Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 28 Martedì calendario

Intervista a Ezio Greggio


Passano i conduttori, Ezio Greggio resta: campione di ascolti di Striscia la notizia, è presente dalla puntata n. 1 del 7 novembre 1988, ed è poi tornato al Tg satirico ogni anno (salvo una stagione, la 1991-92, causa concomitanti film) per un totale di quasi 4.200 puntate, di cui oltre 2.500 con Enzo Iacchetti (sono la coppia più longeva). Insomma, per il pubblico, se dici Striscia dici Greggio: ne è il veterano e il volto simbolo.
Possiamo dire, con queste cifre, che la sua conduzione ha assunto una dimensione «mitologica»?
«(ride). Non me l’aveva mai detto nessuno. Ma mi fa piacere. E mi responsabilizza. Dopo 34 anni e tantissimi colleghi che ci sono alternati con me a Striscia, sono orgoglioso di essere ancora campione d’ascolti. Striscia è il mio habitat naturale. E il suo bancone la mia casa. Sono in Mediaset dal 1983: sono l’anziano, più di Scotti e molto più di Bonolis».
Insomma: lei è «figlio» di Antonio Ricci?
«Per carità, che poi si incavola. Diciamo il suo fratellino. Con lui ho fatto anche Odiens e Paperissima. E prima ancora Drive In, che ha fatto la storia della tv e ha cambiato il varietà. A Ricci mi lega un rapporto di affetto e stima, un comune sentire e l’ironia. Ci compensiamo: io metto la faccia, lui la scrittura. Sto a lui come Mastroianni a Fellini; o (ancora meglio) Totò a Monicelli».
Lei ed Enzino Iacchetti, partner a «Striscia» da 28 stagioni, sembrate una coppia di vecchi sposi litigiosi: lo fate o ci siete?
«Solo per sceneggiatura! Io l’aggressivo e lui il remissivo: complementari. Ma si vede benissimo che c’è feeling tra noi. Ci lega un affetto totale e tante storie in comune».
Prima di Iacchetti per anni ha fatto coppia con Gianfranco D’Angelo.
«Non c’è più ma l’ho sempre nel cuore e nella mente. Siamo stati la prima coppia di Striscia. Quando ci incontrammo, lui era già famoso e io agli inizi. Mi ha portato a La sberla, in Rai. Poi ho incontrato Ricci e ho coinvolto lui in Drive In. Sono stati anni bellissimi. C’era il piacere di divertirsi, ci si frequentava nel tempo libero, organizzavamo scherzi, facevamo serate di cabaret insieme. L’ho sentito l’estate scorsa, quando ho saputo che stava poco bene: era debilitato, stanco. Il male se l’è portato via in malo modo e velocemente».
Pensa che oggi, in tempi di politicamente corretto, si potrebbe fare un programma come «Drive In»? Anche «Striscia» viene periodicamente attaccata.
«Ricci lo farebbe oggi uguale a quarant’anni fa. Reputo vergognoso quello che si dice contro Striscia. Credo che la satira debba essere libera di fare tutte le battute che crede. Se no la si imbavaglia, ed è regime. Mi considero politicamente scorretto. Il comico deve esserlo, scorretto e libero: il suo mestiere è tirare per la giacca i potenti e dire la verità per quanto sgradevole sia».
Lei è anche uomo di cinema: attore in tanti cinepanettoni, regista, inventore del Festival della Commedia di Montecarlo, che quest’anno compie 19 anni. Non pensa che anche la commedia italiana abbia risentito di questo clima «normalizzante»?
«Secondo me continua a essere cattiva e graffiante. È specchio della società di cui fa la caricatura: se è cambiata, è per via della trasformazione del contesto che descrive. Se c’è stata la crisi dei cinepanettoni, è perché chi li faceva ha impoverito quel filone, proponendo sempre la stessa cosa e sopravvivendo a lungo solo per merito di ottimi registi e grandissimi interpreti, che facevano miracoli per sorreggere i film. Il pubblico l’ha sentito e si è comportato di conseguenza. Quando torneranno le idee, tornerà anche il pubblico che vi si riconosceva. E non si dica che è colpa dello streaming. Certo, il cinema paga due anni di segregazione, incertezze e paure, ma se appena si torna a zeromicron, tutti torneranno in sala: gli spettatori e chi oggi realizza film che finiscono direttamente sulle piattaforme. Ridere è un modo per sperare nel futuro».
Lei è di Cossato. Che ne pensa della polemica contro Zerocalcare e la sua serie «Strappare lungo i bordi», che farebbe passare Biella per città dei suicidi, «dove si muore dentro»?
«Premesso che non ho visto il lavoro di Zerocalcare, trovo sbagliato trasformare in una diatriba il passaggio di un autore che fa satira. Personalmente, posso dire di avere Biella nel cuore. Ha tradizioni, cultura, imprenditoria, bei parchi e bravi artisti. Questo amore però non mi ha impedito, per coerenza con la storia della mia famiglia, di rifiutare la cittadinanza onoraria che mi era stata offerta da una giunta che l’aveva appena negata a Liliana Segre». —