La Stampa, 31 dicembre 2021
Intervista a Safran Foer
Jonathan Safran Foer non ha mai fatto segreto di ritenere che il nostro pianeta sia gravemente malato, ed è stato sempre pubblicamente in prima linea nelle battaglie per la difesa dell’ambiente. Nonostante l’eccellente risultato artistico dei suoi libri più recenti, e il costante e meritato elogio della critica, si è contraddistinto ultimamente per delle vere e proprie grida d’allarme nei confronti di una situazione che a suo modo di vedere rischia di essere irreversibile. Poche settimane fa, per condividere il suo stato d’allarme ha scritto un articolo contraddistinto dallo sconcerto, nel quale ha raccontato come la sua casa di Brooklyn sia stata allagata due volte a causa delle piogge torrenziali.
«Ogni anno a fine settembre New York e tutta la costa orientale è tormentata da temporali» mi racconta nel giardino di quella stessa casa, con un sorriso amaro «ma non ricordo di aver mai sperimentato piogge così intense e continue: si è trattato di una serie di precipitazioni storiche, e per la prima volta ho dovuto riflettere sul cambiamento climatico da un punto di vista prammatico e non semplicemente intellettuale. Tutto il sistema fognario di casa è saltato e proprio quello per me è stato un momento di rivelazione e risveglio: il problema dei cambiamenti climatici, gravissimo, è già in atto, e mi sono chiesto quali siano i cambiamenti dobbiamo fare invece nelle nostre vite».
Cosa pensa di quanto è stato deciso nel recente summit di Glasgow?
«Mi è sembrata poco più che una farsa, e, nonostante qualche piccolo risultato, ho avuto l’impressione che si sia trattato di una performance per calmare il nostro senso di emergenza. Se da un lato si è detto che si ridurranno le emissioni entro il 2030, in realtà sembra che siamo in dirittura di arrivo per aumentarle del 14 per cento. Inoltre è necessario raccogliere cento miliardi di dollari per aiutare i paesi in via di sviluppo e compensare quanto perderanno questi paesi nel loro impegno per la transizione ecologica. Sembra una cifra enorme, ma è assolutamente alla portata dei paesi più ricchi e persino dei soli Stati Uniti, dove esistono singole persone con un patrimonio di trecento miliardi di dollari. Non c’è un’autentica volontà, ma soltanto un proposito dimostrativo per dare l’apparenza di risolvere il problema. Con questo non sto affermando di essere migliore degli altri: ho notato una mancanza di volontà anche nella mia vita e in quella di persone come me, progressisti e liberal, che ignorano, come gran parte degli americani, quanto dice la scienza sul cambiamento climatico. Se non facciamo qualcosa di drasticamente diverso, tutti questi impegni rimangono delle semplici parole vuote, e tutto si risolverà semplicemente in uno spettacolo confezionato ad arte».
Quali possono essere le prime azioni concrete?
«Dovremmo avere la forza di boicottare le aziende che producono prodotti dannosi per il clima, gli allevamenti che producono carne di manzo, e non volare su aerei che generano, con le loro emissioni, effetti catastrofici, ma sono sempre più pessimista sulla capacità di superare i limiti della nostra umanità. Dovremmo dire no alle cose che vogliamo nel breve termine nell’interesse delle cose a lungo termine, oppure che vogliamo per le altre persone, sia che si tratti dei nostri figli, dei nostri nipoti o anche di uomini e donne che vivono dall’altra parte del pianeta. Noi vogliamo sempre di qualcosa di più e andare contro l’idea stessa di sogno americano, inteso come avere più di quello che hanno avuto i nostri genitori: purtroppo oggi dobbiamo lasciar andare quel sogno e sarà molto difficile».
Vede una relazione tra il nazionalismo, il populismo e il cambiamento climatico?
