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 2022  gennaio 02 Domenica calendario

In morte di Calisto Tanzi

Francesco Manacorda, la Repubblica
I subprime e la Lehman Brothers, l’Antonveneta e il Montepaschi sarebbero venuti solo dopo. Ma in quei giorni frenetici a cavallo del Natale 2003, quando all’improvviso i conti della Parmalat che già scricchiolavano da qualche tempo, cadono con un fragoroso boato, l’Italia esce all’improvviso dalla sbornia finanziaria degli Anni ’80 e si infila dritta nel tunnel infinito del “risparmio tradito”. Tutto a causa di una solidissima – all’apparenza – società, i cui prodotti entravano ogni giorno nelle case di milioni di persone, di un business di un bianco abbagliante e senza macchia come quello del latte, di un pacioso imprenditore della provincia emiliana che nessuno sospettava potesse rivelarsi alla fine il “Lupo di Collecchio”.
Calisto Tanzi, mancato ieri a 83 anni e appesantito da una condanna a oltre 17 anni per bancarotta fraudolenta – scontata a casa per motivi di salute – conclude così una lunga parabola che nel bene e (molto) nel male riflette quella dell’Italia nell’epoca che attraversò da protagonista. Gli esordi negli Anni ‘60 con il passaggio dalla salumeria di famiglia al latte, l’intuizione di concentrare il prodotto quotidiano di migliaia di stalle della “Bassa”, confezionandolo nel modo più moderno che si potesse immaginare, a partire dal Tetrapack degli svedesi, e portandolo sotto quel marchio “glocal” – Parmalat - sugli scaffali dei nascenti supermercati e da lì nei frigoriferi degli italiani.
L’impero alimentare, con i suoi addentellati di pubblicità e relazioni e la scalata – un classico – del geniale imprenditore della provincia verso le vette dello show business, dello sport, della politica romana e della finanza milanese. Così nella fase ascendente c’è l’acquisto di Odeon Tv, la galoppata di sponsorizzazioni tra sci e Formula Uno, e la scontata acquisizione della squadra di casa, il Parma Calcio che sotto la guida di Tanzi miete coppe. E un rapporto sempre più stretto con il mondo politico: il devoto Tanzi non guarda mai troppo lontano dalla Democrazia cristiana. Ciriaco De Mita, che in quegli anni della Dc è segretario, è ospite fisso sul panfilo del patron, ma Parmalat intrattiene rapporti con tutto l’arco costituzionale.
Il gruppo che nel 1973 fattura 20 miliardi di lire, nell’83 supera i 500. Vent’anni dopo, alla vigilia del crac e dopo la quotazione in Borsa decisa nei ruggenti Anni ’90, il fatturato sfiora i 15 miliardi e i debiti – mai rivelati – arrivano a oltre 14. Questa volta di euro. In mezzo c’è stata una crescita verso altri prodotti, dai succhi di frutta alle merendine, ma soprattutto una produzione indefessa di carte false e una campagna acquisti dissennata, spesso guidata dall’interesse delle banche creditrici di qualche gruppo in difficoltà. Parmalat diventa così un’enorme discarica in cui finiscono aziende in difficoltà: la Eurolat di Sergio Cragnotti (patron della Lazio, anche qui business e calcio) che Tanzi rileva per 700 miliardi di lire nel ’99, prestando un indubbio servizio alla Banca di Roma e al suo numero uno Cesare Geronzi, e poi con lo stesso copione le acque minerali di Giuseppe Ciarrapico.
Nel 2002 la situazione del gruppo che vanta un indebitamento ufficiale di soli 5 miliardi e una liquidità di oltre 3, ma emette obbligazioni da poche centinaia di milioni a ciclo continuo, comincia ad agitare la comunità finanziaria, specie dopo un report della banca d’affari Merrill Lynch dal titolo esplicito, “La pagliuzza che rompe la schiena del cammello”. Sotto quella pagliuzza cade non il cammello, ma la mucca che in tanti hanno munto. Per “creare” la liquidità che Parmalat vuole far figurare il direttore finanziario Fausto Tonna fabbrica fatture false che in teoria dovranno essere ripagate da società estere. Una di queste, con un’esposizione verso Parmalat superiore ai 3 miliardi è la Bonlat, delle Cayman, in teoria dotata di una liquidità di 4 miliardi depositata presso la Bank of America. Peccato che il 17 dicembre la stessa banca, con un fax, informi che la Bonlat non ha alcuna liquidità. I documenti Parmalat venivano confezionati con forbici, carta intestata degli americani e fotocopiatrice in un inedito mix tra Tototruffa e Wall Street, È la fine: mentre a Parma si è insediato una sorta di commissario come Enrico Bondi, il 27 dicembre, dopo un misterioso viaggio nelle Americhe, Tanzi è arrestato.
