La Stampa, 27 dicembre 2021
Ritratto di Molière
È la moglie di Sganarello ad annunciarlo, senza ritegno: bisognerebbe cambiare marito, quando non se ne può più, come si fa con una camicia. Molière scrisse la commedia Sganarello o il cornuto immaginario nel 1660. Pochi anni prima aveva concluso la stesura di Il dispetto amoroso, dove un valletto parte in una tirata misogina. Il pubblico ride, perché da quattro secoli la considera ridicola. Le parole di un maschilista.
Era il 15 gennaio 1622 e a Parigi nasceva Jean-Baptiste Poquelin. Figlio di uno dei tappezzieri del re, s’incamminò sulla stessa strada. Ma a 21 anni abbandonò quella vita da piccolo borghese per un’idea bislacca, fare l’attore. Scelse il suo nome d’arte, Molière. La Francia si appresta a festeggiarlo, 400 anni dopo la nascita: a celebrarne la modernità e pure quel femminismo, che pervade le sue pièces, una scoperta relativamente recente (spesso, nel passato, Molière è stato frainteso o strumentalizzato). Una caratteristica che è innanzitutto il frutto della sua vita. «Lui fu un attore di successo, prima di essere anche un autore – ricorda Géorges Forestier, professore alla Sorbona e uno dei più grandi specialisti di Molière -. Fece parte di troupe di professionisti, dove (è lo stesso sistema oggi della Comédie-Française) gli attori, sia uomini che donne, avevano una quota della società. E tutti la stessa».
Insomma, partì già da questa oggettiva parità tra uomo e donna. Divenne presto il leader della troupe e per tutta la vita ebbe accanto Madeleine Béjart, che le cronache dell’epoca ricordano bellissima (dai capelli rossi) e interprete incredibile. I due furono amanti per qualche anno. Madeleine restò in seguito una presenza solare e rassicurante accanto a lui. Il vero, grande amore della donna era stato Esprit de Rémond, conte di Modena, sposato, dal quale aveva avuto una figlia, Armande, che era stata riconosciuta dalla madre di Madeleine, per nascondere il “fattaccio”. Nel 1661 Molière sposerà Armande, che aveva ventun’anni meno di lui. Anche lei diventerà un’attrice di successo. Vissero sempre nella stessa casa a Parigi, tutti insieme: lui, Armande, Madeleine e l’intero clan Béjart, una famiglia di attori, liberi e anticonformisti. Madeleine morì nel 1672 e Molière l’anno dopo. Mentre Armande continuerà a calcare i palcoscenici.
Ma l’approccio femminista di Molière è soprattutto il frutto degli ambienti che frequentava, i salotti delle «dame galanti», le fans più entusiaste del suo teatro. «Erano aristocratiche che animavano incontri mondani – sottolinea Lise Michel, docente di letteratura francese all’Università di Losanna e storica del teatro -. Lì si dibattevano senza sosta le tematiche relative ai rapporti tra uomini e donne, con una buona dose di humour e connivenza. Scrittori e anche scrittrici presentavano le proprie opere. La presenza femminile era forte. E vigeva una parità tra i due sessi». «È un periodo in cui si afferma un femminismo, che poi ritornerà solo nel ventesimo secolo – continua Forestier-. Siamo all’incirca tra il 1640 e il 1690. L’ultima moglie di Luigi XIV, Madame de Maintenon, che lui sposò nel 1684, era proprio un’ex dama galante. La prima cosa che ottenne dal re fu la creazione di Saint-Cyr, un’istituzione che doveva servire a istruire le giovani figlie povere della nobiltà». Nei loro salotti, queste donne intraprendenti erano le animatrici, che lanciavano i temi di discussione e alle quali gli uomini dovevano rendere omaggio. Non sopportavano (e non ammettevano ai loro eventi) i borghesi conservatori e retrogradi, devoti di un cattolicesimo eccessivo. Non a caso quelli sono gli stessi personaggi, che vengono ridicolizzati nelle commedie del drammaturgo.
Per Lise Michel, «il femminismo di Molière non fu militante. Le sue pièces, in particolare La scuola dei mariti e La scuola delle mogli, non comportano una battaglia per la parità, ma sì, presuppongono l’eguaglianza tra uomini e donne». In ogni caso, dopo la morte, è stato difficile capirlo il suo approccio. «Si è presa come esempio una delle ultime commedie, Le intellettuali – precisa Forestier -, dicendo che lì Molière attaccava il genere femminile. Non si è capito che prendeva in giro le donne pedanti, quelle che facevano sfoggio inutile di cultura. E con loro la pedanteria in generale». Più tardi il testo fu considerato ingiustamente misogino. Poi, nell’Ottocento si sviluppò in Francia il mito di un Molière morale e classico: in quel contesto, il suo rapporto con le donne, così innovativo, restò incompreso. Tanto più che s’inserì una leggenda, il fatto che fosse geloso della moglie, perché molto più giovane di lui: una falsità storica. Il suo femminismo è stato rivalutato solo dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando la critica francese riscoprì l’influenza delle «dame galanti» sulla letteratura del tempo. Quell’elemento è stato inglobato nella nuova edizione delle sue opere curata per la Pléiade da Forestier, con Claude Bourqui, e pubblicata nel 2010. Oggi, 400 anni dopo la sua nascita è chiaro: Molière, femminista ante-litteram, scriveva per e su quelle donne. —