Corriere della Sera, 24 dicembre 2021
Omicron, le insidie non viste
Alla velocità di Omicron il paesaggio cambia rapidamente. Anche i dati e le certezze invecchiano in fretta.
Il primo monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità sulla presenza della variante in Italia, che a inizio mese parlava di uno zero-virgola di casi Omicron sul totale, aveva diffuso una sensazione di tranquillità e di vantaggio rispetto ad altre zone europee. Nella nuova flash survey la presenza è stimata a quasi il 30%, un balzo di due ordini di grandezza. È per noi la prima attestazione di quanto Omicron abbia sul serio una trasmissibilità inedita in questa pandemia, come d’altronde sapevamo fin dalla sua comparsa in Africa. Il nostro vantaggio era effimero. Credo che ognuno di noi se ne sia reso conto basandosi più semplicemente sul proprio osservatorio personale. L’evidenza cosiddetta «aneddotica», anche se non può essere considerata verità, non va nemmeno ignorata: abbiamo tutti notato l’incremento dell’ultima settimana di classi in quarantena, l’aumento rapido di positivi vicino a noi. La smania competitiva di Omicron si è innestata su una crescita di casi di Delta che era già sostenuta di per sé e che aveva ormai raggiunto livelli importanti.
a fin dall’inizio si sospettava, a nostro parziale conforto, che Omicron avesse anche una severità minore rispetto a Delta. Ovvero una tendenza attenuata a mandare la gente all’ospedale. Anche questa aneddotica, per fortuna, comincia ad avere un fondamento nei dati reali. Negli ultimi giorni sono stati presentati diversi studi che confermano la riduzione di severità, e provano a quantificarla. Bisogna tenere conto di quanto difficile sia, in una situazione stratificata come quella di oggi, riconoscere la minore severità «intrinseca» della variante, separandola dagli altri effetti che nel frattempo si sono accumulati e che tendono a sovrapporsi e confondersi: l’immunità acquisita per infezioni precedenti o attraverso il vaccino, quale vaccino e con quante dosi, la composizione anagrafica delle diverse popolazioni, i cambiamenti nelle dinamiche di comportamento. Insomma, si tratta di un’analisi tutt’altro che facile.
Per avere dei numeri in testa, con la consapevolezza che si tratta di stime suscettibili di correzione, si può leggere il report dell’Imperial College pubblicato due giorni fa, che tenta di disaccoppiare i vari effetti. Ma occorre la pazienza di decifrare con calma le tabelle. I numeri sono sempre più difficili da leggere correttamente. Anche per questo, preferisco evitarli qui. Ho l’impressione che in questo frangente possano essere più fuorvianti che di aiuto. Più importante, mi sembra, è che ognuno di noi abbia in mente una visione qualitativa della situazione circostante. Della sua complessità e delle incertezze. Perché come sempre, ma in modo ancora più lampante che in passato, la tessitura degli elementi su Omicron ha raggiunto il pubblico in una versione ipersemplificata, che suona all’incirca così: «Ci saranno tanti casi ma non saranno casi gravi». È una reazione comprensibile. La spossatezza e l’imminenza delle feste ci portano ad abbracciare, fra le molte possibili, l’interpretazione rassicurante ancora più volentieri. E non lo fanno solo i cittadini comuni: molti esperti si sono spinti a decretare addirittura la fine agognata della pandemia «grazie a Omicron».
In questo quadro, in cui è impossibile per chiunque costruire uno scenario affidabile di come sarà la pandemia tra un mese, propongo di introdurre in ogni ragionamento la categoria del «sì, ma».
Omicron ha una severità ridotta, sì, ma è molto più trasmissibile. Lo abbiamo scritto qui di recente, ma è il punto centrale e non bisogna smettere di ribadirlo. L’aumentata trasmissibilità potrebbe cancellare in fretta il vantaggio della minore severità, potrebbero bastare un paio di raddoppi di casi. Perché la percentuale piccola di un numero molto grande è comunque un numero molto grande. In altre parole, la severità è ridotta, sì, ma non sappiamo se è abbastanza ridotta, perché avremmo bisogno che lo fosse di parecchio.
