La Stampa, 30 dicembre 2021
Barnaby, 12 anni, il nuovo Einstein
Barnaby ha 12 anni, le lentiggini sul naso e un quoziente intellettivo che lo rende ufficiamente un genio. Il giovane è entrato a far parte del club dei cervelloni Mensa dopo aver superato il test d’intelligenza per l’ammissione con un punteggio che lo pone più o meno al pari di Einstein. Vive con la famiglia nella città inglese di Bristol, ama la matematica e la chimica, sogna di andare ad Oxford e come regalo di Natale ha chiesto criptovaluta. «Avevo capito che era intelligente», dice la mamma Ghislaine con tipico understatement britannico.
Barnaby Swinburn fa parte di un numero crescente di giovanissimi entrati a far parte del prestigioso club che prende il nome dalla parola latina «mensa», ossia tavola. Il gruppo è nato ad Oxford nel 1946 con l’idea di riunire i cervelli migliori del Regno Unito attorno ad un’ideale tavola rotonda di eguali. Oggi ha filiali in tutto il mondo, compresa l’Italia. L’unico requisito per i candidati è di rientrare nel 2% della popolazione con il più alto quoziente intellettivo. Nel test di ammissione, Barnaby ha ottenuto il risultato più alto possibile per la sua fascia d’età: 162. Per dire, Albert Einstein, che a questo test non si è sottoposto, era stimato essere su 160, così come l’astrofisico Stephen Hawking. La maggior parte delle persone ottiene un punteggio compreso tra 85 e 115; 100 viene considerato normale.
Quando aveva quattro anni, Barnaby, che ora frequenta la scuola media, stava sveglio la notte per cercare di calcolare quanti secondi ci sono in un’ora. Non ha mai fatto storie per fare i compiti di matematica, anzi li fa volentieri da solo, ha raccontato la signora Swinburn alla stampa inglese. Ha deciso da solo di prenotare il test al Mensa per «capire meglio se stesso» e le sue possibilità. «Ho detto a suo padre che sarebbe andata in due modi», ricorda la mamma, parlando al Bristol Post. «Poteva non farcela, e allora si sarebbe arrabbiato molto; o poteva entrare, e allora sarebbe diventato insopportabile perché avrebbe capito quanto è intelligente». Alla fine ce l’ha fatta, per la felicità sua e dei genitori, Ghislaine e Christopher.
Ma un quoziente intellettivo alto non fa la felicità, come hanno scoperto sulla loro pelle altri piccoli geni. In Gran Bretagna, dove il sistema scolastico è già altamente competitivo dalla tenera età, alcuni dei giovani cervelloni hanno bruciato le tappe, arrivando all’università giovanissimi, con esiti talvolta disastrosi. C’è chi è entrato a Oxford a 13 anni per poi scappare a gambe levate a 15; chi ha preferito lavorare in un supermercato, almeno per un periodo, dopo assere arrivato nel prestigioso ateneo appena quattordicenne. «Quasi tutti vanno all’università, ma la metà lascia. Non sanno studiare, non sanno come riprendersi da un fallimento o da una battuta d’arresto, hanno sempre avuto vita facile», ha detto al Times tempo fa Lyn Kendall, psicologa e consulente del Mensa per i bambini particolarmente dotati. «Dico sempre ai genitori di assicurarsi che i figli siano persone complete, non solo un cervello con le gambe: sono gentili, si rendono utili, si sentono felici?».
Nonostante i potenziali rischi, la «baby generation» è in crescita tra i ventimila membri del Mensa britannico. Oggi il più giovane ha tre anni, ma il più piccolo ad essere mai stato ammesso aveva appena due anni e quattro mesi.
Barnaby, almeno per ora, ha le idee chiare. La mamma lo descrive come un burlone, il «clown della classe», ma anche come un giovane ambizioso. Vuole studiare ad Oxford e diventare un programmatore di computer. «Noi non lo spingiamo a fare nulla», giurano i genitori. «Su questo decide tutto da solo».