La Stampa, 30 dicembre 2021
Intervista a Patti Smith
C’è qualcosa di solenne, e di disarmante, nel profilo di Patti Smith quando si offre nelle occasioni ufficiali, come l’altro giorno alla City Hall di New York, dove ha ricevuto le chiavi della città dal sindaco De Blasio. Lei che nei ’70 veniva definita la sacerdotessa del punk, ha mantenuto una sua divisa che si fa beffe del lavorio estetico di tante colleghe. Lunghi capelli bianchi, sempre in nero, rughe in bella vista, ci mostra che il carisma è una faccenda per pochi. Oggi Patti compie 75 anni: dalla sua casa di New York, in una lunga chiacchierata, con vocina giovanile ci spiega una filosofia imbattibile a base di scrittura e bucato.
Cara Patti, anche in questo fine 2021 lei è la donna del momento. A New York come a Viareggio, da dove le è arrivato l’annuncio che ha vinto il Premio Puccini.
«Vivo a New York fin dal 1967, qui ho incontrato tanti di quelli che sono diventati i miei amici. Ho inciso il mio primo album Horses nel 1974 qui, agli Electric Lady Studios. Con il mio lavoro mi sento internazionale: ma ricevere qui le chiavi, che sono la quintessenza dei premi, e il premio Puccini in Italia, mi ha stordita. Ho amato Puccini fin da quando l’ho scoperto per caso in radio, avevo 6 o 7 anni. Mi ha fatto scoprire l’opera, mi ha aperto la mente».
Per ora in Italia non riesce a venire, vero?
«Sono molto triste per non poter essere là, con questa pandemia. In questa stagione nel suo Paese ci sono occasioni ghiotte, a partire dalla prima della Scala, poi volevo proprio andare a Viareggio. Spero nella primavera: ho dovuto rinviare vari impegni di lavoro».
Era previsto un suo concerto a New York stasera per festeggiare i 75 anni. Che cosa farà oggi invece?
«Che peccato. Oggi penso che posso lavorare a casa, scrivere ed essere produttiva come ogni giorno, ma niente concerti per il momento. Oggi spenderò un po’ di tempo con mia figlia Jesse, che avrebbe dovuto suonare stasera con me. Adoro stare con lei. Penso anche che prenderemo la metropolitana e in un quarto d’ora potrò essere davanti all’Oceano, che amo molto, a respirare il mare».
Lei è una brava mamma. I suoi figli suonano nella sua band.
«I miei figli hanno perso il papà da piccoli, e suonano entrambi con me. Jackson ha 40 anni e ha un figlio di 9 che si chiama Frederick come mio marito, Fred Sonic Smith: è molto protettivo nei suoi confronti, non ci sono foto sui social e da nessuna parte e fanno bene. Abitano nell’Upper Michigan, mi telefona ogni giorno».
Che cosa ha pensato e fatto quando l’altro giorno è tornata a casa con le chiavi di New York?
«Ho scritto un po’, e ho fatto il bucato. Fare il bucato è un modo per rimanere con i piedi per terra».
E quando le hanno detto che aveva ricevuto da Viareggio il Premio Puccini?
«Sono rimasta molto sorpresa. Io non ho una voce magnifica, non ho studiato da cantante. Ma sentendo le sue arie e la Callas che le cantava, seguendo poi su YouTube le lezioni di Pavarotti che insegna come cantare senza spendere un soldo, ho imparato a fare narrazione con la musica e comunicare emozionalmente le mie canzoni. Spero di poter venire in Italia in primavera a ritirare questa statuetta».
La musica è il centro della sua vita?
«La musica ma anche il potere delle parole. Metto la mia musica nei libri e viceversa. Ora sto scrivendo un libro molto impegnativo su ciò che mi ha fatta diventare quello che sono, i miei, i miei fratelli e anche Puccini. Ci vorrà molto tempo, lavoro sempre a tre o quattro cose per volta».
Lei compie 75 anni, ed è così vitale, positiva. Quando si esibisce, la sua forza colpisce. Sta tracciando bilanci, in questi giorni?
«Alla mia età cerco di prendermi cura di me stessa, di far convivere la musica e il bucato, di mangiare cibo buono, perché non mi piace andare dal medico. Faccio lunghe passeggiate, ho uno stile di vita semplice; l’unico vizio, che non lascio, è il caffè italiano. Cerco di essere grata ed entusiasta comunque vada la vita e se brutte cose accadano: grata per quel che sono e ho avuto».
Si può definire felice?
«Faccio sempre il meglio che posso, non ambisco alla perfezione. I miei rimpianti sono molto personali. Mi mancano mio padre e mia madre, vorrei parlare con lei ancora una volta e una volta anche con mio marito. Sento che la gente è contenta di quel che sono, mi fermano e leggono Instagram. Mi sento connessa a loro e non mi sento una star».
Quale è stato il suo disco più importante?
«Davvero non ne ho idea, non è un fatto di dischi ma di pezzi. Banga è stato un buon disco. Sto ora leggendo canzoni per un nuovo album, che cosa è meglio lo decide la gente: è importante ricordarsene».
E le canzoni che ama di più?
«People Have The Power, scritta per la gente. Ma anche Pissing In A River del ’76, che trovo ancora molto potente. E anche Dancing Barefoot, che cantava il mio amore per mio marito, scritta nel ’79 prima di ritirarmi. Sono sempre fiera dei miei testi».
Viene in mente, per i suoi gusti personali, che forse i Pink Floyd e David Bowie non sono nelle sue corde...
«Amo la spontaneità. Sopra tutti Jimi Hendrix, Coltrane, Wagner. Sto ascoltando la nuova Adele, ha fatto un buon lavoro. Bowie e i Pink Floyd hanno scritto grandi canzoni, ma non è il mio mondo».