Gennaro Nunziante firma la commedia cucita su misura per la coppia comica, che molto attinge a un’amicizia lunga una vita, «siamo nati nella stessa stanza di maternità», ama ricordare Amedeo Grieco (quello in quarantena), nel collegamento telefonico a tre con il sodale Pio D’Antini. Nel film (prodotto da Freemantle e Vision, che distribuisce) sono due amici cresciuti insieme, separati dopo la maturità da diverse ambizioni, uno resta in un paesino pugliese, l’altro tenta la fortuna nella Milano finanziaria. Chi avesse ragione si capisce dalla prima scena, in cui i nostri tengono un corso per disintossicare i pentiti dalla “milanesità”.
Nel film non c’è la stessa comicità corrosiva che avete in tv.
Amedeo: «Si tratta di un cambio, ma non definitivo. Volevamo una cosa che non avevamo mai fatto, una commedia per tutti. Perché è la storia di tutti. Di chi dalla provincia d’Italia cerca di andare nella metropoli per il successo, la scalata sociale. Abbiamo cercato di fare una storia, non quella comicità secca che al cinema non funziona».
Pio: «È il momento forse peggiore per andare al cinema. La strada più facile era la piattaforma, ci toglievamo ogni responsabilità. Ma abbiamo rispettato il patto con gli esercenti e i lavoratori, la sala è uno dei pochi svaghi aperti, e sicuri. Aspettiamo i sopravvissuti rimasti in giro. Visto che non puoi prendere i popcorn che costano più del biglietto, con sette euro hai fatto la serata».
Il confronto tra Nord e Sud è materia esplorata nella comicità italiana da “Benvenuti al Nord” ai film di Zalone, Nunziante ne ha firmati quattro. In cosa la vostra storia si distingue?
Amedeo: «È un tema battuto ma questo è un film moderno che sviscera il “sentiment” della società post pandemica. Le persone che si erano trasferite al Nord e con il lockdown sono tornate nella propria terra si sono chieste se sia valsa la pena sacrificare affetti e tempo per la scalata sociale».
Pio: «Questa commedia è nata la sera del 7 marzo del 2020, abbiamo rivoltato l’immagine di quei ragazzi che si ammassavano sui pulmann diretti al Sud. Dai bar ai piani alti degli uffici è partito il dibattito se trasferirsi e lavorare dalla campagna. E poi ci pare nuovo lo sguardo su social e influencer, il concetto di felicità fittizia che ci viene imposto.
Infine, del Sud proponiamo l’immagine non usuale di quell’entroterra che è la vera ricchezza del paese. Di Milano non si vede il Duomo ma il Bosco Verticale, perché i simboli cambiano».
Sugli influencer siete critici.
Pio: «Un conto è usare i social per giocare o offrire un contenuto, altro è l’ossessione di postare ogni momento di intimità. Entrare con prepotenza nelle vite di figli piccoli e parenti. Se qualche anno fa sviluppavi dal rullino la foto di una colazione ti prendevano per pazzo».
Quanto conta avere un vissuto comune?
Amedeo: «Molto. Ci conosciamo da quando avevamo dieci anni, lavoriamo insieme da venti, ci capiamo senza guardarci. Io questo mestiere da solo non lo avrei potuto fare: a certi livelli reggere le pressioni, le persone che ti orbitano intorno... In due ci ricordiamo da dove veniamo, siamo fortunati».
I momenti più difficili della
gavetta?
Amedeo: «Quando da Telenorba, il nostro punto di arrivo con uno stipendio di duemila euro al mese, abbiamo deciso di andarcene. Ci siamo detti “se ce l’abbiamo fatta qua, perché non provare a Milano?
Siamo ripartiti da zero, due anni durissimi».
Pio: «Ai ragazzi che chiedono consigli diciamo che ci vuole coraggio, follia, fiducia nei propri mezzi».
Amedeo: «Oggi diciamo no a proposte remunerative, noi che non siamo nati in una famiglia agiata e abbiamo patito quasi la fame durante la gavetta».
È stato un anno forte, per voi.
«Con Felicissima sera su Canale 5 abbiamo provato a riscrivere le regole del varietà italiano, diventato stantio. E gli show che sono venuti prima e dopo lo hanno dimostrato con ascolti non eccellenti. I nostri numeri sono balzati agli occhi. Il pubblico non è scemo, ma si era assopito e quando vede qualcosa di diverso fatto con lealtà e onestà lo capisce. Noi crediamo in quel che diciamo, evitando perbenismo e patetismo».
Dalla tempesta seguita al vostro monologo, criticato per l’uso di termini razzisti e omofobi, cosa avete imparato?
Pio: «Che bisogna andare dritti con le proprie scelte. Per noi è stato solo l’inizio, continueremo. È la nostra cifra. La satira è libera e quel che è successo ci ha dato più forza. Anche perché lo spirito del Paese è quello.
La maggioranza è stufa del perbenismo, del pensiero unico».
Nessun commento o post vi ha fatto cambiare idea?
Amedeo: «Spero non venga presa per arroganza, ma le reazioni ci hanno fatto pensare che c’è tantissima gente che non ascolta e non vede l’ora di cavalcare l’odio. Tante persone omosessuali ci hanno scritto in privato, “finalmente qualcuno ci scrolla di dosso il vittimismo”. Ci ha ferito sentirci dare degli omofobi e razzisti».
Pio: «Ovvio che le parole hanno il loro peso, ma noi consigliavamo di combattere l’ignoranza disarmandola con l’ironia. Tra l’altro questo monologo lo abbiamo fatto per un anno e mezzo a teatro e non ha mai suscitato la minima polemica. Ma abbiamo sfondato il muro del politicamente corretto e tornare indietro significherebbe rinnegare le nostre convinzioni. E deludere chi si identifica in questo pensiero».