Il Messaggero, 2 gennaio 2022
Intervista a Fabiola Palese (secondo lei Calissano non si è suicidato)
Fabiola Palese, 43 anni, ha ancora davanti agli occhi i flash di quegli attimi tremendi. Quando alle 20,30 di giovedì inserisce la chiave nella toppa della porta di casa del suo ex compagno, l’attore Paolo Calissano, e lo trova morto disteso sul letto nell’appartamento di via Cadlolo a Monte Mario. Prova a scuoterlo, ma inutilmente, quindi chiama un’ambulanza. Attorno al corpo del 54enne ci sono i farmaci che prendeva per curare la sua depressione. Il telefonino, invece, è su un divano. C’è un particolare che annota Fabiola nella memoria: «La serratura non aveva le mandate inserite», ricorda. «Qualcuno afferma che era morto da almeno 48 ore, ma non è vero. Ci avevo parlato il giorno precedente nel primo pomeriggio e la sera di mercoledì, alle 20.18, Paolo ha effettuato il suo ultimo accesso su Whatsapp».
Fabiola cosa ritiene sia successo, allora?
«Io non credo assolutamente al suicidio. Non era da lui. Ne ha vissute tante e tante ne abbiamo superate insieme e si è sempre rialzato. Piuttosto credo che non abbia retto a tutti i farmaci che prendeva per via della sua depressione. In queste ultime settimane era andato molto giù e le feste di Natale lo angosciavano amplificando il suo sentirsi solo. Io penso che abbia fatto un qualche pasticcio nell’assumerli, un bombardamento di psicofarmaci, ma non con l’intenzione di togliersi la vita».
Paolo ha avuto problemi con la cocaina in passato, lei pensa che la droga c’entri con la sua morte?
«La droga? No, per come lo conoscevo io e per il profondo legame che avevamo ancora, lo escludo. Però, ovviamente, non vivevo più nella sua stessa casa. Sono convinta, tuttavia, che i carabinieri chiariranno che non c’entra nulla».
Se la porta di casa non era chiusa con le mandate, forse Paolo non era solo nell’appartamento quando è morto o qualcuno era andato a trovarlo poco prima? La Procura infatti indaga per morte in conseguenza di altro reato. Cosa ne pensa?
«Mi sembra difficile, in quella casa entravamo praticamente solo io e il domestico, ma lo verificheranno le indagini. Lui ormai non usciva quasi più, si era lasciato andare e forse era tornato a prendersi le benzodiazepine in dosi massicce per riuscire a dormire. A ottobre si era fatto ricoverare in una clinica per risolvere il problema del sonno, gli avevano dato un’altra cura ma non aveva sortito gli effetti sperati. E quindi, forse, era ricaduto in quella dipendenza».
Lei ha detto che Paolo si sentiva molto solo. È così?
«Paolo aveva sofferto tanto, troppo nella vita. Oltre alla perdita del papà e della mamma, lo avevano segnato i trascorsi giudiziari che avevano stroncato la sua carriera. Episodi che potevano capitare a chiunque e che, però, vista la sua notorietà, lo hanno trasformato in un mostro. Gli avevano attaccato una etichetta addosso. Il mondo dello spettacolo gli aveva voltato le spalle, ma lui voleva una chance di riscatto che nessuno gli ha concesso. Sa una cosa?
Che cosa?
«Continuavano a offrirgli particine o a chiamarlo solo per interviste in cui piangersi addosso. Ma si rifiutava perché aveva grande dignità».
Chi era Paolo Calissano?
«Una persona colta, sensibile, generosa, pulita. Un poeta che ha continuato per tutto il tempo a scrivere sceneggiature incredibilmente belle. Diceva: Se non mi vogliono come attore, almeno come scrittore.... Invece gli hanno chiuso tutte le porte in faccia. Sono sicura che se avesse avuto un’opportunità si sarebbe ripreso. Invece, passavano le settimane e lui si scoraggiava. Paolo, soprattutto, era un uomo malato che non merita di essere ricordato per episodi del passato, ma per com’era».
Come era attualmente il vostro legame?
«Unico, speciale. Siamo stati insieme dal 2013 al 2019, ma anche dopo è stato un volerci bene incondizionatamente come amici, ci sentivamo ogni giorno. Non aveva rivoluto nemmeno indietro le chiavi di casa. Avremmo dovuto passare insieme il Capodanno, come già fatto per il Natale esorcizzando la tristezza che a entrambi, dopo la morte di mio fratello, le Feste infondevano. Giovedì per pranzo lo aspettavano gli anziani zii che vivono a Roma, anche loro erano preoccupati. Il telefono risultava spento e anche a quello di casa non rispondeva, così mi sono decisa ad andare da lui e a entrare, ma solo dopo avere bussato».