Varie, 31 dicembre 2021
In Morte di Pupetta Maresca
Roberto Saviano per il Corriere
Pupetta Maresca è stata la storia della camorra. Donna boss e killer, è morta a 86 anni.
P upetta Maresca è probabilmente la figura criminale che più d’ogni altra ha incarnato in pieno tutti gli elementi mediatici in grado di attirare sulla sua storia una curiosità appassionata e morbosa. Innanzitutto era molto bella, e con «bella» intendo dire che il suo viso e il suo corpo coincidevano con il canone imposto dalle aziende di moda dell’epoca, dagli sceneggiati televisivi, dalla cartellonistica pubblicitaria: aveva il viso gentile della brava ragazza, era descritta dai rotocalchi come la donna napoletana selvaggia e assassina. Una giovane sposa e mamma vendicatrice: il melodramma perfetto per gli italiani.
In realtà la storia di Pupetta Maresca non incuriosì solo l’immenso pubblico da rotocalco, ma anche una parte di società civile che vedeva in lei una sorta di riscatto protofemminista. Non si era fatta proteggere o vendicare da alcun uomo: padre, fratello, marito, ma anzi aveva protetto il figlio e vendicato il marito con le sue stesse mani. Eppure, lungi dall’essere protofemminista, il suo comportamento era in perfetta coerenza con la logica del patriarcato mafioso, della faida di potere e della vendetta. Ne aveva solo cambiato il segno (sostituendo la mano femminile a quella maschile) non modificandone la struttura.
Ma andiamo con ordine. Fu proprio la sua bellezza a darle il soprannome: Assunta Maresca, detta «Pupetta», che significa «bambolina». Nasce nel 1935 in un contesto criminale: la sua famiglia è soprannominata «I lampetielli», piccoli fulmini, perché erano bravi a tirare coltellate. Tutto cambia quando ragazzina vince Miss Rovigliano, un concorso di bellezza a Torre Annunziata, comune vicino Napoli. Lì la nota Pasquale Simonetti, camorrista conosciuto come «Pascalone ’e Nola»: nel 1955 si sposano al Santuario di Pompei e il testimone del loro matrimonio è Antonio Esposito, detto Tonino ’e Pomigliano, socio di Pascalone e camorrista al servizio dei latifondisti campani.
Pasquale Simonetti aveva un ruolo determinante nella camorra agraria degli anni 50, gestiva il mercato dei prodotti agricoli della Campania dal Vesuviano al Salernitano. Sostanzialmente imponeva i prezzi delle patate, dei meloni, dei pomodori, della frutta, dei fiori, delle verdure. Ottanta giorni dopo le nozze di Pupetta e Pasquale, il loro testimone dà l’ordine di morte e fa ammazzare Pascalone ’e Nola. Il killer spara un solo colpo, al polso, dove qualsiasi fasciatura è impossibile per frenare l’emorragia. Morirà dissanguato. Antonio Esposito, «Tonino ’e Pomigliano», fece uccidere il suo compare per tutelare le nuove grandi compagnie di import-export, che mal sopportavano i prezzi tenuti alti sul mercato da Pascalone, e farsi garante presso di loro.
Poche settimane dopo il matrimonio, quindi, Pupetta Maresca rimane vedova. Tutti sanno chi è il mandante, ma Antonio Esposito non viene arrestato. Pupetta, incinta di sei mesi, insieme a suo fratello Ciro, all’epoca quattordicenne, in pieno giorno entra nel bar e scarica addosso a «Tonino ’e Pomigliano» un intero caricatore di Smith&Wesson.
È dopo questo omicidio che nasce l’epopea: nel 1959 inizia il processo, c’è il New York Times, ci sono i giornali tedeschi e tutta la stampa francese, per la prima volta vengono messi i microfoni nel tribunale di Napoli per far ascoltare bene la voce di Pupetta Maresca. L’opinione pubblica si divide tra «Pupettisti», secondo i quali l’omicidio era da considerarsi passionale e quindi propendevano per l’assoluzione, e «Antipupettisti», per i quali era tutta una questione di criminalità. Pupetta nelle dichiarazioni spontanee del processo dirà: «Ho ucciso per amore, ma anche perché volevano uccidermi. Se mio marito fosse tornato in vita e l’avessero ucciso di nuovo, avrei fatto la stessa cosa».
Verrà condannata a diciotto anni, mentre suo fratello, minorenne, a dodici. Dopo questa storia nasce il mito di Pupetta. Viene graziata dopo dieci anni di carcere e parteciperà a un film, oltre che a infinite interviste a pagamento. Il film si chiama Delitto a Posillipo : una pellicola modesta, del 1967, con la regia di Renato Parravicini, dove c’è Pupetta Maresca che canta in carcere una canzone che ha scritto lei.
