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 2021  dicembre 31 Venerdì calendario

Intervista a Gigi Buffon


Gigi Buffon, ci sono tante persone che le chiedono chi glielo fa fare di giocare in B a quasi 44 anni?
«No, la maggior parte mi dice che ho fatto una scelta fantastica e che faccio bene a continuare, per quello che sto dimostrando ancora».
Indossare la stessa maglia dell’esordio in A col Parma 26 anni dopo cosa significa?
«È stata una ricorrenza speciale. Quel 17enne non capirebbe il Gigi di adesso: la maturità porta a fare analisi su basi completamente diverse».
Ad esempio?
«Sono una persona felice e soddisfatta per quello che ho messo in campo nella vita, pur sbagliando molte volte. Ma negli errori ci ho sempre messo la faccia e ho pagato io. E questo è troppo importante per crescere e per non commettere più certe leggerezze: se hai sempre qualcuno che ti para il didietro non riesci a capire quanto e fin dove sbagli».
Ai ragazzini della sua «academy» spiega mai l’essenza del portiere?
«Gli dico che hanno scelto un ruolo speciale, che implica delle responsabilità che gli altri giocatori e molte volte anche gli allenatori, non sanno nemmeno quali siano. Dico loro che devono essere forti, spregiudicati e coraggiosi, per affrontare qualsiasi tipo di avversità e critica. E poi di volersi migliorare sempre: io adesso mi sento un portiere migliore di 4-5 o 7 anni fa. Poi faccio l’esempio di Mendy del Chelsea, che era senza contratto fino a 4 anni fa e ha vinto la Champions: il sogno ti dà quella leggerezza che ti fa arrivare a qualcosa di impensabile».
La stessa leggerezza dell’Italia campione d’Europa, che però rischia nello spareggio Mondiale. Ora quali sono gli errori da non fare?
«Errori non ne saranno commessi. Il problema grande è che si giocherà contro una squadra fortissima, almeno quanto noi. Di conseguenza ci sta anche che l’Italia possa non qualificarsi».
Donnarumma è stato il miglior giocatore dell’Europeo: la inorgoglisce aver lasciato a un altro fenomeno?
Ronaldo
Alla Juve in molti
non erano preparati
a convivere con CR7
«Quello che gli è stato riconosciuto è più che meritato: al di là delle parate, è stata l’interpretazione che ha dato che mi ha sorpreso tanto».
Prevale un po’ di rimpianto per non esserci stato all’Europeo o la voglia di tornare per il Mondiale?
«Sulla Nazionale non ho rimpianti. Quello che mi disturba è quando qualcuno mi dice “se ti chiamassero come terzo portiere potresti andare al Mondiale”…».
Perché la disturba?
«Sono stato il capitano della Nazionale è quindi so cosa significhi l’importanza di un gruppo: bisogna lasciare un c.t. capace come Mancini sereno e libero di fare le proprie scelte, senza rompimenti di scatole. E nessuno mi deve fare alcun regalo: me li faccio da solo, se ci riesco, perché lo sport è meritocrazia. Posso anche pensare che fare il terzo portiere sia troppo penalizzante, per come sto adesso».
Il 6 c’è Juve-Napoli: ha visto il film di Sorrentino?
«Sì, ti lascia amarezza ma anche il brio e la capacità di emanare energia che ha la gente di Napoli».
Per quel gol di mano, Shilton non ha mai perdonato Maradona. Che ne pensa?
«Io l’avrei perdonato, va accettato. E poi mi ricordo quando ero bambino, dopo oltre un mese non sapevo ancora se Diego l’avesse toccata di mano o di testa, perché era stato così bravo in quel gesto da renderlo incredibile».
Lei ha detto che la Juve con Ronaldo ha smarrito il suo Dna di squadra, perdendo la competizione all’interno del gruppo. Ma è stato un meccanismo inconscio o ve ne rendevate conto?

«Ho detto questo perché lo penso e facendo una riflessione più approfondita arrivo a dire che chiaramente la colpa non è di Cristiano, perché lui è quello e quando prendi un giocatore di quel calibro tu sai a cosa vai incontro. C’è da capire se gli altri sono preparati e secondo me molti giocatori non erano pronti a poter condividere un certo tipo di esperienza. Vuoi o non vuoi, un po’ tutti si sentono Cristiano e questo non deve mai accadere, soprattutto in realtà come la Juve. Quando lui è arrivato a Torino, io sono andato a Parigi. E quando sono tornato ho visto qualcosa di diverso, che non mi ricordava più quello che avevo lasciato».
Il 12 gennaio si doveva giocare Inter-Juve per la Supercoppa: nella partita secca il divario si riduce?
«In gara secca per me è 50-50, perché la Juve al di là dei momenti contingenti ha ancora individualità con caratura eccelsa e quindi può vincere qualsiasi tipo di sfida, come ha fatto con il Chelsea».
Dybala è un leader naturale o l’investitura del nuovo contratto gli farà fare il salto di qualità nella leadership?
«Dybala è sicuramente un leader tecnico, perché è il miglior giocatore che ha la Juve. E poi devo dire che negli ultimi anni è maturato tanto e sta vestendo il ruolo di uno dei leader della squadra. Per poter mettere in pratica questo tipo di ruolo però devi esserci e Paulo negli ultimi due anni è stato molto assente per gli infortuni. Nel momento in cui trova continuità, si consacrerà anche leader della Juve, insieme ad altri 3 o 4».
Quando Marotta lasciò la Juve, Barzagli disse che «è impossibile trovare a certi livelli un dirigente con la sua empatia». Questo aspetto fu sottovalutato dalla Juve?
«Sì, è determinante avere empatia e quel tipo di esperienza e sensibilità nel modo di agire e rapportarsi con gli altri: chi prendere, chi comprare, cosa cambiare di un gruppo di lavoro. Marotta in questo aveva un’intelligenza animalesca, istintiva, che hanno solo i professionisti con capacità superiori. È innegabile».
È sbagliato dire che lei non si è mai sentito inferiore a Szczesny?
«È una cosa che è venuta fuori quando Tek ha cominciato a fare qualche errore. Ma quando sono tornato alla Juve sapevo qual era il mio ruolo e fare paragoni sarebbe stato stupido da parte mia. Però non posso neanche non vedere quanto io valgo ancora adesso. Su questo non c’è dubbio».
Lei è passato dalla Juve che ad aprile ha provato lo strappo della Superlega al Parma in B: è troppo romantico, se non addirittura fuorviante, dire che si è riavvicinato all’essenza del calcio?
«Non c’è un giorno in cui abbia avuto un dubbio della scelta fatta. Sono stato un bimbo che aveva una passione, ho sempre seguito A, B e C e ho giocato in stadi in cui non ero mai stato, che da bambino erano mitologici, ho maglie che non ho mai avuto come quella del Cosenza o della Ternana. Sono cose che mi danno piacere, esperienze che arricchiscono il mio bagaglio. E la vita in fondo è questa: la gioia e l’emozione che provo a Parma, in mezzo a vecchi amici che mi ringraziano e mi dicono di tenere duro, mi fanno performare così».
Almeno per un altro anno.
«Ho voluto un biennale per capire che tipo di fiducia avevano in me. Alla mia età, sa com’è, ti guardano come una bomba a orologeria».