l’intera Roma.