Autorità di vigilanza, banche, società di rating, controllori interni e anche i giornali non si sono accorti di nulla fino quasi all’ultimo. A farne le spese sono gli azionisti di Parmalat, che vedono azzerato il loro investimento, e i detentori di obbligazioni, che a questo punto valgono poco o niente. Mentre per Tanzi e pochi altri si apre una via giudiziaria che vedrà confermate le principali condanne in Cassazione, Bondi apre contenziosi con le banche creditrici e li chiude a suon di centinaia di milioni di euro. Non basta per salvare Parmalat, che nel 2011 viene acquistata dai francesi di Lactalis e ritirata dalla Borsa. Otto anni dopo la società, con la sua liquidità, viene assorbita in toto dal colosso francese. L’avventura di Tanzi non avrebbe potuto concludersi in un modo più triste.

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Sergio Bocconi, Corriere della Sera
Era agli arresti domiciliari ma è stato ricoverato in ospedale a metà dicembre. È morto ieri a 83 anni Calisto Tanzi, l’imprenditore che ha fondato Parmalat e ne ha causato il dissesto. L’ultimo atto della sua parabola è andato in scena il 20 ottobre 2019 quando a Milano sono state battute all’asta per 12,5 milioni 55 opere, un tesoro che aveva nascosto prima del crac: quadri di Picasso, Monet, Van Gogh, Kandinskij e Ligabue. Il ricavato è andato a rimborsare i creditori della bancarotta Parmalat da 14 miliardi scoperta il 17 dicembre 2003, quando la Bank of America ha smentito l’esistenza nel conto Bonlat dei 4 miliardi dichiarati da Tanzi in un documento confezionato ad hoc da lui e dal braccio destro Fausto Tonna. Un falso come tanti, serviti a nascondere il dissesto. 
Un crac che ha sconvolto l’Italia. Non solo perché nella rete di falsi e complicità erano caduti oltre 80 mila risparmiatori: Tanzi aveva anche comprato il Parma Calcio portandolo a vincere in Europa e aveva rapporti stretti con banche e politica, in particolare con la Dc di Ciriaco De Mita. 
Nato a Collecchio, vicino a Parma, in una famiglia di piccoli imprenditori, Calisto nel 1961 con un caseificio e un impianto di pastorizzazione fonda Dietalat, poi diventata Parmalat. Il primo passo decisivo lo mette a punto dopo che, in Svezia, «scopre» il Tetra pak. Sviluppa il procedimento Uht per la lunga conservazione e diversifica in conserve e succhi di frutta. Il secondo salto lo compie fra gli anni 70 e 80. Il valore aggiunto della sua produzione non è molto alto, perciò l’affermazione industriale ha luogo anche grazie a investimenti in marchi, pubblicità e sponsorizzazioni. Il brand Parmalat viene così associato a nomi di campioni dello sci come Gustav Thöni e Ingemar Stenmark e a piloti come Niki Lauda e Nelson Piquet. I rapporti con la politica, che lo portano ad aprire anche uno stabilimento a Nusco (dove è nato De Mita), lo convincono a rilevare un pacchetto di emittenti tv. Nel settore fa accordi con Acqua Marcia ma non va in porto l’offerta per Rete 4 a Silvio Berlusconi. 
Parmalat cresce anche con acquisizioni all’estero finanziate con debiti. Le casse cominciano ad accusare colpi anche perché il gruppo rappresenta una fonte di risorse private per la famiglia. Tanzi nel 1990 decide di quotare in Borsa l’azienda. E ciò alimenta nuove mire espansioniste. Compra il Parma e, seguito da vicino dalle banche e in particolare dalla Banca di Roma guidata da Cesare Geronzi, diversifica nel turismo e nelle acque minerali. Ma l’imprenditore vuole crescere ancora di più in Italia e diventare globale, perciò entra nel mercato internazionale dei bond. Nel suo obiettivo c’è anche Cirio. Se l’aggiudicherà Sergio Cragnotti, con il quale Tanzi ha ottimi rapporti. E qualche tempo dopo Cirio venderà a Parmalat la divisione latte. 
