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 2021  dicembre 31 Venerdì calendario

Boris Johnson vieta di usare il termine «Brexit»

Non pronunciare «Brexit». Peggio ancora scriverlo. È la raccomandazione fatta circolare tra i dipendenti statali a Whitehall e intercettata dal Telegraph alla vigilia del primo anniversario dello storico divorzio tra Regno Unito e Unione Europea, diventato effettivo esattamente un anno fa. Invece di utilizzare il termine «Brexit», sottolinea la guida, «è meglio usare, laddove possibile, la data specifica» in cui la separazione si è compiuta, il 31 dicembre 2020. Riferimento spartiacque nella storia del Paese da integrare con un «prima» o un «dopo», aggiunge, per evitare anche l’uso dell’espressione «periodo di transizione». Non è la prima volta che il tentativo di occultare la parola su cui i cittadini britannici si sono divisi e scontrati fa capolino nella cronaca locale. Diversi sono quelli usciti a fine 2019, quando Londra si preparava ad affrontare l’anno di transizione, a segnalare la volontà dello stesso premier Boris Johnson di rottamare gradualmente il «termine-che-inizia-con-la-B» per provare a ricostruire l’unità lacerata della nazione. Soluzione che ha pure fatto storcere il naso agli ultrà dell’addio all’Ue. L’idea di ribattezzare il «festival della Brexit» con «Unboxed», manifestazione dedicata alla creatività britannica «dischiusa» grazie alla rottura dei legami con Bruxelles, in programma a marzo prossimo, è stata definita dal deputato Tory Craig Mackinlay come un tentativo «senza senso» di «sanitizzare» l’orgoglio Brexiteer.
Le divisioni innescate dal referendum del 2016 sono ancora vive. Impastate alla delusione e all’imbarazzo di un processo che, come ha evidenziato un sondaggio di Opinium, ha portato sei elettori “Leave” su dieci a dichiarare che i risultati dell’uscita del Regno Unito dall’Ue sono peggiori di quanto si aspettassero. Pesa in particolare l’irrisolutezza del nodo sull’Irlanda del Nord, nazione britannica rimasta allineata al mercato unico, che Londra e Bruxelles hanno portato al tavolo di nuove negoziazioni perché il protocollo sul confine nel mare d’Irlanda ha causato disservizi e tensioni tali da minare la fragile pace nordirlandese. A risolvere l’arcano ci proverà ad anno nuovo il ministro degli Esteri, Liz Truss, erede del dimissionario David Frost, un’ex europeista convertita alla dottrina del «Global Britain» a cui, pare, piace chiamare le cose con il proprio nome parlando di Brexit come di Brexit.