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 2021  dicembre 29 Mercoledì calendario

Le armi segrete di Berlusconi contro i franchi tiratori


Cosa spinge Silvio Berlusconi a essere così sicuro di farcela? Come fa a non dubitare di essere impallinato dai veri protagonisti della corsa al Quirinale – i franchi tiratori che in 75 anni di elezioni presidenziali hanno mandato in fumo sogni, progetti e aspirazioni di politici ben più esperti di lui? Conoscendolo, è probabile che abbia in mente un sistema per disarmarli. Ma quale? Ci sarebbe uno strumento che non poterono utilizzare né Sforza né Merzagora né Fanfani né Forlani – i quasi-presidenti azzoppati a un passo dal Colle – perché allora non esisteva: lo smartphone. La tecnica l’ha spiegata benissimo Ugo Magri sull’Huffington Post: il Cavaliere potrebbe chiedere ai suoi di dargli una prova concreta e indubitabile di averlo votato, fotografando la scheda. Tecnicamente non è difficile, perché i grandi elettori esprimono la preferenza in una cabina di legno che viene montata sotto il banco della presidenza – “il catafalco”, per gli addetti ai lavori – dentro la quale nessuno può controllarli. Legalmente non è rischioso, perché mentre il cittadino può essere condannato all’arresto da tre a sei mesi se fotografa la scheda nella cabina del seggio, nessuna sanzione è prevista dai regolamenti parlamentari per deputati e senatori che violano la segretezza del voto.
Non si dovrebbe fare, dunque, ma si può. E il capo di Forza Italia potrebbe pretendere questa prova fotografica non solo dai nuovi “responsabili” appena ingaggiati – se vorranno ottenere ciò che è stato loro promesso – ma anche da quei forzisti sulla cui fedeltà nessuno metterebbe la mano sul fuoco.
Naturalmente neanche Berlusconi pensa di poter imporre qualcosa del genere ai grandi elettori di Salvini e Meloni, ai quali potrebbe però chiedere di adottare il “metodo Forlani”, usato nel 1992 per neutralizzare i franchi tiratori. La mattina del 16 maggio ognuno dei parlamentari dc sospettati di cecchinaggio ricevette precise istruzioni, perché il suo voto fosse riconoscibile. Vennero utilizzate le infinite combinazioni ottenibili scrivendo con penna blu, verde, nera o rossa tutte le formule ammesse, ovvero “Arnaldo Forlani”, “Forlani”, “on. Arnaldo Forlani”, “on. Forlani”, “Forlani Arnaldo”, “Forlani on. Arnaldo”, “on. Forlani Arnaldo” e “Arnaldo on. Forlani”. Non bastò, alla fine dello spoglio al segretario Dc mancarono 39 voti. Oggi però il metodo potrebbe essere utilizzato per marchiare non i singoli voti ma i gruppi. I leghisti, per esempio, dovrebbero votare tutti “senatore Silvio Berlusconi”, i centristi “Berlusconi Silvio”, i meloniani “Berlusconi on. Silvio”, eccetera. Toccherebbe ai leader alleati far rispettare i patti. E ognuno poi risponderebbe delle rispettive defezioni. I trucchi sono questi, dunque: la foto della scheda e la combinazione di nome, cognome e titolo. Possibile, se non probabile, che funzionino. A una condizione: che rimangano le attuali regole, ovvero il voto dentro la cabina chiusa e la lettura integrale di ogni scheda. Ma c’è una persona, una sola, che può modificarle per garantire l’effettiva segretezza della votazione: Roberto Fico. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il presidente della Camera ha pieni poteri sui lavori. Può consultare chi vuole, può riunire le giunte del regolamento per un parere, ma alla fine ogni decisione spetta solo a lui. Dunque, se volesse, così come Oscar Luigi Scalfaro fece montare il “catafalco”, oggi Fico potrebbe farlo smantellare. E potrebbe anche decidere di leggere solo il nome e il cognome del candidato in qualunque modo sia stato scritto sulla scheda. Smontando così i meccanismi vecchi e nuovi architettati per eliminare l’ultima area di libertà concessa ai parlamentari nominati dai partiti: il voto segreto.