La Stampa, 28 dicembre 2021
Il nucleare è morto
«Il nucleare è un business economicamente morto». Nikolaus Valerius, responsabile del ramo nucleare di Rwe, primo colosso tedesco dell’energia, ha programmi per Capodanno: «Sarò a Gundremmingen, dopo 37 anni il 31 dicembre sarà l’ultimo giorno di vita della nostra centrale in Baviera». Mancano pochi giorni e tre dei sei reattori ancora attivi in Germania verranno spenti. Gli ultimi, tassativamente l’anno prossimo. E mentre l’Ue vuole discutere l’inserimento del nucleare tra le energie verdi, e Macron promette trionfante nuovi impianti oltre ai 56 già in funzione, stessa intenzione in Finlandia e Regno Unito, il governo di Berlino non indietreggia di un passo: via dall’atomo. Così come decise Merkel nel 2011, dopo Fukushima. Avanti con le rinnovabili, con l’aiuto del gas. Scontro di strategie, Germania contro tutti, ma l’obiettivo è comune: la neutralità climatica entro metà del secolo. Attualmente, ci sono 442 reattori nel mondo, età media 31 anni, 53 nuovi sono in costruzione, 18 dei quali in Cina.
Valerius, come spiega questo Rinascimento del nucleare? Lo crede davvero possibile?
«Distinguiamo subito tra Europa e resto del mondo: nella Ue sono altamente nuclearizzate solo Francia e Inghilterra. Ma a ben vedere non ci sono copiosi investimenti privati in questa energia: sono gli Stati a dover sostenere le centrali, con costi elevatissimi. Per noi tedeschi, la strada è molto chiara e non avremo ripensamenti: è stato deciso che si debba uscire dal nucleare e ci si debba concentrare pienamente sulle rinnovabili, che sono il futuro. Perché dovrei costruire centrali nucleari se posso raccogliere l’energia del sole a meno della metà del prezzo?».
Molti governi considerano l’atomo la strada più veloce per combattere il cambiamento climatico. Sono fuori strada?
«È la strada sbagliata per ragioni di costi, di tempi e di deposito delle scorie nucleari. Partiamo da una simulazione fatta dai britannici: hanno calcolato che, a centrale costruita, per produrre un MegaWatt/ora di elettricità col nucleare si spendono 90-100 euro, contro i 45-50 euro di quella prodotta da un parco eolico in mare. Il vantaggio delle rinnovabili è netto, e non hanno bisogno di sussidi statali. Senza contare i costi esorbitanti di smantellamento».
A quanto ammontano?
«Tutto deve svolgersi nel massimo della sicurezza. Ci vogliono tra 500 milioni e un miliardo di euro e da 10 a 15 anni di tempo. La gente pensa che i reattori siano solo questione di scorie nucleari: invece lo scarto nucleare è il 5%, il 95% sono materiali riciclabili come metallo e rame di ottima qualità, che possono essere reintrodotti sul mercato».
Dunque non è così oneroso chiuderle.
«Non direi proprio. Oltre al puro smantellamento, ci sono i costi per lo stoccaggio delle scorie, specialmente quelle altamente radioattive. In Germania vengono sostenuti dallo Stato. Qui, come nella maggior parte dei Paesi Ue, non esiste ancora un impianto di stoccaggio definitivo. Il grande punto interrogativo del nucleare è cosa fare delle scorie».
Cosa significa riconvertire un colosso dal nucleare alle rinnovabili, senza perdere posti di lavoro? Quanto investirete?
«Nel secolo scorso, Rwe aveva già una produzione di elettricità basata sulle rinnovabili. Ma la nostra vera storia è iniziata nel 2018: oggi, investiamo 5 miliardi di euro lordi l’anno, raggiungeremo i 50 miliardi entro il 2030, aumentando la nostra capacità di 2,5 GigaWatt l’anno con il solare e l’eolico offshore e onshore, più l’idrogeno. Cosa significa? È come se nascessero ogni anno due nuove centrali nucleari. Sul fronte dei posti di lavoro, dal 2011 abbiamo avuto il tempo di effettuare le necessarie riduzioni di personale in modo socialmente accettabile, riconvertendo molte mansioni. Il piano del governo Scholz, che vuole uscire dal nucleare con le rinnovabili, è molto ambizioso, non lo nascondo. Ma è il momento giusto per cambiare economia e politica energetica». —