la Repubblica, 29 dicembre 2021
Le carte segrete di Andreotti e Gorbaciov
Così Andreotti e Gorbaciov persero la Guerra fredda. Ma per quello che vale, fu una sconfitta all’altezza di un piano grandioso che puntava a ridisegnare gli equilibri del mondo.
A distanza di 30 anni, il tempo di una generazione, i documenti diplomatici aiutano a capire lo svolgersi di quel processo per lampi, sussulti e confidenze in tono quasi famigliare. A proposito della riunificazione della Germania, «i tedeschi – confida Mikhail a Giulio – vi sono molto concentrati, fino ad avere il mal di testa»; mentre sul Medio Oriente: «È più facile volare fino a un’altra galassia che mettere d’accordo gli arabi!». Riguardo all’America, del resto, il presidente italiano così ne parla con l’interlocutore sovietico: «Gli Usa sembrano sempre aver bisogno di un “diavolo” (Ortega, Castro, Gheddafi) per propria propaganda politica. Anche voi – concede – eravate un po’ diavoli».
Ma non solo per questi sprazzi è interessante perdersi nel gran librone diplomatico che le rinate Edizioni di Storia e Letteratura, hanno dedicato ad Andreotti e Gorba?ëv. Lettere e documenti 1985-1991, a cura di Massimo Bucarelli e Silvio Pons (pagg. 380, euro 28; disponibile sul sito
www.storiaeletteratura. it e in libreria dalla seconda metà di gennaio). Le fonti sono 81 documenti che provengono dalla Farnesina, ma soprattutto dalle carte andreottiane depositate all’Istituto Sturzo. In quel lasso di tempo il Divo è agli Esteri e poi a Palazzo Chigi, comunque alle prese con Chernobyl, la fine dell’occupazione russa dell’Afghanistan, la crisi dell’Achille Lauro, il crollo del Muro, la riunificazione tedesca, il cambio Reagan-Bush alla Casa Bianca, la prima Guerra del Golfo, fino al fallito golpe anti- Gorbaciov e alla dissoluzione dell’Urss.
Altri personaggi compaiono: Craxi, che raccomandando “riservatezza” ed “elementi confidenziali” riceve l’ambasciatore russo Lunkov subito dopo il bombardamento americano della Sirte; De Michelis che si scontra con Guido Carli su certe restrizioni del Tesoro ai crediti sovietici; più diversi e importanti ambasciatori, Vattani, Bottai, Salleo, ma soprattutto Sergio Romano che da Mosca invia rapporti che restano straordinari per vivace e preveggente lucidità.
Se Andreotti è il primo politico occidentale a cogliere la novità di Gorbaciov e a puntare sul successo della perestroika, consigliandolo (no a spese per gli armamenti, basta finanziamenti a Cuba) e personalmente accreditandolo presso gli europei e la Casa Bianca, Romano diffida ed è più che scettico sulla riuscita della riforma interna avvertendo che un atteggiamento troppo disponibile è rischioso. Al che Andreotti gli risponde con sbrigativa degnazione. Presto lascerà Mosca (dove peraltro i russi cercano di arruolare un segretario d’ambasciata).
A prima vista sfugge la vastità e l’ambizione dell’impegno italiano. Più che la fine dei blocchi, “Andreottov”, come lo chiamava in quegli anni Montanelli, lavora per una conservazione degli equilibri e un bipolarismo “normalizzato” da ottenersi, a partire dal destino della Germania, ma anche della Polonia, senza accelerazioni né scosse. In realtà, osservando più da vicino il suo schema, si capisce che Andreotti guarda al ruolo che può giocare la nuova Russia pensando soprattutto al Mediterraneo e più in generale al Medio Oriente, vedi il fattivo incoraggiamento, di sponda con la Santa Sede, alla mediazione sovietica per scongiurare, ma invano, la guerra nel Golfo.
