Corriere della Sera, 3 gennaio 2022
Biografia di Edoardo Vianello raccontata da lui stesso
«Sono contento anche quest’anno di aver cominciato l’anno sotto i raggi del sole». Capodanno su Rai1, una di notte, intabarrato come un cosacco in un cappottone Edoardo Vianello combatte il freddo cane (a proposito, non si può più dire che si offendono i cani) con l’arma con cui ha attraversato la vita, un’ironia sottile, vivace e intelligente.
La sua è la colonna sonora degli anni 60, in «Sapore di mare» sette sue canzoni punteggiano la trama del film...
«Quando ho cominciato a fare questo mestiere mai avrei immaginato che queste canzoni potessero durare tanto tempo. Le ho scritte da ragazzo con un po’ di incoscienza, un po’ di bizzarria; pensavo fosse un gioco, che mi servisse per rimorchiare qualche ragazza. Evidentemente ci ho azzeccato; ho individuato le note giuste, ho interpretato forse lo spirito di quel momento e le canzoni sono rimaste ancora adesso a ricordare perfettamente quell’epoca».
Cosa si prova a essere intramontabile?
«Sono contento di questo successo, ma mi dispiace che la parola intramontabile non esista: se anche Matusalemme è morto significa che c’è una fine per tutti».
L’ironia è il suo codice di lettura della realtà, da dove le viene?
«Credo di averla presa da mio padre, il poeta futurista Alberto Vianello; lui è sempre stato molto bizzarro nel suo modo di scrivere, di esprimersi, di parlare, anche se era una persona molto seria. Da ragazzo era identificato come uno sconsiderato, per l’epoca era un matto e questa sua follia me l’ha trasmessa anche se aveva pudore a parlarne perché il futurismo dopo la guerra era stato messo al bando».
Qual è stata la svolta della sua carriera, quando ha capito che avrebbe fatto il cantante?
«Quando mio padre ha finito di ostacolarmi. Mio padre è stato sempre molto contrario alla musica anche quando avevo già dei successi in classifica — Guarda come dondolo, Pinne fucile ed occhiali —, diceva che avevo intrapreso una strada che non avrebbe portato da nessuna parte. Poi dopo il successo di Abbronzatissima e dei Watussi — nel ‘63, il miglior anno della mia carriera – si è rassegnato che potesse essere un mestiere; lì ho capito che ero sulla strada giusta».
Una stagione intensa ma breve, alla fine degli anni 60 il clima cambiò.
«Quel tipo di canzoni vennero messe al bando, erano considerate troppo divertenti, spensierate, troppo poco serie; la musica doveva essere impegnata, doveva affrontare i problemi sociali, quindi sono stato messo in disparte. Sentivo una sorta di ostilità quando andavo a cantare e ho deciso di smettere: canto per divertirmi perché devo beccarmi insulti? Poi con il tempo le mie canzoni sono state riabilitate. Non voglio sembrare immodesto, ma sono dei piccoli capolavori, originali, al di fuori di quello che si scriveva in quel momento, e il pubblico se ne è riappropriato».
Qual è la cosa più folle che ha fatto?
«Tutta la mia vita è stata una follia, a partire dai tre matrimoni, un atto coraggioso perché ogni matrimonio rotto comporta sempre dei grandissimi problemi. Avere avuto la forza di affrontare due divorzi e aver trovato finalmente la donna giusta è stato un segno di grande capacità e tenacia».
Ha 83 anni. Adesso basta matrimoni?
«Il gendarme che ho adesso non mi fa più muovere... e poi: ma dove vado?».
Il primo matrimonio fu con Wilma Goich. Il giorno delle nozze lei fece un tavolo con le sue ex fidanzate...
«Non è che sapesse che erano tutte ex... Era un modo per dare l’addio al celibato con le protagoniste».
Nel 1971 insieme avevate creato il duo I Vianella...
«Plurale latino... È stato un momento importante della mia carriera, abbiamo ripreso in mano un successo che era sparito sia per me sia per lei con una formula nuova; è stato un miracolo. Ha funzionato ma ha anche consumato il nostro rapporto, anche per un senso di competizione che ci ha logorato».
Finì con sua moglie che si lamentava dei suoi tradimenti...
«I tradimenti vanno accettati per quello che sono, non vanno presi in considerazione...».
Avete anche attraversato un dolore che ogni genitore non vorrebbe vivere, la morte di vostra figlia Susanna a causa di un tumore due anni fa.
«Un dolore terribile. Anche perché è stato un evento improvviso, che mi sembra ancora non accaduto, in pieno Covid, in un momento in cui non ci si vedeva nemmeno. La sua morte mi sembra una cosa solo sospesa, non avvenuta: pensare così è l’unica cosa che mi consola».
Cosa rimpiange degli anni 60?
«Non posso che rimpiangere la gioventù. Oggi sono contento di quello che ho fatto, ho affermato un genere che non pensavo mai potesse diventare un’icona della musica, ho avuto grandi soddisfazioni. Certo mi piacerebbe essere ragazzo per avere davanti a me ancora del tempo, mi sento ancora in condizioni di creare, come fossi un principiante, ho l’illusione che ancora devo arrivare dove voglio arrivare. Invece so che ci sarà un limite, mi dispiace ma senza drammi, fa parte della vita».
Non solo freddo cane, pure gli «altissimi negri» dei Watussi è un’espressione che andrebbe bandita: è il corso del politicamente corretto che cancella termini che oggi non sono più appropriati.
«Io credo di avere il green pass per poter ancora usare certe parole. Per me rimangono gli altissimi negri perché così è nata la canzone; ho anche riflettuto se era il caso di cambiare parole: ho pensato a normalissimi negri, per non discriminare i bassi... Scherzo, ma non mi interessa adeguarmi al politicamente corretto che è la scorciatoia di gente in cerca di visibilità che dovrebbe protestare piuttosto per l’aumento delle bollette. E poi io sono daltonico, il colore della pelle mi lascia indifferente».
Vanno di moda i duetti tra cantanti di generazioni diverse. Le piacerebbe farne uno?
«No»
È un solista?
«Credo di avere una mia personalità che difficilmente può trovare accordo con un’altra personalità. Le mie canzoni sembrano cazzate, sciocchezze, banalità ma sono delle costruzioni molto precise, basta un attimo per diventare banali. I testi, la musica, devono essere fatti come dico io altrimenti perdono genialità. Solo io capisco e trasmetto lo spirito delle mie canzoni. E so che è anche un limite: sono molto ascoltato, ma non molto eseguito».
Andrea Vianello, direttore di Rai Radio 1, è suo nipote.
«È un tesoro di ragazzo, abbiamo lo stesso spirito. Abbiamo scritto anche molte canzoni insieme ma non siamo riusciti a farne arrivare nemmeno una al successo. Andrea scrive in modo molto ironico, divertente, ma è troppo raffinato».
Raimondo Vianello invece era cugino di suo padre. Che rapporto avevate?
«Non molto intenso, lui era molto snob, e poi siamo di generazioni diverse. Ricordo che soprattutto i primi tempi lo chiamavo per farmi dare dei consigli, ma il suo avvertimento costante era uno: lascia perdere».