il Giornale, 31 dicembre 2021
Storia di prostitute ed escort nel cinema
Solo un Paese come l’Italia, cattolico, col culto della famiglia e con un rapporto totalizzante nel bene e nel male col sesso, come peraltro col sacro, poteva riempire la sua cinematografia di così tante ragazze di vita e protettori, forse addirittura più di preti e religiose. Del resto il mélo italico si muove tra due poli estremi, la suora e la prostituta.
Si calcola che nella nostra filmografia, solo tra il 1945 e il 1965, in oltre duecento pellicole – il 10 per cento dei film usciti in sala, una cifra esorbitante – compaiono prostitute, squillo, escort o ragazze di vita, in vari ruoli, piccoli o grandi, ma incredibilmente sempre scritti benissimo: segno che sceneggiatori e registi conoscevano direttamente la materia.
La lucciola non è una comparsa, ma una star. Esempi: dive come Giulietta Masina, Alida Valli, Silvana Pampanini, Anna Magnani (Mamma Roma, 1962: abbandonare il mestiere e diventare una donna rispettabile non è così facile...), Sophia Loren (inarrivabile sia come squillo d’alto bordo nel celebre episodio «Mara» di Ieri, oggi, domani, 1963, sia come Filumena Marturano in Matrimonio all’italiana, 1964), Claudia Cardinale (l’ex prostituta Jill in C’era una volta il West di Sergio Leone, 1968) hanno svestito, alcune fra loro più volte nella carriera, gli abiti delle belle di notte o di giorno. Nel caso migliore erano eleganti guêpière, nei peggiori, collant da due soldi smagliati. Così era, ed è, l’Italia. Come si dice? Paese di sante e di puttane. Quando non c’era il MeToo.
Mantidi, marianne, mamme, felliniane (dalle Notti di Cabiria alle peripatetiche del Satyricon), mantenute, maîtresse, Massaggiatrici (di Lucio Fulci, 1962) e «segnorine», come le chiamavano i soldati americani... Alessandro Chetta, filmaker e studioso di cinema, ce le fa rincontrare tutte nel suo saggio Splendori e miserie delle prostitute nel cinema italiano (Robin), incentrato sopratutto sul periodo compreso fra la guerra e gli anni ’70, un libro sfogliando il quale, tra le altre cose, si scopre che...
«LAVORATRICI» NEOREALISTE I film degli ultimi anni di guerra e quelli neorealisti – il cinema come «documento e interpretazione» con la sua ossessione per il sociale – sono quelli che più di tutti hanno assoldato professioniste del sesso: soldati, povertà e fame erano elementi che innegabilmente alimentavano il mestiere. Si segnala il filone delle pellicole ambientate al Tombolo, la pineta fra Pisa e Livorno che nel ’44-46 richiamò migliaia di donne che si davano alla prostituzione. Tombolo, paradiso nero (1947) di Giorgio Ferroni o Senza pietà (1948) di Alberto Lattuada.
PECCATO TOLLERATO Le «peccatrici», professioniste o occasionali, erano presenti nei film in modo così massiccio che anche nell’Italia democristiana degli anni ’50 passavano indenni i controlli ministeriali. Il sesso in vendita alla fine era quello che nuoceva meno al comune senso del pudore. E forse il moralismo comunista era anche più pruriginoso del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega sul cinema Giulio Andreotti, per il quale le prostitute commettevano un peccato già rimesso dalla Storia e quindi tollerabile.
MESTIERE FACILE? Ma perché così tante passeggiatrici lungo i viali del nostro cinema? Forse la risposta migliore è nello scambio di battute, firmato da Luciano Salce, sceneggiatore del film Il mantenuto (1961), fra Ugo Tognazzi e Ilaria Occhini: «Ma perché ti sei messa a fare quel mestiere?». «Perché è facile».
CASE «CHIUSE» Alcuni titoli emblematici. Persiane chiuse diretto nel 1951 da Luigi Comencini e girato a Torino: le case di tolleranza all’epoca avevano l’obbligo di lucchetto alle finestre perché ciò che accadeva dentro le stanze del piacere non disturbasse il pubblico decoro, da cui l’espressione «case chiuse». La tratta delle bianche, del ’52, sempre di Comencini: pellicola fra il poliziesco e il drammatico sul traffico di donne. Le soldatesse, del ’65, di Valerio Zurlini; trama: durante l’occupazione italiana della Grecia un ufficiale (Tomas Milian) riceve l’ordine di accompagnare alle rispettive sedi un gruppo di dodici prostitute destinate ai militari. Film d’amore e d’anarchia, prima parte del chilometrico titolo del film del ’73 di Lina Wertmüller il cui seguito è: Ovvero Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza.... Poi naturalmente verrà anche Paprika di Tinto Brass, anno di ubertosa grazia 1991.
BATTUTE CULTO Fra le tante, due. In Campane a martello (1949) di Luigi Zampa un gruppo di «segnorine» salutano commosse gli ultimi marines in partenza dall’Italia. Una di loro dice all’amica: «Senti, io me ne vado». E l’altra: «E aspetta, no? Lasciameli guarda’ nantro po’... fino alla prossima guerra chi li rivede più?». In Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy dalle finestre – per una volta senza lucchetto – di una casa chiusa spunta il tricolore e una voce: «’A guerra l’hanno vinta pure ’e zoccole».
RECORD Alida Valli (nata a Pola, come la Paprika-Debora Caprioglio di Tinto Brass...) interpreta «una di quelle» per ben tre volte, ma sempre prostituendosi per giusta causa: per salvare un figlio (La vita ricomincia), o l’uomo che ama (Ultimo incontro) o il matrimonio (Noi vivi).
COSE ROMANZESCHE In Miss Italia di Duilio Coletti il personaggio di Lilly (ragazza molto schietta: «Quando portavo a casa le scatolette e il tabacco, nessuno mai mi domandava come li avevo avuti... eppure ora si ricordano il resto»), è interpretata da Constance Dowling, l’attrice statunitense di cui si innamorò Cesare Pavese. Il film esce nel 1950, anno in cui lo scrittore muore suicida.
DOPO LA MERLIN Arrangiatevi, film del 1959 diretto da Mauro Bolognini, non è solo un’opera selezionata tra i 100 film italiani da salvare; ma anche il miglior instant movie – insieme forse a Adua e le sue compagne, del ’60 – sulla celebre legge Merlin, passata nel 1958. Il film si conclude con Peppino De Filippo che dalla finestra grida ai militari – i quali hanno scambiato la sua palazzina per un casino – che ormai quelle case le hanno chiuse. «E ora, Arrangiatevi!». Appunto.