Tanzi smentisce più volte ma le voci sulla precaria situazione finanziaria del gruppo diventano sempre più insistenti. Lui e Tonna hanno già cominciato da tempo a occultare i veri conti del gruppo, ma la contabilità di Parmalat non sembra preoccupare banche, big internazionali in prima fila, e agenzie di rating. La Consob comincia a indagare. E si arriva al 17 dicembre 2003: dopo il mancato pagamento di bond per 150 milioni, viene rivelato il buco Bonlat. Una scoperta sconcertante comunicata a Enrico Bondi, il manager che aveva risanato Montedison e che 2 giorni prima aveva assunto tutti i poteri in Parmalat, lasciati da Tanzi che si era dimesso da cariche e cda. 
Inizia la lunga storia giudiziaria. L’imprenditore viene arrestato pochi giorni dopo. Fra processi e sentenze trascorrono anni: viene condannato per aggiotaggio (8 anni), bancarotta fraudolenta (17,5) e per il crac Parmatour (9 ). Ne sconta qualcuno in carcere ma soprattutto agli arresti domiciliari nella sua villa vicino a Parma. Il crac, disastroso, sotto il profilo finanziario si è però concluso con risultati che era difficile attendersi nel 2003. Guidata da Bondi, Parmalat ha raccolto miliardi nelle transazioni (durissime) con le banche, ha ripagato con oltre il 50% non pochi obbligazionisti. Ed è stata rilevata nel 2011 dalla francese Lactalis. Oggi fattura circa 7,5 miliardi ed è la 17esima società industriale italiana.

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Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 
L’imbroglio milionario realizzato con i trasferelli, che tenne incredibilmente in scacco per un decennio autorità di controllo e banche internazionali, saltò il giorno di Santo Stefano del 2003, quando Calisto Tanzi fu arrestato. Ora se n’è andato, a 83 anni, il giorno di Capodanno 2022. Prima di quel Santo Stefano, era stato il condottiero invincibile di una multinazionale sbocciata nella provincia emiliana. Dopo quel giorno, il protagonista della più colossale bancarotta mai vista. Per capire questa traiettoria, bisogna viaggiare tra le due città in cui si è sviluppata la straordinaria avventura di Tanzi: Parma e Roma. A Parma, luogo dove salumi, formaggi e arte diventano eccellenza e ricchezza, il giovane Calisto comincia a creare il suo miracolo. A Roma incontra la politica e il sistema politico-finanziario che lo perderà.
Aveva 22 anni nel 1961, quando fonda la sua impresa, sviluppando l’aziendina del nonno: a Collecchio, il paesetto alle porte di Parma allora ancora immerso nelle brume della nebbia padana. Commercializza il latte, sviluppa la distribuzione mettendolo nel tetrapack, inventa di fatto il latte a lunga conservazione. Si espande nel mondo, con 130 stabilimenti. Poi si allarga ad altri settori, il turismo (Parmatour), la tv (Odeon), lo sport (dal Parma Calcio alla Formula 1). Nel 1973 il suo giro d’affari era di 20 miliardi di lire, dieci anni dopo sale a 550 miliardi. Se l’Italia del boom favorisce il suo decollo straordinario, gli anni Ottanta preparano il suo crollo rovinoso. A Roma regnano – e si combattono – Ciriaco De Mita (Dc) e Bettino Craxi (Psi). La politica diventa ménage a tre con banchieri di sistema e imprenditori di riferimento. Craxi ha, dalla sua, Silvio Berlusconi. De Mita conquista Tanzi. La sua Parmalat, cresciuta in fretta e a dismisura, già comincia a zoppicare, ma Calisto viene dissuaso a venderla ai francesi della Danone che gli offrono ben 700 miliardi di lire: Tanzi serve a far sistema per la politica “buona” contro i “cattivi” di Craxi e del Caf. È per questo che compra, svenandosi, Odeon Tv, che De Mita cerca (invano) di contrapporre a Canale 5. Si mette in moto un vortice di debiti che Tanzi affronta da giocatore di poker, alzando la posta, accrescendo il rischio con nuove acquisizioni e nuovi finanziamenti del debito.
