Linkiesta, 31 dicembre 2021
Per fortuna è arrivato "Morte al 2021"
Sono tornati Charlie e Hugh, e questa è di grandissima lunga la miglior notizia d’un anno abbastanza crudele. Charlie è Charlie Brooker, quello che assieme alla socia Annabel Jones l’anno scorso si è inventato per Netflix Morte al 2020. Faccio incidentalmente presente che i due è da un po’ che non producono nuove puntate di Black Mirror, probabilmente sentendosi superati dalla realtà (come dar loro torto: scrivere una distopia oggi fa lo stesso effetto della mentina dopo cena dei Monty Python).
Adesso è arrivato Morte al 2021, con alcuni personaggi che già c’erano l’anno scorso, tra cui Hugh Grant, storico stupido, vanitoso, irritato da questa mania di precisare i pronomi ma poi smanioso di precisare le sue onorificenze: un personaggio favoloso, fa così schifo che sembra un vero ospite di talk show.
Un altro personaggio che torna è Gemma, la cittadina inglese qualunque guardando la quale capisci una cosa che avevi già capito guardando i talk show di cui Morte al 2021 fa la parodia, ma che non potevi dire finché non era satira: per quanto possano essere imbecilli le élite, l’elettorato è comunque molto peggio. Gemma la interpreta Diane Morgan, che è un’attrice comica pazzeschissima che è anche nella mia serie inglese preferita, Motherland, il che mi dà l’occasione di chiedere: cos’abbiamo a fare un milione di piattaforme se non ce n’è una che faccia vedere Motherland alle italiane (femminile sovraesteso)?
Ovviamente il fatto da cui parte il racconto di quest’anno di preziosissimo materiale satirico – gli opinionisti sono tutti finti ma i filmati sono tutti veri, e forse questa potrebbe essere la formula risolutiva non per i programmi di satira ma proprio per i veri talk italiani – è l’invasione del Campidoglio a Washington, e Gemma ci spiega che il tizio con le corna era un bisonte travestito da umano, lì per protestare contro il fatto che i bisonti ancora oggi non hanno diritto di voto. È in effetti una grave ferita della democrazia.
Più degli insurrezionisti che si riprendono col cellulare, per esser certi che dei loro reati restino prove. Lucy Liu fa una giornalista che le ha viste tutte, dal Watergate alla Lewinsky, ma mai niente del genere: «Terrificante ma stupido, come un rifacimento della guerra del Vietnam interpretato dai Muppets».
Se la cittadina inglese è scema e basta, quella americana è scema e pure di destra; naturalmente era tra gli insurrezionisti: «Credo proprio che sia stato il Woodstock della mia generazione, anche se non ho idea di cosa sia un Woodstock», dice mentre beve dalla sua instagrammabilissima tazza Best Mom Ever.
C’è un’editorialista che è evidentemente Maureen Dowd, anche se si chiama Penn Parker, e la interpreta quel monumento che è Stockard Channing, che a seconda delle vostre lacune potreste identificare come la Rizzo di Grease o come la first lady di The West Wing. La intervistano in un bar pieno di boiserie, di quelli bui anche in pieno giorno, mentre beve probabilmente whisky, e si augura che, se dev’esserci un complotto per arrubbarsi le elezioni, la Cia abbia qualcuno più in alto di lei da chiamare. Ho amato molto il passaggio in cui le chiedono dell’intervista di Oprah a Meghan e Harry e lei dice che è stato un sollievo che per una volta s’intervistasse un esponente della famiglia reale inglese senza dovergli chiedere se fosse un pedofilo. (Ma anche: «È inverosimile che lei non abbia googlato lui: lo fai per trovare i migliori tacos del quartiere, figuriamoci un marito»; e anche lo slogan definitivo per l’Afghanistan lasciato ai talebani: Sottomissione compiuta).
E c’è l’influencer che s’è prodotto il suo vaccino, tipo birra artigianale, perché non è che può dire d’essersi iniettato Moderna o Pfizer, se quelli non hanno pagato perché lui li pubblicizzasse sul suo canale. E l’opinionista di destra che dice che è ora di finirla coi virus stranieri: Make American germs again – che, converrete, è uno slogan così strepitoso da sperare lo adottino davvero (oltretutto ha le stesse iniziali: non dovrebbero buttare i cappellini con l’acronimo MAGA).
Insomma, mica posso raccontarvelo tutto. Però posso dirvi che a un certo punto, guardando Death to 2021, ho capito cosa non funziona in Don’t Look Up.
C’è, in Death to 2021, una scena in cui uno scienziato si innervosisce perché, mentre lui ci annuncia terrore miseria e morte, la regia aggiunge una musica di sottofondo, «per dare pathos»; poi però, quando la levano, capisce che senza non funziona: agli scienziati importa moltissimo della tv, è alla tv che non importa niente della scienza.
Ecco, in Don’t Look Up c’è quella scena in cui gli scienziati vanno ad annunciare la fine del mondo in un contenitore televisivo del pomeriggio, e ai conduttori non frega niente e sono determinati a mantenere un’atmosfera allegra. Il che va benissimo, ma la parte implausibile viene prima. Nel blocco precedente, è ospite una famosa cantante che stava con un famoso influencer. Si sono lasciati, lei parla del suo cuore spezzato, il programma fa collegare lui, e lui si scusa e le chiede di sposarlo, e lui accetta. Ovviamente sarà un picco d’ascolto, e già in diretta è un picco di reazioni social (ormai l’unica cosa che interessi a chi vuole disperatamente sentirsi moderno), e a quel punto Don’t Look Up ci dice che in un programma del genere si andrebbe comunque avanti con la scaletta, parlando di comete con due scienziati lui coi capelli unti e lei con l’anello al naso? Che la loro ospitata non salterebbe per continuare il collegamento con la Ferragni del caso e il suo ritrovato amore? Orsù.
Datemi retta, americani: la satira fatela fare agli inglesi. Voi battetevi per il diritto di voto dei bisonti.