Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 27 Lunedì calendario

Intervista ad Antonio Giovinazzi

Antonio Giovinazzi ha perso il posto da titolare all’Alfa in favore del giovane Zhou, spinto dagli sponsor cinesi, l’Italia resta senza piloti in F1.
Impegno e sacrifici non sono bastati contro i soldi, quanto fa male essere stato scaricato così?
«Era una sfida quasi persa. È il brutto di questo sport, purtroppo è sempre stato così. Spero di potermi ricredere in futuro: se penso da dove partivo e dove sono arrivato...».
Da Martina Franca, dal kart che le regalò suo papà Vito.
«Più crescevo e più diventava difficile realizzare il sogno di essere pilota di F1. Io però ci credevo, ma soprattutto ci credeva papà. Ha fatto tantissimi sacrifici per me».
Quali sacrifici?
«All’epoca era rappresentante di un’azienda di trasporti. Girava tante ditte e prima di parlare del suo lavoro parlava di me. “Lo sa che ho un figlio che corre in kart? Se ci fosse uno sponsor...”».
Sua madre?
«Casalinga. Non ci è mai mancato nulla, ma non vivevamo nel lusso. E poi era preoccupata».
Perché?
«A 13 anni viaggiavo quasi da solo, accompagnato soltanto dal meccanico, anche lui pugliese. Treni, pullman, all’estero in camion. Per lei non era facile da accettare. Ma non me lo ha mai fatto pesare. Sopportava, perché quel sogno si avverasse».
E quando quest’anno le hanno comunicato che il sogno sarebbe finito, come ha reagito?
«Delusione. Mesi difficilissimi. C’erano voci sempre più forti su di me. Io ho sempre cercato di tenerle lontane, ma stavolta non era facile. Perciò sono contento di come ho reagito, esco dalla F1 a testa alta».
I piloti paganti ci sono sempre stati, per Jean Alesi però «mai a questi livelli». Il suo sostituto, Zhou, ha l’appoggio dello Stato cinese, come si fa a competere così?
«Fortunato lui. Anche se poi i punti della superlicenza di F1 li ha ottenuti da solo. È vero, ora ci sono piloti che decidono le politiche finanziarie di intere squadre. Ma non sono l’unico ad aver perso il posto per questo».
Forse dice così perché manterrà un triplo incarico: terzo pilota per Ferrari, Alfa e Haas, e punta a rientrare nel 2023.
«Non è un addio ma un arrivederci. Nel frattempo continuerò a correre in Formula E, e poi sarò al servizio della Ferrari. È un grande impegno, è la squadra che mi ha dato tutto».
All’Alfa si è sentito osteggiato?
«Perché avrebbero dovuto? Non lo so, e non ci voglio pensare: l’obiettivo era portare a casa più punti possibile. In Messico mi sono sfogato, ero dispiaciuto per non aver raccolto quanto meritavamo. Ma ormai non conta più niente».
E che cosa conta?
«Essere arrivato alla fine senza rimpianti».
I momenti più belli in F1?
«Il debutto nel 2017, a Melbourne. Ero riserva: mi fanno salire in macchina sabato mattina, non conoscevo la pista. E poi il mio primo Gp a Monza, nel 2019. E il penultimo del 2021 a Gedda: a punti nonostante fossi già stato scartato. Un bel segnale».
Vorrebbe assomigliare più a Verstappen o Hamilton?
«Sono simili, molto aggressivi entrambi. Una stagione storica. Ad Abu Dhabi mi è dispiaciuto ritirarmi, ma almeno dai box mi sono goduto l’ultimo giro. Meritavano il titolo tutti e due».