Fra i sintetici appunti presi da Andreotti durante un colloquio a Mosca, luglio 1990, riguardo all’Achille Lauro si legge: «Lettera di Arafat; no, non è stato Abu Nidal, è stato Abbash. Forse posso dire ad Arafat (detto agli Usa): liberati di Abbash (magari dallo a noi) e così si apre negoziato con Israele; ma temo che Shamir non vuole negoziato per non restituire territori occupati. Questo può voler dire la fine di Arafat (troppo moderato) se Israele non gli va incontro – è un rischio serio».
Gorbaciov ricambia l’amicizia, rimanendo tuttavia più abbottonato dell’interlocutore. C’è una lettera in cui conferma «immutata fiducia nella saggezza» di Andreotti, ritenendolo «unico fra i grandi statisti» ad aver compreso i suoi sforzi. Il punto è che questi sono troppi e su troppi fronti. Lo smantellamento del bipolarismo rappresenta per lui un passaggio fondamentale per concentrarsi sulla transizione interna e la riforma di un sistema già sconvolto dalla crisi economica e dalle nazionalità già in rivolta. Si tratta di una vera lotta contro il tempo.
Molti, forse troppi anni sono passati per stabilire cosa esattamente si sapeva e cosa di nuovo rivelano i documenti. Di sicuro non si sapeva che nel luglio del 1990, con la premessa «pongo un tema delicato», Andreotti chiese a Gorbaciov «qualche notizia utile retrospettiva» sul ruolo del super terrorista Carlos in Ungheria e in Cecoslovacchia e «i nostri terroristi». Il leader sovietico risponde che «attiverà gli uffici». L’italiano insiste: «Può essere che alcuni si coprono dietro il Kgb per protezioni anche da loro?». E Gorbaciov: «Non può escluderlo»; anche se, in altro verbale, aggiunge: «Non recentemente comunque».
Chi ama la storia sa che i buchi della serratura esistono anche per guardare quel che c’è dietro le porte, così come i caratteri delle persone hanno un rilievo narrativo irresistibile. Perciò il rapporto che si crea fra i due leader è tanto autentico quanto asimmetrico: Gorbaciov è un riformatore ateo fin troppo impetuoso, Andreotti un conservatore di eccezionale sottigliezza cattolica che in diplomazia contempla l’efficacia delle cose «dette all’orecchio», testuale, e l’importanza dei risvolti umani sulle grandi questioni, dal senatore americano che amministrava i beni di Reagan, al figlio di Bush che vivendo in Florida sperimenta sulla sua pelle il problema degli esuli cubani.
Più diversi i due non potrebbero essere. Ispirato, brillante e istrionico il sovietico, «Come a primavera i piccoli piccoli ruscelli» esordisce una volta; così come un’altra volta interrompe Andreotti che sta parlando degli italo-americani esclamando in italiano: «Cosa nostra!». Il leader democristiano ovviamente non raccoglie. Nei faccia a faccia risulta abbastanza severo con Walesa («Importanza storica, però populista»); propone la restituzione simbolica di un’anonima salma di soldato italiano per chiudere il problema degli italiani scomparsi; porta i saluti del Papa («È un uomo straordinario che lavora per l’umanità» riconosce Gorby); si fa venire l’idea di una maratona attorno al 38° parallelo in Corea e fa assegnare al suo interlocutore il Premio Fiuggi (500 milioni di lire, by Ciarrapico).
Ma tutto al dunque – oh vanitas vanitatum! – risulta inutile. Il colpo di Stato a Mosca indebolisce la perestroika; la fine dell’Urss completa la catastrofe trascinandosi dietro anche gli investimenti geopolitici del Divo. Nell’ordine mondiale troppe cose si erano messe in movimento perché i due statisti potessero fermarle. Né Gorbaciov, né Andreotti sopravvivono alla Guerra fredda. Una doppia scommessa persa, con qualche scrupolo si direbbe un unico destino.