I conti, quelli veri, sono brutti. Lui li aggiusta, assistito da una banda di contabili di provincia e sostenuto da una rete di relazioni nella politica, nell’informazione, nella finanza. I banchieri con lui sono generosi, anche perché i finanziamenti generano ricche commissioni. Nel 1990, Parmalat è in perdita da anni, ma non lo dice a nessuno e si salva quotandosi in Borsa: a pagare sono i risparmiatori ignari. Poi si finanzia con i bond, che moltiplicano il debito ma rendono benissimo alle banche che fanno a gara per emetterli: JpMorgan, Merrill Lynch, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Morgan Stanley, Citigroup… Le autorità di controllo, Consob, Bankitalia, non vedono. Tanzi veleggia ormai in un mondo virtuale, dove i conti veri spariscono e crescono la finanza, le commissioni, le regalie, le tangenti. Paga, Calisto. Paga sponsorizzazioni e restauri che rendono bella Parma e gli conquistano la gratitudine dei concittadini. Paga le commissioni alle banche. Regala viaggi a tanti amici e anche a qualche magistrato. Paga, naturalmente, i politici. Dopo il crollo, il pm di Parma Vito Zincani li divide in tre gruppi: “A un primo gruppo appartengono coloro che hanno negato di aver ricevuto contributi (Stefani, Speroni, D’Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sanza, Scalfaro, Bersani, Lusetti, Gargani). A un secondo gruppo coloro che hanno ammesso di aver ricevuto finanziamenti nei limiti previsti dalla legge (Casini, Prodi, Buttiglione, Ubaldi, Castagnetti, Duce, Segni, Sanese). A un terzo gruppo coloro che hanno intrattenuto rapporti con Tanzi in epoche passate ben oltre il limite di prescrizione dei reati eventualmente commessi (Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani). Nessuno, ovviamente, ha ammesso di aver ricevuto illeciti finanziamenti”.
Finisce per diventare un burattino nelle mani del sistema che lo tiene in piedi. Nel 1999 compra Eurolat dal gruppo Cirio di Sergio Cragnotti a un prezzo esagerato, oltre 700 miliardi di lire, per consentire a Cragnotti di rientrare dei debiti con la Banca di Roma di Cesare Geronzi. Il gioco si ripete nel 2002, quando Tanzi, sempre spinto da Geronzi, compra le acque minerali Ciappazzi da Giuseppe Ciarrapico, anche lui indebitato con Banca di Roma.
Così la sua Parmalat diventa “la più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo”: lo scrivono i magistrati dopo che il re appare nudo. Nel dicembre 2003 Tanzi salta, dopo l’ultimo bluff: non può rimborsare il bond di 150 milioni di euro in scadenza; e i 4 miliardi di liquidità parcheggiati, secondo i bilanci Parmalat, nella Bonlat delle Cayman sono un miraggio, una falsità, la Bonlat è una scatola desolatamente vuota.
È un crac da 14 miliardi di euro. Coinvolge 80 mila investitori e piccoli risparmiatori (per le associazioni dei consumatori quasi il doppio). Calisto e il fido ragionier Fausto Tonna avevano per anni tenuto in piedi un castello di carte false e di documenti fatti in casa con i trasferelli.
Tanzi accumula condanne per 39 anni. Per un decennio è costretto ad assumere il ruolo del colletto bianco severamente punito dietro le sbarre, lavando così la cattiva coscienza del sistema – politici, banchieri, autorità di controllo, giornalisti, agenzie di rating – che lo ha per decenni sostenuto, esaltato, celebrato, difeso, usato, spremuto.


Andrea Giacobino per Avvenire
Con la scomparsa di Calisto Tanzi se ne va un pezzo importante dell’imprenditoria italiana degli anni Ottanta-Novanta, caratterizzato da un elevato grado di innovazione di prodotto ma anche accompagnato purtroppo da spericolate incursioni nella finanza che portarono la sua Parmalat, che aveva inventato il latte a lunga conservazione, al crac scoperto nel 2003 (il più grande perpetrato da una società privata in Europa), nonostante successivamente sia stato dimostrato come le difficoltà finanziarie fossero rilevabili già agli inizi degli anni Novanta. L’ammanco lasciato dalla società, mascherato dal falso in bilancio, si aggirava sui 14 miliardi di euro: con l’accusa di bancarotta fraudolenta Tanzi fu rinviato a giudizio e in seguito condannato a 17 anni di reclusione, per la quale si trovava ai domiciliari, con condanne anche a dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il crollo finanziario della Parmalat è costato l’azzeramento del patrimonio dei piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in obbligazioni hanno ricevuto solo un parziale risarcimento. L’impresa fu salvata dal fallimento e la sua direzione venne affidata al commissario Enrico Bondi, che ne risanò parzialmente i conti a partire dal 2005 finché fu comprata dalla francese Lactalis.