«Ci sono certamente delle responsabilità politiche rispetto a questi cambiamenti, basta vedere ad alcune scelte sciagurate dell’amministrazione Trump, ma anche a troppa mollezza da parte dell’opposizione liberal. I movimenti e le ideologie che si basano sull’individualismo vanno in direzione opposta rispetto a quello di cui ha bisogno oggi il mondo. Non ci si può prendere cura soltanto di noi stessi: o ci prendiamo cura di tutti e di nessuno. Gli americani e gli europei ritengono di essere al sicuro una volta che saranno vaccinati tutti i rispettivi cittadini, ma questo può essere vero nel breve tempo, e i nuovi ceppi di Covid si svilupperanno nelle zone del mondo che non hanno accesso ai vaccini, come è successo con la variante Omicron, partita non a caso dall’Africa. Per quanto riguarda il clima, tutto mi fa pensare che continuando così l’anno prossimo la mia casa sarà allagata quattro volte anziché due, e chissà quante volte negli anni successivi. Credo sia terribilmente triste lasciare questa situazione ai nostri figli e ai nostri nipoti».
Lei ha scritto che la responsabilità morale e politica non è soltanto della destra ma anche della sinistra.
«Esiste un mito che ci rassicura e ci conforta secondo il quale, almeno in America, il problema reale riguardo al cambiamento climatico è quello degli ultra-conservatori che negano la scienza. La situazione in realtà è molto più articolata: i liberal iniziano a essere simili ai conservatori nei metodi e nel loro estremismo, e a volte persino nella negazione della scienza, come è avvenuto in molte manifestazioni, magari a supporto di nobili ideali, dove le misure di sicurezza sono state completamente ignorate. Inoltre il mondo liberal si è distinto troppo spesso per un atteggiamento settario ed elitista nei confronti di chi ha idee diverse senza capirne la radice».
Da tempo lei ha posto la sua attenzione sui problemi generato dagli allevamenti intensivi di bovini.
«Gli allevamenti rappresentano una delle cause principali del cambiamento climatico, generando un’emissione dei gas serra che oscilla a livello globale tra il 15 per cento fino al 55 per cento. Tutto lascia pensare che la cifra più accurata sia la più alta, ma anche se così non fosse la quarta causa di cambiamento climatico, e, più in generale il modo con cui è gestita oggi l’agricoltura genera inquinamento e deforestazione. È molto difficile essere ottimista quando si prendono gli impegni che non sono vincolanti, e non stiamo neanche calcolando che Stati Uniti sono il paese che produce in assoluto al mondo le maggiori emissioni di gas serra. Io ritengo che mai come adesso dobbiamo porci in una situazione di allarme, perché i nostri figli sono destinati a pagare un prezzo enorme».
Recentemente ha dichiarato che alcuni anni fa sentiva un’ispirazione artistica, mentre ora sente invece un senso di responsabilità: non crede che questo possa essere pericoloso in termini artistici? Che insomma ciò la possa far diventare migliore come essere umano ma meno valido come artista?
«Se questo è lo scotto da pagare, a me va bene essere meno valido come artista. Dobbiamo fare delle scelte: in questo momento storico siamo stati costretti a riconoscere che le risorse sono limitate e questo vale non soltanto a livello globale ma anche a livello individuale. Ciascuno di noi ha un numero limitato di ore da vivere sul pianeta Terra: mentre decidiamo come passare queste ore dobbiamo sempre tenere a mente che quel limite esiste e quindi dedicarle alle cose più importanti. La sensibilizzazione sui problemi è un modo migliore per passare quel tempo, ma la distinzione relativa all’arte può essere fuorviante: è una delle forme più importanti di sensibilizzazione che abbiamo, e personalmente condivido chi sostiene che l’immaginazione è lo strumento della compassione. Noi oggi soffriamo come mai prima di una mancanza di compassione: non ci interessa abbastanza dei nostri figli, né delle persone che vivono dall’altra parte del pianeta e stanno già soffrendo a causa del cambiamento climatico. L’unica soluzione possibile è una soluzione di compassione». —