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 2021  dicembre 31 Venerdì calendario

Intervista a Marcell Jacobs


Marcell Jacobs, due ori olimpici con un record europeo, si porta a casa anche il titolo di campione dell’anno de «La Stampa».
«Bene, possiamo continuare così, a raccogliere, mi piace: questo riconoscimento mi accomuna a tanti grandi dello sport azzurro».
Che cosa l’ha più divertita del 2021?
«Mi sono solo divertito. Mi sono tolto soddisfazioni che inseguivo da anni e ho fatto tutto con il sorriso».
Che cosa l’ha indispettita?
«Le polemiche non mi toccano. Nessuno mi ha regalato nulla, mi sono preso ogni centesimo di secondo con le unghie e con i denti. Mi stupisce un certo scetticismo britannico perché loro non avevano atleti che potessero puntare alla vittoria, mi aspettavo frustrazioni dagli Usa che avevano tre contendenti piuttosto».
Invece Track&Field, la bibbia dell’atletica, la mette al primo posto nella classifica dei 100 metri, il primo fuori ranking a riuscirci dopo Bolt, nel 2008. Maurice Greene sostiene che il mondo anglosassone si senta padrone della specialità. È questo il problema?
«Chi altro ha vinto oltre a loro? Giusto Hary, tedesco, e sono passati 60 anni e Borzov nel 1972 altrimenti Usa, Inghilterra, Canada, Caraibi, è un dominio molto circoscritto. La mia non è la vittoria di un singolo, ma dell’Italia che ha dimostrato di poter stare dove nessuno aveva mai pensato di metterla. E come è successo nell’atletica può capitare in qualsiasi altro campo».
Come è cambiata la considerazione in Italia?
«Sono ammirato dal rispetto: la gente ci tiene a farmi sapere di aver vissuto grandi emozioni grazie a me, ma non vuole essere fastidiosa. Mi commuove quando dicono “Mi hai fatto sognare"».
E all’estero?
«Anche lì grandi riconoscimenti. Chi si finge stupito non conosce lo sprint».
Le è arrivata una spiegazione razionale da chi continua a dubitare di lei?
«Non ne hanno una, criticano perché non gli va giù che un outsider, fuori dai loro radar, si sia preso la scena».
Bolt è un riferimento?
«Ho visto le gare, i documentari, il film, ho letto la biografia. Sono un seguace».
Prima le ha fatto i complimenti, poi ha scritto che se ci fosse stato lui, in Giappone, avrebbe vinto ancora.
«Mi pare normale, ha lasciato da re e sente sua la corona. Non ci vedo pensieri negativi».
Nessuna risposta sulla sfida a ruba bandiera?
«No, resta un’ottima idea e sono sicuro che prima o poi la raccoglierà. Io aspetto».
Tolti i suoi ori quale è l’impresa dell’anno?
«Gimbo, il successo nell’alto di Tamberi, diventa pure un anniversario per entrambi. Ogni primo d’agosto. E quando ci ritroviamo insieme combiniamo davvero un disastro».
Da dove riparte il 2022?
«Dal 4 febbraio, a Berlino. Gara indoor, anche se poi vedremo fino a dove arrivare con la stagione al coperto. Il nostro obiettivo è il Mondiale negli Usa, quest’estate».
Torna Coleman dopo la squalifica per doping. Come lo guarderà?
«Dall’alto in basso, se non alto per questioni di statura. È un grande rivale e il fatto di aver perso i Giochi per un mancato controllo gli darà motivazione extra».
Dopo Tokyo aveva bisogno di una pausa, ora ipotizza di saltare i Mondiali indoor a marzo, non teme di essere considerato uno da una gara all’anno?
«Ho imparato a spese mie che non si fanno scelte in base ai giudizi altrui. Sto curando i dettagli della mia corsa, i 60 metri non sono la mia specialità quindi stabiliremo il calendario in base alle mie priorità. Gli atleti non sono robot».
La staffetta ha vinto l’oro. E ora lei vorrebbe l’ultima frazione. Come si fa?
«Ho detto solo che mi piacerebbe anche chiudere, nel corso dei prossimi mesi vedremo i tempi di tutti e poi chi deve deciderà. Io corro dove mi mettono, non voglio semplicemente che sia esclusa una possibilità a prescindere».
Quando rivede quel successo alle Olimpiadi pensa che avrebbe dovuto stare al posto di Tortu?
«No, penso a quel centesimo in meno, merito di tutti noi e ne sono fiero».
Tortu è di nuovo positivo al Covid. L’Italia, vive un’altra ondata di incertezza. Il vaccino obbligatorio aiuterebbe?
«Non sono nella posizione di dare verdetti. Credo che questa pandemia ci abbia messo davanti a un’evidenza: non si può pensare solo a noi stessi. Definire la propria libertà conta quanto la solidarietà».
Sua madre si è stupita di più per l’oro o per il matrimonio in programma a settembre?
«Si aspettava entrambe le cose. Le nozze di certo, dopo due figli poi. Ma lei è anche la persona che ha più creduto in me e mi diceva che avrei vinto le Olimpiadi da quando ero piccolo».
È più influencer lei o la sua compagna?
«Nicole, di sicuro. Io mi faccio vedere come sono, anche fuori dalla pista perché se non vogliamo essere considerati robot non possiamo mostrarci come tali».
Che cosa prenderebbe a Federica Pellegrini?
«Il suo record del mondo, visto che lei ne ha uno. Lo vorrei tanto anche io».
Quello dei 100 metri è a 9"58, si può battere?
«Se lo ha fatto Bolt si può, per quanto eccezionale parliamo di un essere umano. Devo prima capire come arrivare lì, però di sicuro è un obiettivo».
E a Valentino Rossi, altro fenomeno che si è appena ritirato, che cosa prenderebbe?
«Il numero di vittorie. Impressionanti, anche se proprio io non mi immagino una carriera lunga come la sua».
Posto del cuore?
«Ne ho tre. Tenerife, dove sono adesso, a 25 gradi, perché è il luogo di ogni nuovo inizio. Desenzano, dove sono cresciuto perché lì c’è la pista dei desideri e Roma, al campo, perché lì sto bene».
Il rapporto con il suo tecnico Paolo Camossi è cambiato?
«Siamo più cazzoni di prima, entrambi abbiamo dei problemi a stare seri».
Gli ospiti per una cena memorabile.
«Lewis Hamilton, lo sportivo per cui tifo di più. Barack Obama, non c’è bisogno di spiegare, il Papa e anche qui ascolto e basta e Achille. Sono fissato con la mitologia, vorrei chiedergli se tutto quell’eroismo esisteva davvero e se aveva senso partire per la guerra ogni volta senza pensarci un attimo. Se era coraggio o incoscienza». —