Nel 1973 il giro d’affari del Gruppo era pari a 20 miliardi di lire, saliti a ben 550 nel 1983. Nel mezzo, tra gli anni ’70 e ’80 Tanzi investì massicciamente nella promozione commerciale dei propri marchi, con campagne pubblicitarie innovative e programmi di sponsorizzazione sportiva: dai campioni di sci alpino Gustav Thöni e Ingemar Stenmark, ai piloti di Formula 1 Niki Lauda e Nelson Piquet e alla scuderia Brabham. Proprio negli anni Ottanta è l’acquisto del Parma Calcio, neopromosso in serie A e che durante la sua gestione conquistò i suoi più grandi successi, tra cui la Coppa delle Coppe nell’indimenticabile notte di Wembley nel 1993. Negli anni Ottanta Tanzi entrò in contatto per la prima volta con Ciriaco de Mita, in seguito capo del governo, col quale strinse un forte legame. Parmalat così aprì uno stabilimento a Nusco, città natale di De Mita e grazie all’appoggio della politica acquisì poi la Margherita Yoghurt e la Cipro Sicilia entrambe fortemente indebitate. A fine anni Ottanta i debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire. Per evitare il peggio Tanzi decise di quotare la società in Borsa, ma le forti perdite di Odeon Tv, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono l’imprenditore a rivolgersi

alle banche per un prestito. Un gruppo di istituti di credito erogò 120 miliardi di lire, garantite dal 52,24% del capitale della società parmigiana e per completare l’operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell’emittente televisiva italiana.

Nonostante una successiva riorganizzazione che portò alla nascita della nuova Parmalat Finanziaria, i conti della società non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento. Per occultare alla Consob questi dati Tanzi affidò per anni all’avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i paradisi fiscali di Caraibi, Delaware e Isole Cayman. Attraverso un sistema di false fatturazioni orchestrato dal direttore finanziario Fausto Tonna fu inventato un conto corrente presso la Bank of America, intestato alla società Bonlat, con sede alle Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro, al fine di avere la credibilità delle banche per ottenerne finanziamenti. Le cifre che le banche concedevano a Tanzi servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l’idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio Citigroup propose l’acquisto di obbligazioni Parmalat ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la società si era creata. Le difficoltà maggiori per Tanzi cominciano nel 1999 quando acquistò Eurolat dal gruppo Cirio di Sergio Cragnotti per un prezzo esorbitante, oltre 700 miliardi di lire, per consentire a Cragnotti di rientrare dei debiti con la Banca di Roma di Cesare Geronzi. Uno schema che, secondo gli inquirenti, si ripetè anche quando nel 2002 Tanzi decise di comprare le acque minerali da Giuseppe Ciarrapico, anche lui indebitato con Banca di Roma. Si pagavano debiti, insomma, contraendo altri debiti. Nel 2003 Tanzi chiamò Bondi al capezzale di Parmalat, ma il super-consulente subito si rese conto che Parmalat non poteva fare fronte pagamento di un bond di 150 milioni di euro in scadenza di lì a poco. Il 27 dicembre dello stesso anno Tanzi venne arrestato e cominciò così, dopo l’avventura economica, anche la sua vicenda giudiziaria, culminata a dicembre del 2010 con la condanna a 18 anni di reclusione per aver creato quella che, secondo la definizione degli inquirenti, era diventata «la più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo».


Alberto Abbate per Il Messaggero
(Intervista a Sergio Cragnotti)

Erano giganti che muovevano miliardi, società e campioni con tanta rapidità e leggerezza da far pensare che i loro pozzi fossero davvero senza fondo. Giacimenti dai quali sbucavano risorse senza soluzione di continuità e che poi, proprio perché si basavano su fondamenta fragili, si sono prosciugati all’improvviso. Eppure, prima di finire a processo, Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, hanno rappresentato la borghesia rampante del calcio italiano. Con Parma e Lazio hanno dato vita a clamorosi scambi di mercato: da Crespo e Veron passando per Almeyda e Conceicao, sino a Dino Baggio.
Chi è stato per lei Tanzi?