Hans Magnus Enzensberger scriverà delle pagine importantissime, raccolte nel saggio Politica e crimine (Bollati Boringhieri), sulle vicende di Pupetta Maresca, donna che si emancipa. Ma l’attenzione internazionale per Pupetta non finisce qui: una delle maggiori studiose di crimini al mondo, Clare Longrigg del Guardian, ne ha scritto in un libro, Mafia Women : la maggior parte delle informazioni più accreditate le abbiamo da lei, che l’ha incontrata e a lungo intervistata.
Che Pupetta fosse completamente interna al mondo criminale e che l’omicidio di Tonino ’e Pomigliano c’entrasse poco con una difesa unicamente sentimentale, lo mostra il fatto che, uscita dal carcere, si lega a un uomo che nelle storie di camorra ha avuto un grande spessore: Umberto Ammaturo. Ammaturo, detto Umbertino la volpe, per la sua infinita furbizia, non era un camorrista classico. Anche in questo caso, Pupetta si lega a una figura del tutto particolare, che per ragioni di guerra si troverà contro Raffaele Cutolo: era infatti membro negli anni Ottanta del cartello nemico del boss, la Nuova Famiglia. Più che un camorrista, Umberto Ammaturo è un narcotrafficante. In diverse documentazioni di quegli anni dell’Fbi e della DEA, viene considerato addirittura il maggiore importatore di cocaina. Pupetta e Ammaturo non si sposeranno mai, ma avranno due gemelli. Invece il figlio, Pasqualino, avuto con «Pascalone ’e Nola», sparirà nel gennaio del 1974. Pupetta sospetterà che sia coinvolto Umberto Ammaturo in questa sparizione perché Pasquale non aveva mai accettato di vedere il padre sostituito da «Umbertino a’ volp».
Ammaturo fu assolto dall’accusa dell’omicidio del figliastro, e Pupetta disse: «Ho sempre pensato che Pasqualino dava fastidio a Umberto, era troppo simile a suo padre». Ma aggiunse che, se Umberto Ammaturo le avesse confessato l’omicidio, «lo avrei ucciso senza esitare». Dopo questo episodio, le cose andarono sempre peggio, e i due si separarono nel 1982.
Quello che fu l’errore più grande, comunicativamente, di Pupetta Maresca, avvenne proprio in quell’anno: sfrutta la sua fama mediatica per convocare i giornalisti al Circolo della Stampa di Napoli, il 13 febbraio 1982. In un bellissimo luogo, nella Villa Comunale di Napoli, fa una dichiarazione di guerra: «Se Cutolo tocca qualcuno della mia famiglia, faccio ammazzare senza pietà i suoi killer, i suoi scagnozzi, le donne e pure i bambini in culla. La Campania è soffocata dal potere occulto di Raffaele Cutolo». Questa dichiarazione non spaventò affatto l’«NCO» di Cutolo, ma mostrò tutta la vulnerabilità in cui si trovava Pupetta, che non si sentiva più protetta da Ammaturo e si trovava a metà strada tra cutoliani e la Nuova famiglia: non era della Nuova Famiglia ed era allo stesso tempo nemica dichiarata di Cutolo.
Quelle parole cambiarono per sempre la percezione della sua figura: perse il romanticismo di cui si era ammantata sui rotocalchi e divenne una classica camorrista. Pupetta Maresca ha così appassionato le cronache perché sembrava una figura da feuilleton, in grado di tenere dentro la contraddizione della giustizia, che attira il lettore sin dalla notte dei tempi. Una donna che, certo, commette ingiustizia, ma lo fa in nome di una giustizia che l’istituzione, l’apparato, non riconosce, soprattutto verso i deboli.
Ha avuto una vita lunga, Pupetta, è morta a ottantasei anni nel suo paese, a Castellammare di Stabia, coccolata e raccontata al punto che le è stato dedicato uno sceneggiato televisivo con Manuela Arcuri che ne fu una vera apologia. Mi ha sempre stupito che poco prima di morire avesse con disgusto guardato Gomorra, accodandosi a una vulgata, per la verità più borghese che popolare, di un’esaltazione del crimine (proprio lei...). Pupetta con la sua bellezza e il suo coraggio era riuscita ad appassionare anche e soprattutto la Napoli (e non solo) non criminale. Un modo consolatorio per sentirsi estranei alle dinamiche criminali, guardarle con fascino... E invece Pupetta Maresca è stata decisamente altro, è la disperazione di una terra costretta sempre a essere raccontata con codardia, brandendo la bellezza del golfo contro chiunque ne racconti il sangue, pensando che descrivere una faida sia ignorare le sue chiese e i suoi Decumani.
Non c’è verità, se la bellezza non viene raccontata nel profondo delle sue contraddizioni, se non si rifugge la tentazione di descrivere una cartolina inesistente, se non ci si impegna a cercare una traccia di verità.
