Corriere della Sera, 3 gennaio 2022
Le ossa di Jaroslav dividono Russia e Ucraina
Brooklyn, 185 S 5th Street. Vista così, è solo una chiesa ortodossa per immigrati ucraini, nemmeno di gran fascino. I marmi bianchi che una volta erano d’una banca, la cupola dorata all’incrocio d’un semaforo. Chi ci passa, è per andare qualche metro in là e farsi un hamburger da Peter Luger, antica steak house di New York. Eppure la Chiesa della Santissima Trinità di Williamsburg, così anonima, ha una sua dignità storica. E da più di mezzo secolo custodirebbe, non si sa bene dove, un grande segreto. E da qualche tempo è tenuta d’occhio da Fbi e Interpol. E riceve visite di strani agenti della sicurezza. «State attenti», scrisse sei anni fa l’allora presidente Petro Poroshenko al governo americano: «In quella chiesa di Brooklyn sono sepolte le ossa di Jaroslav il Saggio, il re fondatore della sacra Ucraina. Ci abbiamo messo decenni, a rintracciarle. Dovete proteggerle. Perché c’è il rischio concreto che i russi le facciano sparire di nuovo».
Putin, molla l’osso. Riprendersi la Crimea è una priorità. Riavere il Donbass, un’urgenza. Recuperare i prigionieri di guerra, un’emergenza. Ma c’è una missione che l’Ucraina s’è data per vincere nei simboli, se non sul campo, la sua guerra con lo Zar: ritrovare i resti medievali del Principe di Kiev, l’illuminato Jaroslav che diede agli Slavi orientali il primo Stato della loro storia, la grande Rus’ che nell’XI secolo spaziava dal Baltico ai Carpazi. La questione, va da sé, è politica: l’Ordine di Jaroslav è la più alta onorificenza ucraina e «Principe Jaroslav» è, insieme, il nome più comune dato alle fregate militari russe. L’effigie del «Saggio» figura anche su molte banconote, siano grivnie o rubli, e nelle scuole s’insegna come grazie a lui furono cristianizzati russi e bielorussi, ucraini e baltici. Putin, ex agente del Kgb che un tempo giurò fedeltà all’ateismo e poi di colpo rivelò d’essere sempre stato battezzato, non ha alcuna intenzione di lasciare al nemico l’eredità del Principe: lo scorso luglio, mentre ammassava 100 mila soldati alla frontiera del Donbass e di fatto minacciava un’invasione, si premurava allo stesso tempo di ripetere che ucraini e russi hanno le stesse radici, la stessa fede e, appunto, la stessa discendenza da Jaroslav.
A Kiev la vedono altrimenti. Tanto che le due chiese ortodosse, appena separate, in questi giorni si stanno contendendo perfino la data del Natale. Jaroslav, dicono, guai a chi lo tocca: un affresco lo raffigura ancora nella Cattedrale di Santa Sofia, a Kiev, e in un sarcofago lì sotto si trovava la salma finché non provvidero i nazisti, nel 1943, a farla sparire con una preziosa icona di San Nicola, rispuntata proprio a Brooklyn. Gli ucraini non hanno mai dimenticato il Principe e nel trentennale dell’indipendenza il presidente Volodymyr Zelensky ne ha evocato la memoria: «Non togliamo a Putin il diritto d’onorarlo. Quel che respingiamo, è il tentativo di strumentalizzarlo».
Russi e americani si vedranno questa settimana per fermare la guerra. Biden minaccia sanzioni e dà l’altolà ai russi: non provate a invadere. Ma in Ucraina è l’Operazione Jaroslav, a premere. La caccia alle reliquie è cominciata: riportarle in patria, ridarebbe un po’ di fiducia a una nazione sfiancata da otto anni e 14 mila morti di guerra civile. Archivi di guerra in Germania, missioni segrete in giro per il mondo per esaminare decine di ossa, comparazioni col Dna dei parenti di Jaroslav sepolti da secoli presso le grandi corti europee. Dov’è Jaroslav? Ancora non è chiaro. Un’archeologa di Kiev è risalita faticosamente alla chiesa newyorkese, altri pensano che i tedeschi lo nascosero in Polonia. I vecchi pope han sempre taciuto, il segreto della tomba del Principe è stato custodito fino a oggi: prima, perché in Unione Sovietica era vietato parlarne; dopo, perché i russi hanno comandato a Kiev fino alla rivolta di Maidan, nel 2014, e non era certo il caso di fornire tracce. «Vi aiuteremo», hanno promesso gli americani a Zelensky. Qualche tempo fa, tre agenti dell’ Fbi sono andati a New York. Hanno chiesto, indagato, fatto rapporto. E concluso che Jaroslav, lì, proprio non c’era. Possibile? Le indicazioni erano precise… I tre, s’è scoperto, erano andati sì in una chiesa ortodossa della Santissima Trinità. Ma in una chiesa russa, non ucraina, con lo stesso nome. Per certe ossa, forse servono altri segugi.