il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2021
Metilde la carbonara
È plumbeo il dicembre del 1821 per le patriote e per i patrioti milanesi. Il giorno 13 è stato arrestato Federico Confalonieri. Alla vigilia di Natale la polizia austriaca ferma e interroga Metilde Viscontini Dembowski, la giovane signora amica di Ugo Foscolo e amata perdutamente e vanamente da Stendhal, che si ispirerà a lei per il suo De l’amour.
Non è sicuramente una donna comune, Metilde. Nata a Milano il 1° febbraio 1790, e costretta a sposare il generale napoleonico Jan Dembowski, è riuscita, tra il 1814 e il 1815, a separarsi dal marito. Con la stessa determinazione avuta nell’allontanarsi dal brutale Dembowski, affronta, quel 24 dicembre, l’interrogatorio. Le carte di polizia registrano che è comparsa “Viscontini Metilde maritata Dembrowky (sic)”. È sospettata di far parte della cospirazione carbonara che ruotava intorno al giornale Il Conciliatore – scrive la sua biografa Marta Boneschi –. Dopo l’arresto di Confalonieri, quel gruppo di liberali si riuniva nella saletta azzurra dell’appartamento della signora in piazza Belgioioso, e così lei viene accusata “di aver inviato del denaro a Giuseppe Pecchio”, uno dei patrioti, “nel frattempo riparato a Madrid, e di aver divulgato un suo scritto”. Intanto, a giugno, temendo di essere arrestato per le sue frequentazioni dei patrioti, Stendhal aveva lasciato per sempre Milano, riparando a Parigi. Ricorderà: “Lasciavo dopo tre anni d’intimità una donna che adoravo, che mi amava, e che non mi si è mai data”.
L’affascinante Metilde, in quella tetra vigilia di Natale di duecento anni fa, tiene testa alla sbirraglia del Regno del Lombardo-Veneto che la interroga. Come scrive Michel Crouzet, uno dei massimi studiosi di Stendhal, lo fa “con un’efficacia che i congiurati maschi avranno molto raramente. O non sa nulla, e non ha niente da dire, oppure non concede che informazioni vaghe e banali”. Aggiunge la Boneschi: “In un capolavoro di abilità e dissimulazione, Metilde ammise i fatti comprovati ma politicamente irrilevanti, negò di essere a parte di una cospirazione e non compromise alcuno dei patrioti”.
Narra lo scrittore risorgimentale Atto Vannucci che “fu arrestata per carbonarismo a Milano in mezzo alla strada; fu rinchiusa prigioniera in sua casa con una guardia alla porta”. Metilde era “un’angelica donna, che alla rara bellezza e al più soave affetto congiungeva la più sublime energia. Amava fraternamente Federigo (Confalonieri) e Teresa (la moglie Casati Confalonieri), e a quest’ultima, dopo la sciagura dell’arresto, fu larga di consolazioni, di consigli e di cure. Amava ardentemente l’Italia… e conosceva tutti i più famosi carbonari, e a tutti quelli che si adoperavano a render libera e indipendente la patria portava affetto singolarissimo”. Condotta “davanti alla commissione inquisitoriale, ebbe a sostenere un interrogatorio di dieci ore. Fece dignitose e forti risposte”. L’imperial-regio poliziotto Antonio Salvotti, “per insulto alle degne parole di lei, in tuono ironico le domandò se per avventura pensava di esser sempre in mezzo ai carbonari ai quali ella presiedea: ‘No’, rispose la energica donna, ‘ma credo di esser in mezzo agl’Inquisitori di Venezia’”. Poi, “protestando contro le violenze che indegnamente si facevano alla debolezza di una donna, dichiarò che non risponderebbe più nulla; e Salvotti pieno di rabbia fu costretto a rimetterla in libertà”.
Ci fu un secondo interrogatorio, il 26 dicembre. Metilde si rivolse allora al governatore militare della Lombardia, il conte Ferdinand Antonín Bubna von Littitz, che Stendhal definisce “uomo di spirito e di cuore”. Chiese di “essere soggetta alla giurisdizione militare e non a quella civile”, scrive la Boneschi, “cosa che ottenne nel febbraio 1822. Non fu più interrogata né incriminata”. Per Vannucci, tuttavia, da “quell’ora in poi la polizia non cessò mai di tormentarla nei modi più atroci: ma essa pose in non cale i pericoli, non si ritirò mai da niun sacrifizio, e fece tutto quello che il suo nobile cuore le comandava per tutti i generosi proscritti e per la patria infelicissima”.
Ma “i dolori si accumularono in troppo gran numero sopra il suo capo”, la “sua energia si affranse nelle comuni sciagure”. Metilde morì a Milano a trentacinque anni appena, il 1° maggio del 1825, in casa della cugina Francesca Milesi Traversi. Ugo Foscolo ne parlerà come della “gentile e più cara donna”. Stendhal annoterà in Souvenirs d’égotisme: “Quell’anima angelica, chiusa in sì bel corpo, lasciò la vita nel 1825”.