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 2021  dicembre 31 Venerdì calendario

I sette anni di Mattarella


Sergio Mattarella ha conquistato, in sette anni, il consenso e l’affetto degli italiani. Non lo dimostrano solo i dati dei sondaggi o le ripetute manifestazioni di stima che accompagnano le sue uscite pubbliche. C’è qualcosa di più profondo, che conviene analizzare e comprendere, specie nel momento in cui i grandi elettori si accingono a scegliere il nuovo capo dello Stato.
Mattarella ha convinto, con il lavoro e i gesti, anche chi non lo aveva votato sette anni fa. Anche chi ne chiedeva l’impeachment.
A nche chi ha idee molto diverse da quelle scritte nella storia culturale e politica dell’attuale capo dello Stato.
Nel 1992, l’anno di Tangentopoli e dell’assalto della mafia allo Stato, è iniziato in Italia un grande e profondo terremoto. Sono spariti i partiti che avevano costruito la democrazia, ne sono nati di nuovi, si sono conosciute la virtù dell’alternanza al governo – frutto anche di norme elettorali che furono chiamate «Legge Mattarella» – e il demone dell’ingovernabilità. L’Italia è stata attraversata prima da una crisi economica devastante, quella iniziata nel 2008, poi da ripetute e squassanti traversie politiche, con leggi elettorali pensate per garantire rendite di posizione e non la stabilità del paese.
In diciannove anni ci sono stati diciassette diversi governi e undici diversi presidenti del Consiglio. Nel salutare come merita Angela Merkel abbiamo potuto misurare la differenza tra modelli politico elettorali votati alla continuità di governo e quelli ispirati alla pura garanzia dei partiti di turno. La stabilità di governi scelti dagli elettori, obiettivo raggiungibile con diversi sistemi, rimane il nostro problema principale.
In Italia sono nati e scomparsi, in questi anni, molti partiti. Le scissioni si sono moltiplicate e con esse la prassi del cambio di casacca. Fenomeno non solo di questa legislatura. Secondo i calcoli di Openpolis, nella Legislatura XVII (2013-2017) i cambi di gruppo sono stati 566; nella Legislatura XIII (1996-2001) 404; nella Legislatura XII (1994-1996) 301 e nella Legislatura XVI (2008-2013) 261, un numero quasi identico a quello dell’attuale.
In questo tempo procelloso, in cui il Paese ha spesso rischiato il tracollo, la funzione di guida dei presidenti della Repubblica si è esaltata. Scalfaro, Ciampi, Napolitano hanno accompagnato il Paese, proteggendolo spesso dalle proprie stesse pulsioni emotive, verso scelte che rispettassero il dettato costituzionale.
Sergio Mattarella si è trovato a fronteggiare più crisi. Quella economica e sociale, con un Paese in costante arretramento del prodotto interno lordo; quella politica, determinata dal combinato disposto di leggi elettorali imperfette e dal ritorno alla pratica delle scissioni e della frammentazione; infine la pandemia, che ha determinato lutti in tutto il Paese e trasformato radicalmente abitudini di vita, relazioni sociali e prodotto gravi conseguenze economiche.
In questo terremoto il Paese ha trovato, nella pacatezza e nella fermezza del capo dello Stato, un riferimento certo. Mattarella ha gestito una legislatura dagli equilibri politici quasi impossibili portandola verso il suo auspicabile e necessario esito naturale. Ha lavorato per smussare le asprezze di un dibattito politico che era tornato a fondarsi sugli schieramenti contro, motivati esclusivamente dalla presunta illegittimità del rivale di turno. Con il che il Paese, dilaniato dalla durezza della pandemia e della crisi sociale, rischiava davvero di spaccarsi in due o di precipitare, in piena emergenza sanitaria, in elezioni anticipate che ci avrebbero fatto perdere i possibili benefici del sostegno europeo.
La scelta di Mario Draghi e la costituzione di un governo che vedesse insieme, per una fase definita, forze che poi saranno necessariamente alternative è stata un’operazione di grande coraggio, di cui il Paese si è giovato. Con la guida di Mattarella e Draghi il Paese ha recuperato crescita economica e prestigio in Europa. I riconoscimenti che sono derivati all’azione brillante del premier vanno estesi in primo luogo, lo ha detto il presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno, all’uomo che in questi perigliosi anni è stato al Quirinale.
Mattarella ha presidiato i valori essenziali sui quali sono fondati la nostra Carta Costituzionale e il nostro vivere civile: il lavoro, la formazione, la scienza, il rispetto delle istituzioni a cominciare dal Parlamento, l’accoglienza e la valorizzazione di ogni identità, la vicinanza a chi soffre o è discriminato. «La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope», diceva Piero Calamandrei.
Presidiando i valori della Carta Mattarella proprio questo ha fatto.
L’unica nomina a senatore a vita del suo mandato Mattarella ha voluto ricadesse su Liliana Segre, mandando, in tempi smemorati, un messaggio chiaro e necessario.
Quando fu scelto, con una intuizione politica felice, forse Mattarella non era molto conosciuto. In pochi anni, condividendo gioie e dolori degli italiani, con uno stile riservato, non esente da una ormai rara dote, la timidezza, ha conquistato il cuore e la ragione della stragrande maggioranza degli italiani.
Si appresta ora a scrivere quello che dobbiamo considerare il suo ultimo messaggio da presidente della Repubblica.
Personalmente, non ho remore a dirlo, avrei preferito che l’accoppiata Mattarella Draghi accompagnasse il Paese verso la conclusione della legislatura e che l’elezione del nuovo capo dello Stato avvenisse, al momento giusto, nel nuovo parlamento che la legge di riforma costituzionale, confermata dal referendum, ha varato.
Capisco tuttavia le ragioni della scelta del capo dello Stato e le rispetto. Ma la sua determinazione deve ora spingere le forze politiche a un di più di responsabilità. La cosa peggiore che potrebbe capitare sarebbe la divisione della maggioranza che deve portare il Paese, in piena pandemia, a completare le riforme necessarie per il sostegno europeo e a concludere la legislatura. Una maggioranza di governo che si lacerasse nella scelta di un capo dello Stato e precipitasse verso infiniti scrutini senza esito, in un clima di furbizie e di scontro, tradirebbe lo sforzo di quest’anno e cozzerebbe con lo stato d’animo del Paese. Con il rischio serio che, non certo per sua decisione, Draghi sia costretto a uscire di scena. Perdere, in una volta sola, i due principali protagonisti della ripresa italiana sarebbe una ferita che peserebbe sul Paese.
La maggioranza di governo dovrebbe definire un candidato, in dialogo fitto con forze di opposizione che non possono essere considerate aggiuntive. Si scelga una personalità che, come chi ci ha tutelato in questo trentennio, sappia in primo luogo unire gli italiani e avere prestigio e autorevolezza.
Sarebbe bello se, nella situazione in cui il Paese si trova, il prossimo presidente, come fu per Ciampi, fosse eletto al primo scrutinio.
Credo che il più felice sarebbe proprio Sergio Mattarella, che ama profondamente questo Paese.
A lui, oggi, gli italiani debbono un grande, sincero e affettuoso grazie.