Siamo vaccinati, almeno lo è la maggior parte di noi. Sì, ma non lo siamo tutti. La percentuale «naive» di popolazione, cioè che non ha sviluppato anticorpi né per incontro con il virus né attraverso la vaccinazione, è ancora significativa. Omicron più veloce vuol dire anche più pervasiva, ovvero che raggiungerà molto più facilmente quella parte di popolazione. Dopo mesi di sacrifici, l’insofferenza dei vaccinati verso chi non lo è ancora rischia di sconfinare in derive di cinismo. Sembra quasi serpeggiare l’idea che ormai «loro» se la stiano cercando e che quindi non dobbiamo occuparcene. Ma bisogna stare attenti, e restare umani nel modo più degno. Un ammalato è ammalato e basta. L’atteggiamento pur discutibile di alcuni verso i vaccini non significa che vadano protetti meno. Nessuno vuole che qualcun altro si ammali. Per di più, non giova né agli uni né agli altri.
I casi gravi sono quelli di cui ci siamo giustamente preoccupati fino a qui, dicendo che dovevamo evitare agli ospedali un eccesso di ricoveri. Sì, ma un’onda anomala di casi più lievi che portano comunque i pazienti in pronto soccorso o anche solo a cercare assistenza medica rischia di causare un diverso tipo di crash. Senza contare il fatto che il personale sanitario rientra nella popolazione generale, e a causa di positività e quarantene potrebbe ritrovarsi depotenziato rispetto al normale.
La protezione di chi è vaccinato con tre dosi rimane alta per Omicron. Anche rispetto all’infezione. Sì, ma le terze dosi somministrate sono ancora poche in percentuale. Poche rispetto alla sua velocità.
La chiusura delle scuole per le vacanze invernali, così come di molte attività produttive, con la diminuzione degli spostamenti ci darà una mano nei prossimi giorni, riducendo probabilmente l’accelerazione. Sì, ma al contempo avremo una trasmissione domestica dovuta alle riunioni per le feste, forse più eventi di superdiffusione in quei contesti. E molta parte di questa trasmissione avverrà in modo occulto, perché anche la nostra capacità di monitoraggio sarà in modalità festiva.
Vogliamo, anzi pretendiamo di basarci sui dati per prendere delle decisioni che riguardino la vita pubblica, ormai ci sentiamo maturi in questo. Sì, ma non è detto che questa volta abbiamo il tempo di avere dati solidi. Ci sono da capire molti aspetti di questa nuova variante: i suoi meccanismi specifici di trasmissione, se è più abile con l’aerosol, se e come cambiano le fasi presintomatica e sintomatica, gli intervalli di contagiosità, l’affidabilità dei diversi test a disposizione. Ci vorrà tempo per tutto questo, un tempo che forse non abbiamo.
Però abbiamo il sistema dei colori delle regioni per tenerci alla larga dalle soglie di allerta. Sì, ma quel sistema era tarato sul virus originario e non è affatto detto che abbia una reattività sufficiente per risultare ancora ottimale.
Lasciar crescere i casi a dismisura perché tanto non si tradurranno in malattie gravi sembra di nuovo un’opzione, sì, ma non lo è. Significa innanzitutto rinunciare a un tracciamento affidabile. Rimettersi a guidare bendati, con la sola speranza che il nuovo Covid sia il raffreddore che ci auguravamo stupidamente dall’inizio che fosse. La strategia della proliferazione non ha portato nulla di buono dal principio ogni volta che qualcuno l’ha tentata. Ha sempre costretto a cambi di rotta più faticosi e dispendiosi.
In generale: la dominanza ormai prossima di Omicron può essere interpretata, almeno da chi si è già vaccinato anche con il richiamo, come un vantaggio. Rischiavo poco prima, rischio ancora meno adesso. Sì, ma. Esiste un potenziale impatto collettivo di questa variante con costi altissimi. In termini di vite innanzitutto. In termini di tenuta del sistema sanitario. In termini economici e infine di organizzazione del nostro privato. Il collettivo che appare lontano a un certo punto ricade sempre su ogni singolo. In questa pandemia ciò che avviene su larga scala ci ha sempre riguardato e ci riguarda ancora. E lo sforzo di tenere insieme tutte queste informazioni in parte contrastanti, come sfondo delle nostre decisioni personali, è quello che ci viene richiesto nei prossimi giorni.