il Giornale, 29 dicembre 2021
Le conversazioni surreali di Maurizio Cattelan
Così come si impara a scrivere bene leggendo meglio, e non scrivendo e basta, allo stesso modo si impara a fare belle interviste leggendo interviste belle, e non facendone tante, tutte uguali.
Poi ci sono casi in cui si trovano tutte insieme tante interviste, tutte belle, tutte diverse. E non le ha scritte neppure un giornalista...
Il libro di interviste più belle dell’anno, un «Who’s Who» dell’art system, e non solo, e insieme best of the best delle conversazioni d’artista – «Lettrici e lettori, il catalogo è questo» è un maxi volume che raccoglie 130 interviste in cinque lingue (soprattutto in inglese, poche in italiano, le restanti in francese, tedesco e cinese) lungo venti anni, dal 2001 a oggi, di Maurizio Cattelan, uno degli italiani più famosi fuori dall’Italia, ad altri artisti, giovani, affermati, all’epoca promettenti, in alcuni casi oggi del tutto scomparsi, e poi designer, architetti, ma anche chef, truccatori, scrittori, influencer, in qualche modo creativi. Titolo: Index (a cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli, coproduzione Pirelli HangarBicocca e Marsilio Editori, pagg. 672, euro 44) con copertina che cita The Paris Review.
Arrivati qui, non c’è che da scegliere.
Tra le interviste, reali o immaginarie, quelle a Alighiero Boetti, Chen Zhen, Francis Bacon, Massimo Bottura, George Condo, Takashi Murakami (coloratissima, in tutti i sensi), persino Michel Houellebecq, e Emilio Isgrò, Jeff Koons, Filippo Tommaso Marinetti, Fabio Mauri, Carol Rama, Tino Sehgal, Chloë Sevigny, Francesco Vezzoli, Mika Tajima (non la conoscevamo; è da conoscere...).
Morale di Index. Servono ottime domande per ottenere buone risposte. Se le prime sono scontate, le seconde saranno banali. Se le seconde sorprendono, è perché le prime disorientano.
Esempi. Le domande introduttive di Cattelan, più interessanti delle risposte, a David Horvitz, artista losangelino, oggi trentanovenne, che usa fotografia, performance art, mail art e il virtuale come media per il suo lavoro: «Perché fai quello che fai?». «Se non fossi un artista, cosa saresti?» (risposta: «Un giardiniere, o forse un delfino»), e soprattutto: «C’è ancora qualcosa nell’arte che non si può dire?» (risposta, ottima: «Il silenzio»). Oppure quelle dirette sia nel senso di «rivolte» sia in quello di «senza giri di parole» – a Jeff Koons: «Esiste arte contemporanea senza Jeff Koons?», o: «Non sei stanco di produrre arte?», ma anche: «Cos’è per te un buon lavoro e cosa un cattivo lavoro?» (la risposta, riassumendo, sta tutta nel grado di eccitazione che quel lavoro sa produrre, perché ciò che non eccita non produce idee).
Altre tipologie di domande: «Come definisci una rivoluzione?». «Pensi che il caso sia importante nell’arte?». «Senti di aver bisogno di purificare te stesso dal mondo prima di realizzare un’opera d’arte?». «Ti analizzi molto?». «Come ti definiresti oggi?» (risposta di Kaari Upson, artista che ha lavorato sul tema della memoria e dei traumi psicologici, morta per un cancro lo scorso agosto a soli 51 anni: «Viva», ed era l’estate del 2015). E poi, un classico di Cattelan: «Come inizi un lavoro?», «Da dove prendi l’ispirazione?», «Where do you belong to?» («A dove appartieni?», che apre porte infinite), «Cosa ti fa ridere?», «Se tu fossi un paio di scarpe, saresti...» (Francesco Vezzoli ha risposto: «Nike di Samotracia. Comode e piuttosto glamour»). «Se tu fossi una tua opera, quale sarebbe?». E a volte, sono gli altri a fare domande a lui, tipo Paola Pivi (un’amica, ed è uno dei duetti più divertenti), la quale, dopo aver risposto all’enigma-chiave, «Che cos’è l’arte per te?», chiede a lui: «E per te?». Risposta di Cattelan: «Un brivido nella mia testa».
Aspetti più divertenti del libro. Almeno due. Il primo: il fatto che alterni interviste molto serie ad altre tongue-in-cheek (in cui le cose sono dette in modo ambiguo, o espresse con sottile ironia), incontri di persona a chiacchierate via mail, e interviste del tutto reali, anche se magari sur-reali a incontri per interposta persona o persino «in spirito», e dato che non è specificato da nessuna parte, a volte è difficile capire quali interviste siano vere (di sicuro tutte quelle ai grandi artisti contemporanei) e quali immaginarie. Comunque, di certo sono inventate, ma verosimili perché basate su dichiarazioni vere, quelle a Francis Bacon, a Domenico Gnoli, ovviamente a Frank Lloyd Wright e a Filippo Tommaso Marinetti, che è anche una delle più belle, a Madonna (è una sua sosia, una truccatrice), a Ettore Sottsass (peccato...), e all’Avvocato Agnelli, morto nel 2003 e intervistato nel 2014 (botta-risposta finale: «La cosa più importante che ha fatto?», «Non capisco la domanda»). Ma ad esempio: l’intervista a Renato Vallanzasca, a suo modo un estroso, è vera o inventata?
E poi il secondo aspetto da segnalare: il fatto che le 130 interviste, apparse originariamente su quotidiani e riviste dal Manifesto a Flash Art, da Purple Magazine a Vogue – così come in cataloghi monografici e di mostre, siano impaginate in copia anastatica, con testo, font, corpo e layout originali, quindi una diversa dall’altra. E c’è dell’arte anche qui.
Per il resto, sfogliare il collage di immagini e parole costruito da Maurizio Cattelan, tra fantasia, provocazione, illuminazioni e disorientamenti, è qualcosa di liberatorio. L’arte contemporanea non è mai stata così accessibile, persino nei suoi misteri.
Florilegio. «Quando hai realizzato di essere una artista?». Carol Rama: «Nasciamo tutti artisti. Alcune persone però scelgono di esserlo». «Cosa rende libero un artista?». «L’erudizione. Si può essere liberi solo se si è colti», che è una risposta che fa parecchio riflettere.
«Ha mai preso in considerazione l’idea di insegnare arte?». Francis Bacon, in spirito: «No. Non credo nell’insegnamento. Si impara guardando. Ecco ciò che devi fare: guardare. Io sono stato influenzato da ogni cosa che ho visto», che è una risposta interessante pensando non a Bacon, ma a Cattelan.
Da sfogliare con attenzione l’intervista allo chef Ferran Adrià, incontrato dentro la Sagrada Familia a Barcellona, dove si parla del concetto di avanguardia in Gaudí e nella cucina. E quella all’artista visiva americana Liz Magic Laser ambientata in un ristorante cinese nel quartiere di Chelsea a New York, a gennaio scorso, in cui menu e cameriera diventano protagonisti, in una vera performance.
E infine da conservare la domanda – in sé una splendida risposta – che Cattelan rivolge all’artista rumena Andra Ursuta: «L’arte ha bisogno di spiegazioni? O non è tutto merito dell’attenzione che le persone vi dedicano?». Appunto.