Conchita Sannino per la RepubblicaNAPOLI – Uccise a viso aperto l’uomo che l’aveva resa vedova precoce. Una ragazza gravida e omicida – la disegnarono i rotocalchi – contro i boss storici. Tanto da ispirare cinema, documentari e tv. Era il 1955 e il soprannome di “Lady camorra”, nell’Italia che scopriva lo scandalo e anche il brivido di una giovane assassina per vendetta, l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Fino all’altro ieri, quando Pupetta Maresca, classe ’35, si è spenta nella sua casa, a Castellammare di Stabia, un passo dalla penisola sorrentina, dopo a una lunga malattia. Il suo primato di donna criminale diceva di averlo pagato «con le lacrime e la sofferenza». Ma senza mai rinnegarlo davvero.
Solo tra pochi giorni, il 19 gennaio, Pupetta, nata Assunta, avrebbe compiuto 86 anni.
Era la femmina spuntuta, cioè acuminata, dei Maresca, Pupetta. Padre Alberto pericoloso contrabbandiere. I fratelli Pasquale e Ciro, soldati di mala in ascesa. Lo zio Vincenzo, già condannato per l’esecuzione di un fratello. Pupetta si innamorò di un altro profilo da gang: Pasquale Simonetti detto Pascalone ’e Nola. L’economia illegale aveva davanti il boom economico e nessuna barriera. Chiaro che gli affari sul mercato ortofrutticolo suscitassero nuovi appetiti e faide. Così fu proprio il boss amico, Antonio Esposito, detto Totonno ’e Pomigliano, l’uomo che aveva fatto da testimone al matrimonio di Pupetta e Pascalone, a sentenziare la condanna a morte per quest’ultimo che non voleva piegare la testa.
Lei aveva appena saputo di aspettare il primo bambino, quando massacrarono suo marito. L’omicidio avvenne il 15 luglio 1955, l’esecutore fu Gaetano Carlo Orlando. Ma Pupetta puntò subito al mandante. Fece passare il «primo dolore», non tutto il lutto. E a ottobre, quando era al sesto mese di gravidanza, impugnò la pistola e uccise Totonno ’e Pomigliano. Arrestata subito, fu condannata a 13 anni e 4 mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici. Fu graziata dopo oltre dieci anni di detenzione. Qualche anno dopo, Francesco Rosi ricostruì quella società corrotta nel suo primo lungometraggio, La sfida, anno 1958, con Rosanna Schiaffino nel ruolo di Pupetta.
«Che cosa avrei dovuto fare? Quello avanzava verso di me con la pistola», si era sempre difesa la vera Maresca, nelle innumerevoli rievocazioni di una storia che s’era cucita addosso, a mo’ di eroina, come i suoi amati abiti. Mentre aveva attraversato legami e affari di camorra, prima di diventare titolare di boutique.
Aveva sofferto Pupetta, nel ‘74 l’omicidio di suo figlio Pasquale: si sospettò fosse stato un altro boss, Umberto Ammaturo, a cui Pupetta si era legata, e da cui aveva avuto due gemelli. Il primogenito non accettava la relazione, ma Ammaturo fu assolto. Intanto lei sfidava, con dichiarazioni pubbliche, anche il padrino di Ottaviano, Raffaele Cutolo, ’o pazzo. Fu accusata di essere la mandante dell’omicidio di Ciro Galli (luogotenente cutoliano), nel 1981. Il pm chiese l’ergastolo, ma Pupetta fu scagionata. Il 13 febbraio 1982, in piena guerra tra Nco, Nuova camorra del boss di Ottaviano, e la Nuova Famiglia di Carmine Alfieri, l’ex vedova di Pascalone aprì una conferenza stampa contro Cutolo. «Se per Nf si intende tutta la gente che si difende dallo strapotere di quest’uomo, allora sono affiliata all’organizzazione».
Fu ancora arrestata perché accusata di aver ordinato l’assassinio di Aldo Semerari, criminologo e psichiatra che aveva dichiarato pazzo Cutolo: e ancora assolta. Una vita a collezionare accuse e processi.
Aveva 77anni quando, con il look riassestato, capelli bordeaux e qualche punturina che comunque non deturpava i bei lineamenti di ex reginetta di bellezza, si fece fotografare con la “sua” interprete, Manuela Arcuri, per il lancio di una fiction sulla sua storia. Era il 2013 e la signora Pupetta si rammaricava che non comparisse il suo cognome vero nella storia. Per singolare sintesi, la fiction la definiva una «anticonformista» che «si ribella al maschilismo». Eppure già nel 1986 la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Napoli aveva stabilito che Pupetta Maresca era affiliata alla Nf, Lady camorra per sempre.