Corriere della Sera, 3 gennaio 2022
Omar Pedrini ha scritto un libro
«A Capodanno ho visto per la nona volta Pulp Fiction, ma avrei preferito fare altro»: com’è dura la vita del rocker in pandemia, se c’è una categoria con cui il virus si è accanito più di altri, questa è quella dei musicisti. Come Omar Pedrini: aveva due concerti in Sardegna, spazzate via da Omicron: «Viviamo di serate- racconta l’ex leader dei Timoria- il danno economico è stato grande. Con tutto l’amore che ho per Papa Francesco, non capisco perché i 20000 all’aperto per la messa di Natale ( o gli affollatissimi impianti sciistici) sì e i concerti in piazza no: se l’emergenza è grande, come sembra, forse sarebbe stato meglio chiudere tutto. E invece paghiamo sempre e soltanto noi artisti».
Se il presente dice dunque male a Omar, il passato prossimo e remoto arridono invece assai a questo 54enne artista poliedrico e dal cuore matto. Che con i Timoria, appunto, ha scritto una pagina gloriosa del rock italiano negli anni 90, simboleggiata dal loro album capolavoro, Viaggio senza vento, anno 1993: il cantante lo ha celebrato prima con un tour («dovevano essere 8 date, sono diventate 49») e ora con un libro. Scritto con Federico Scarioni, corredato da belle foto e illustrazioni, «Dentro un viaggio senza vento» racconta prima i concerti e poi quel disco a raggi x. Evidentemente passato di generazione in generazione «visto che ai live ho visto un sacco di ventenni». Perché? «È la storia di un giovane in crisi, tra delusioni amorose e dipendenze tossiche, ma che non si arrende alla sconfitta. Valeva nel 1993, vale oggi».
Joe si chiamava quel ragazzo, sorta di rinnovato Tommy degli Who, un concept album (parola antica…) dove Joe ovviamente era Omar. Che si salvò per un pelo: «Nacque mio figlio Pablo, capii che mi sarei dovuto dare una regolata con le droghe pesanti e partii per l’India in un ashram». Un giro di vite che gli sarebbe servito poi quando una malattia congenita gli avrebbe sconquassato il cuore, a partire dal 2002, con diverse ricadute, l’ultima l’estate scorsa: «Sì, se non avessi smesso in tempo sarei morto».
E al microfono di questa avventura avrebbe rivoluto Francesco Renga che lasciò i Timoria per inseguire lidi più nazionalpopolari nel 1998: «Doveva andare a Sanremo e ha detto no. Ne aveva già fatti otto però, forse a uno poteva rinunciare. Siamo come i Beatles, l’unica rockband italiana a non aver fatto una reunion...» scherza un po’ amaro Omar. Sanremo già, i Timoria furono tra i primi a cantarci nel 1991, tra i giovani, quando tra le rockband non usava e anzi era visto come un sacrilegio: «Sì, abbiamo aperto una strada». Un’autostrada vista la vittoria dei Måneskin. A Pedrini piacciono: «Non fanno parte di una scena, come ai nostri tempi, ma hanno la responsabilità morale di diventarne i leader. E se intanto sotto l’albero i ragazzini han chiesto una chitarra elettrica al posto di un telefonino, è sicuramente merito loro».