Il Sole 24 Ore, 30 dicembre 2021
Il business delle farmacie con il Covid
Roma centro, mattina. Nel raggio di trecento metri tre farmacie: una (grande, con aria da multinazionale) somministra vaccini e effettua antigenici, un’altra (media, tre vetrine) esegue tamponi nel gazebo, la terza (molto attiva ma a forte caratura familiare e si vede nella relazione con i clienti) è rimasta sul tradizionale, e per ora si è tenuta fuori. Ma in ognuna c’è la fila fuori. In questo scorcio di fine 2021, sulla cresta della quarta ondata, le farmacie italiane sono oggettivamente la prima linea visibile contro l’escalation del Covid-19 versione Omicron. Su 19.500 esercizi nel territorio nazionale oltre 14mila effettuano tamponi rapidi – i sospirati molecolari sono rimasti nelle Asl e nei laboratori autorizzati – ma il loro numero è in rapida crescita.
Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati in Italia oltre un milione di tamponi: tolti i 250mila molecolari, circa i due terzi sono stati processati nelle farmacie, quindi oltre 650mila, e il restante nei laboratori e negli hub. Un boom stordente di clientela, perlopiù concentrata sul test e sulle molte medicine legate al contagio, più gli integratori. Un grosso volume di lavoro. Una montagna di guadagni, quindi? «Assolutamente no – ribatte Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma – quest’idea di soldi stratosferici la smentisco, con evidenze alla mano. Siamo al fianco delle istituzioni in questa battaglia, e per effettuare questa massa di tamponi le farmacie hanno dovuto montare gazebo e assumere personale specializzato, che per ogni tampone impiega diversi minuti, e poi il personale amministrativo che lavora le comunicazioni, la fase decisiva del tracciamento. Tutto questo ha costi elevati, e il resto dell’attività è molto ridotto».
Un tampone ha il prezzo calmierato di 15 euro, quello per i ragazzi 12-18 anni 8 euro e gli altri sette sono rimborsati dalla struttura commissariale. Quindi non ci sono margini, sta dicendo? «Le farmacie più grandi e che lavorano su numeri importanti possono strappare nelle forniture prezzi migliori, ma non vale per tutti». In effetti secondo quanto raccolto in giro, le grandi farmacie – singole o legate ad una catena di un’unica proprietà, come accade più spesso nelle grandi città – realizzano profitti più che significativi, ma a quanto è ormai chiaro in un’ottica di economia di scala. E non sulle mascherine: le Ffp2 certificate, dal prezzo oscillante di 1-1,5 euro, ormai si trovano ovunque, dai supermercati ai tabaccai, e quindi i margini su quel fronte sono minimi.
Qual è il giro d’affari che emerge da questa emergenza? Al momento è difficile quantificarlo per tutto dicembre, ma Iqvia (una multinazionale di servizi alle case farmaceutiche) fornisce dei dati: nella settimana 6-12 dicembre i tamponi in farmacia hanno rappresentato 7,1 milioni di euro, rispetto a 6,3 della settimana precedente, 2,4 milioni per mascherine (dato in calo) e 365mila euro per igienizzanti (anche questo in calo). Numeri parziali ma soprattutto che non comprendono la sbalorditiva impennata della settimana di Natale e quella in corso: un esercizio medio esegue almeno 50 tamponi al giorno – il 70% rientra in questa fascia – quindi un giro d’affari che può arrivare anche a 20mila euro al mese, mentre le più grandi moltiplicano la cifra. In novembre i ricavi da test in farmacia – dati Iqvia – sono stati 30milioni, 28 in ottobre e 17 in settembre.
Sui vaccini la questione è più complicata: non tutte le regioni hanno siglato accordi con le farmacie per somministrare le dosi, ma si tratta di diverse migliaia. «C’è un elemento che voglio aggiungere – dice Tobia – che riguarda il ruolo svolto dei farmacisti e il loro personale impegnato nei test nel convincere le persone a vaccinarsi».