«Un grande imprenditore, con un’ottima conduzione sia per la sua città che per tutta l’Italia. Ha fatto grandi cose per il Paese. Noi abbiamo avuto un ottimo rapporto, soprattutto negli affari legati al calcio»
Affari discutibili, come poi si rivelarono alcune operazioni che portarono alla bancarotta di Parmalat e Cirio. Ci sono andati di mezzo migliaia di risparmiatori...
«Avevamo una visione globale e un progetto industriale. Abbiamo investito tanto, ma venduto altrettanto. Compravamo grandi campioni, ma ne cedevamo altri per costruire le finanze delle nostre società. Noi inventammo le plusvalenze, reali, non numeri fantasiosi, e apportavano vantaggi economici. E negli anni poi ci hanno seguito tutti».
Lazio, Parma, persino la Fiorentina di Cecchi Gori, sembravano però avere rose superiori ai propri mezzi...
«In quel momento particolare, il boom economico aveva permesso a tanti presidenti di costruire squadri importanti. C’erano le sette sorelle che lottavano per lo scudetto. Il venir meno dell’espansione industriale ed economico-finanziaria ha portato a cambiamenti».
Lei fece pure un’alleanza con Sensi per combattere lo strapotere delle compagini del Nord?
«Franco fece un grande progetto industriale interrotto poi, forse, dalla malattia. Io e lui avevamo idee comuni, volevamo far diventare Roma la capitale del calcio italiano e ci riuscimmo per anni. Andavamo in Champions, facevano man bassa di trofei. Si può fare una battaglia per una partita, non nel proprio settore».
Essere presidenti di una squadra di calcio fa sentire immuni?
«Assolutamente no, anzi siamo diventati il capro espiatorio di tutto ciò che accadeva al di fuori. Le nostre questioni imprenditoriali hanno fatto venir meno il sostegno alle attività calcistiche. Il bilancio della Lazio era stato vagliato dalla Consob».
E allora Geronzi perché decise che Cragnotti - che aveva il 50% - doveva uscire dalla Lazio?
«Non credo sia stato lui a declinare il sostenimento alla nostra idea calcistica, la Banca intera non ha sostenuto il progetto industriale. Noi avevamo venduto Eurolat a Tanzi, ci eravamo espansi con Del Monte. Lo staff dirigenziale non ha creduto nel nostro valore».

 Paolo Stefanato per il Giornale
Come un ponte prima del crollo, la Parmalat scricchiolò a lungo, poi fece intravedere delle crepe, infine cadde giù d’un botto, in pochi istanti catastrofici. Era il 17 dicembre 2003 e l’azienda di Collecchio non pagò un bond da 150 milioni di euro. Per rassicurare il mercato col fiato sospeso, l’azienda mostrò un estratto conto della Bank of America, sede delle Isole Cayman, in cui si certificava l’esistenza di un deposito con 3,95 miliardi di liquidità. Ma la banca negò l’esistenza di quel denaro e il documento si rivelò un falso clamoroso, fabbricato e impiastricciato di propria mano da Calisto Tanzi, titolare dell’azienda, e da quel Fausto Tonna, direttore finanziario, che, risucchiato nella vicenda giudiziaria, augurò ai giornalisti «morte lenta e dolorosa». Crollò tutto nel giro di pochi giorni, di poche ore. Un crac da 14 miliardi di euro, 38mila risparmiatori coinvolti, anzi truffati, visto che vennero acclarati reati, a cominciare dalla bancarotta fraudolenta.
Le ultime immagini di Tanzi lo ritraggono in tribunale, anni fa, col sondino al naso, l’aria sofferente, una magrezza da 48 chili. Chiese perdono «nel dolore e nel rimorso» per le sofferenze inflitte a tante famiglie, insistette sul ruolo colpevole assunto dalle banche, accettò le condanne in silenzio e poi passò i lunghi periodi in carcere e in ospedale recitando il rosario, pregando, leggendo testi sacri. Cattolico lo era sempre stato, e negli anni d’oro finanziò parrocchie e pagò i restauri in tante chiese. Fu condannato, dopo tre gradi di giudizio, a 8 anni e un mese per aggiotaggio e a 17 anni e 5 mesi per bancarotta fraudolenta. Gli fu confiscato tutto il possibile, ma non la casa dove scontò gli arresti domiciliari con una parziale libertà a ore fisse: quella bella villa col parco è intestata alla moglie, Anita Chiesi, azionista dell’omonima azienda farmaceutica. Insomma, Tanzi nonostante tutto non è morto povero, almeno in senso strettamente materiale.
