Corriere della Sera, 30 dicembre 2021
Un giro nella Roma dei Papi
Alla fine si torna ai piedi del colle Vaticano, nella necropoli che Costantino fece interrare, cosa inaudita, per costruirvi sopra una basilica. Tra il 319 (o 322) e il 329 (o 333), gli ingegneri dell’imperatore avevano sbancato un’intera collina per ricoprire di terra la città dei morti. L’edificio costantiniano durò più di undici secoli, finché Niccolò V, il pontefice che creò la Biblioteca vaticana, decise dopo il giubileo del 1450 che non c’era più niente da fare, la basilica stava per crollare, e avviò il processo che in meno di due secoli l’avrebbe rasa al suolo per sostituirla con una nuova: San Pietro, come la vediamo oggi, sormontata dalla cupola di Michelangelo.
Il fatto notevole è che, mentre cambiavano papi, progetti e artisti, una sola cosa rimase immutabile: non spostare, mai, l’asse della basilica, mantenere il focus dell’edificio sul luogo della memoria di quel pescatore di Betsaida che aveva raggiunto Roma per annunciare il Vangelo e nell’Urbe, come Paolo, era stato ucciso sotto Nerone. Costantino sapeva ciò che faceva, da oltre un secolo e mezzo quel luogo era meta di devozione. In Andare per la Roma dei papi (riproposto dal Mulino) Giovanni Maria Vian riporta le parole solenni che il 23 dicembre 1950 pronunciò Pio XII, l’ultimo papa romano, dopo la campagna di scavi sotto San Pietro: la cupola s’inarca «esattamente sul sepolcro del primo Vescovo di Roma», la tomba scoperta nella necropoli dov’era stato sepolto intorno all’anno 67, con il celebre (e controverso) graffito che dice Petros eni, «Pietro è qui».
E questo è solo il punto di partenza, o meglio di arrivo, del viaggio a ritroso nel tempo intrapreso dall’autore dalla parte della Roma dei papi. Vian è uno storico, docente di Filologia patristica alla Sapienza, ha diretto per undici anni l’«Osservatore Romano». Conosce come pochi la storia della Chiesa e della città, e accompagna il lettore alla scoperta di aspetti e dettagli sconosciuti ai più. Una guida unica. Perché non tutta, ovvio, ma buona parte della storia e dell’arte di Roma è legata al papato. Almeno fino al 20 settembre 1870, quando Porta Pia segna una frattura anche nel rapporto tra il più grande dei committenti e l’arte. «Rifacciamo la pace?», chiedeva Paolo VI agli artisti, nella Sistina, il 7 maggio 1964.
Proprio Montini aveva riportato le opere contemporanee in Vaticano, da Chagall a Picasso, da Manzù a Minguzzi, e chiamato l’architetto Nervi per la nuova aula delle udienze. Fu solo una parentesi, però. Così il libro risale nei secoli alla ricerca di ciò che è stata, la Roma dei papi. Per dire, la città con il maggior numero di obelischi egizi al mondo: «A Napoleone che con tono irrisorio domandò ad Antonio Canova se nella città sapessero almeno piantare gli alberi, lo scultore replicò tagliente: “Maestà, a Roma piantano obelischi”». E poi le catacombe, le chiese, i palazzi del Laterano e del Quirinale, le cappelle. E i papi che hanno cambiato il volto di Roma, su tutti Alessandro VII: fu lui, probabilmente, a suggerire a Bernini l’idea di un porticato davanti a San Pietro che «dimostrasse di ricevere à braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gl’Heretici per riunirli alla Chiesa, e gl’Infedeli per illuminare alla vera fede».