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 2021  dicembre 28 Martedì calendario

In Giappone, tre esecuzioni capitali

A Natale torna il boia. Almeno in Giappone, dove negli scorsi giorni sono state eseguite tre condanne a morte, le prime dal 2019. Anche in quell’occasione l’esecuzione capitale era avvenuta a cavallo delle festività natalizie, coincidenza che per l’opposizione cela il tentativo di evitare polemiche. Stavolta gli impiccati sono stati tre. Yasutaka Fujishiro, 65 anni, è stato condannato per aver ucciso sette familiari nel 2004. Tomoaki e Mitsunori Onogawa, 54 e 44 anni, sono stati identificati come gli esecutori di due omicidi in due locali di giochi d’azzardo.
Il Giappone è rimasto l’unico Paese del G7, insieme agli Stati Uniti, dove la pena capitale è ancora in vigore. Viene applicata soprattutto nei casi di omicidio multiplo: nel 2018 l’hanno subita 13 membri di una setta religiosa, colpevoli dell’attentato con gas nervino nella metropolitana di Tokyo del 1995. Le Ong criticano il trattamento, giudicato «crudele», riservato ai condannati (attualmente 107) nel braccio della morte. Ai detenuti non viene dato alcun preavviso sulla data dell’impiccagione. Ogni giorno potrebbe essere per loro l’ultimo, coi legali impossibilitati a presentare appello e i familiari avvisati solo dopo il decesso. A novembre, due detenuti del braccio della morte hanno fatto causa al governo per rivedere questa pratica «inumana».
Tokyo ha finora difeso la pratica citando l’ampio sostegno popolare alla pena capitale, che secondo i sondaggi sarebbe superiore all’80%. Le associazioni mettono in dubbio i criteri metodologici dei rilevamenti e chiedono una moratoria immediata su tutte le condanne. Ma il governo del neo premier Fumio Kishida si schiera con la «tradizione». Dopo le critiche per il ritorno del boia, l’esecutivo ha annunciato una riforma del codice penale, ma non è prevista l’abolizione della pena di morte. Il portavoce del governo Seiji Kihara ha ribadito che si tratterebbe di una mossa «inappropriata». A ottobre, il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa ha definito la misura «inevitabile» per i crimini efferati.
Secondo i dati di Amnesty International, al mondo ci sono ancora 55 Paesi che applicano la pena di morte. Nel 2020 ci sono state 1477 sentenze di condanna capitale e 483 esecuzioni in 18 Paesi. Si tratta del numero più basso dell’ultimo decennio, in calo del 26% rispetto al 2019 e del 70% rispetto ai 1634 casi del 2015. Ma dietro i dati ufficiali si celano numeri molto più alti, visto che alcuni Stati non forniscono cifre. In particolare Corea del Nord, Siria, Vietnam e Cina, con ogni probabilità primo Paese al mondo per numero di pene capitali. Iraq, Iran, Egitto e Arabia Saudita concentrano l’88% delle esecuzioni globali ufficiali, ma nella lista restano democrazie asiatiche come India, Indonesia, Corea del Sud, Taiwan. Oltre agli Stati Uniti, dove nel 2021 sono avvenute 11 esecuzioni, il numero più basso dal 1988. Ma quel numero non è ancora zero. —