Non era nato ricco. Giovane ragioniere di Collecchio, presso Parma, prese in mano la piccola azienda di alimentari e conserve fondata dal nonno Calisto. Dimostrò fiuto per gli affari e cavalcando lo sviluppo, negli anni Settanta e Ottanta, cercò nuovi orizzonti produttivi e nuovi mercati. I grandi incontri della sua vita furono due. Uno in Svezia, quando s’imbattè in una confezione di TetraPak e fu fulminato dall’idea che il futuro di un prodotto globale come il latte passava attraverso un packaging moderno e tecnologie alimentari che permettessero la lunga durata. Su questo fondò il suo impero industriale. L’altro incontro fu favorito da un nebbione. Ciriaco De Mita, uno dei democristiani più potenti di allora - ministro, presidente del Consiglio, segretario del partito - aveva perso il proprio volo e qualcuno suggerì a Tanzi di dargli un passaggio con il jet della Parmalat. Nacque un’amicizia proficua per entrambi, che s’incarna in tre «favori» spesi dall’industriale per il politico: aprì una fabbrica a Nusco, creando occupazione nel paese natale dei De Mita; sponsorizzò l’Avellino calcio e acquistò Odeon tv poi travolta dai debiti - cercando di farne un’emittente cattolica alternativa al polo Fininvest.
Quel che ottenne Tanzi da De Mita non si sa con precisione, e assume la parola generica ma ammaliante di protezione. La politica non fu estranea al credito che Parmalat ottenne sempre facilmente dalle banche. L’azienda si riempì di debiti per far fronte allo sviluppo e alle acquisizioni all’estero. Nei momenti d’oro aveva 36mila dipendenti, stabilimenti in 30 Paesi, dichiarava un fatturato equivalente in lire a 7,6 miliardi di euro. A un certo punto, era il 1990, gli scricchiolii suggerirono la via della Borsa, e fu presa una scorciatoia: anziché quotare Parmalat e sottostare alle regole richieste da Consob, la società acquistò una scatola vuota quotata la Finanziaria Centro Nord con la quale si fuse, entrando a Piazza Affari senza anticamere e senza troppi controlli. Il gruppo era formato da 500 società, quasi tutte in perdita, alcune dei pozzi senza fondo, come Parmatour, o il Parma Calcio.
Il grande paradosso delle vicende di Tanzi è che l’azienda e i prodotti, in termini industriali, andavano bene: ci furono momenti in cui nella sola New York si vendevano un milione di confezioni al giorno. Tant’è che Parmalat esiste ancora: dopo la cura del commissario Enrico Bondi fu risanata, riuscendo a restituire parte delle perdite ai risparmiatori truffati. Peccato che sia finita in mani francesi, nonostante gli appelli inascoltati di Bondi. Quello che non funzionò fu la finanza. A più livelli.
Già prima della quotazione i fornitori si lamentavano per i pagamenti in ritardo: un’avvisaglia. Il gruppo era cresciuto rapidamente e praticamente solo a debito. Poi, Tanzi dirottò fraudolentemente su società private, di famiglia, ingenti somme sottratte all’azienda, e non di tutto si trovò traccia. Inoltre ma questo in chiaro - la politica dei dividendi fu sempre generosa, poiché essi andavano innanzitutto nelle tasche dei membri della famiglia.
Poi c’è il capitolo banche. Quando un imprenditore cresciuto a debito diventa troppo debole, di fronte a chi gli fa roteare il cappio come minaccia deve cedere. Nacque così il sistema-Parmalat. Funzionava più o meno così: se la banca non riusciva a rientrare dei debiti da un’azienda, la faceva acquistare a Parmalat, finanziando quest’ultima con un bond; i soldi del bond servivano a pagare il debito con la banca, più una quota alla stessa Parmalat per il disturbo. Il bond poi veniva messo sul mercato e venduto dalla stessa banca ai risparmiatori, naturalmente ignari, sui quali faceva effetto il nome di un marchio presente in tutto il mondo, che vedevano ogni giorno al supermercato, che sponsorizzava i più grandi campioni dello sci e della Formula 1. Crollò tutto con quel maldestro falso da 3,95 miliardi. Quel giorno per Tanzi, smascherato, cominciò la via dell’espiazione, almeno quella terrena. Sul perdono divino lui così cattolico nessuno può ipotizzare nulla.