la Repubblica, 3 gennaio 2022
In Corea del Sud dilaga l’anti-femminismo
«Il femminismo è una malattia mentale! Un male della società! Abbasso le odiatrici di uomini! Abbasso la misandria!». Bae In-kyu, il leader del gruppo Uomo in Solidarietà il cui slogan fino a poco fa era «finché tutte le femministe saranno sterminate», è vestito da Joker del film Batman e, proprio come quel personaggio, grida i suoi slogan in piedi sul tetto di un’auto parcheggiata, cercando di disturbare una manifestazione femminista a Seul. Spruzza acqua da una pistola di plastica verso le manifestanti dicendo che sta «uccidendo le formiche».È un’ondata che non sembra fermarsi quella dei movimenti antifemministi in Corea del Sud. Non sono insoliti questi sconfortanti quadretti di conflitto di genere, con ragazzi e uomini che sfilano per le strade cercando di scontrarsi con le manifestazioni femministe. Al grido di guerra: «Tad! Tad! Tad!». Dicono che è il rumore del passo pesante delle donne femministe.
Bae non è né un fenomeno isolato, né un’espressione di rabbia temporanea. Ha mezzo milione di iscritti sul canale YouTube, dove ha raccolto più di 6mila euro in tre minuti per finanziare il suo movimento. Il peso politico del livore dei maschi ventenni in una Corea del Sud sempre più competitiva è evidente. E sta causando un’inversione di tendenza politica e sociale. Un’università è stata costretta ad annullare una conferenza di una femminista accusata di “misandria.” Sotto minaccia di boicottaggio, alcuni inserzionisti hanno dovuto ritirare una pubblicità che ritraeva una mano con pollice e indice che alludeva alle dimensioni piccole del pene. Misandria anche quella.
Il bersaglio preferito di questo movimento è il Ministero per l’eguaglianza di genere e per la famiglia voluto dal “presidente femminista”, come si definiva Moon Jae-In durante la campagna presidenziale del 2017. La promessa di difendere l’eguaglianza di genere servì ad attirargli il voto femminile, determinante per la sua vittoria. Da allora politici, star della K-pop e persone qualunque hanno cominciato a pagare il prezzo di un maschilismo opprimente, finendo incastrati per gli scandali delle spy-cam usate per spiare le donne nei bagni o nell’intimità. Adesso, invece, è più popolare gridare che «il femminismo è discriminazione di genere», come dice Moon Sung-ho leader del movimento Dang Dang We, che chiede «giustizia per gli uomini». Sì, perché ora si va di nuovo ad elezioni e con il presidente Moon che non può ricandidarsi il vento è cambiato. Il 79% dei ventenni maschi nei sondaggi si dice vittima di discriminazione di genere. Poco importa che solo un quinto dei parlamentari siano donne e che solo il 5,2% delle donne riesca a entrare nei consigli di amministrazione. Non importa che sussista una differenza salariale importante tra femmine e maschi. Sono problemi, così dicono i ventenni, che riguardano quarantenni e cinquantenni. «Siamo puniti per gli errori delle generazioni precedenti», dichiara uno degli anti- femministi. Più del 76% dei ventenni e il 66% dei trentenni è contrario al femminismo. «Perché ci sono dozzine di università solo per donne e nemmeno una solo per uomini?», si chiedono. In più, dicono, in queste università si insegnano materie come legge e farmacia, che portano a carriere ben pagate. Così la concorrenza sul mercato del lavoro, da parte delle sudcoreane più giovani, pesa sempre di più.
Al centro del contendere c’è l’arcaico servizio di leva che da 65 anni costringe chi è maggiorenne, e fino a 35 anni, a servire il Paese per 2 anni, mentre le donne militari sono solo il 5,5%. Due anni di ritardo sull’entrata nel mondo del lavoro, con le laureate che possono occupare posti che non ci saranno più per i maschi finita la leva. Tutto capitale politico. Così oltre a quel Joker di Bae, spuntano a destra discorsi sempre più a favore del sentimento anti-femminista. Nel partito Potere al Popolo, conservatori all’opposizione, diversi leader promettono di sradicare femminismo e quote rosa. Anche il Bareun Miae, guidato da Lee Jun-seok, attrae voti dei ventenni arrabbiati con il femminismo perché la sotto-occupazione e la disoccupazione arrivano al 21%. Così, lo spirito testosteronico della vecchia Corea del Sud dove fino a pochi decenni fa le donne non potevano mangiare allo stesso tavolo degli uomini, dove solo i maschi andavano a scuola e dove le neonate venivano chiamate Mal-ja, “l’ultima figlia”, rialza la testa, cercando di far perdere terreno a quelle difficili conquiste per niente consolidate, in un Paese dove ancora oggi chi difende il diritto all’aborto può venir accusata di essere una “rovina famiglie” o una “suprematista femminista”. E così sulle note della canzone anti-femminista che si intitola sarcasticamente “Femminista” di San E, i nuovi eserciti di ventenni si rivoltano contro le loro coetanee cantando: «se non hai bisogno di un principe/allora paga metà della casa quando ti sposi».