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 2021  dicembre 24 Venerdì calendario

Orsi & Tori


Il campione europeo e forse mondiale di economia, finanza e politica ha fatto lui la prima mossa. Ed è una mossa da scacco matto rispetto ai partiti. Del resto non la si scopre oggi l’abilità di Mario Draghi nell’essere e non essere, nel porsi sempre in condizione di avere come minimo due uscite. E chi pensa che con le dichiarazioni fatte nella tradizionale conferenza stampa di fine anno organizzata dall’Ordine dei giornalisti, Draghi si sia candidato al Quirinale non ha capito molto del pensiero e dell’abilità di colui che da quando venne nominato direttore esecutivo della Banca Mondiale, cioè della più politica delle istituzioni economiche mondiali, ha scalato con sapienza tutti i gradini del potere, fino a quello attuale. Il Quirinale è un gradino in più della presidenza del consiglio. Per Draghi pari sono e rianalizzando (lo hanno fatto già fini analisti politici, ma che forse non conoscono bene la personalità di Draghi, allievo del

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grande Federico Caffè e del Nobel Franco Modigliani al Mit di Boston), si può comprendere come Draghi si sia messo in una botte di ferro.
Prima mossa: dire che i 51 obiettivi del Pnrr sono stati raggiunti e che quindi non ci sarebbe bisogno di lui al governo. Conclusione quasi generale: vuole andare al Quirinale. Ma seconda mossa: il destino non è nelle mani dei singoli cioè di se stesso, quindi il potere di decidere è dei partiti. Terza mossa: non ci può essere un disallineamento fra la composizione di chi elegge il presidente della Repubblica e chi sostiene il governo, quindi se mi eleggete al Quirinale dovete continuare a sostenere, nell’attuale formazione, il governo. Quarta mossa, quasi gigionesca: io sono a disposizione delle istituzioni, sono un nonno a disposizione delle istituzioni.

Analizzate così, le parole di Draghi hanno soprattutto un significato: se mi eleggete al Quirinale dovete farlo con la stessa composizione dell’attuale governo, ma con l’attuale composizione dovete continuare a sostenere il governo. In altre parole: se mi volete al Quirinale o al governo, dovete mantenere l’attuale formazione che sostiene il mio gabinetto.
Insomma, qualunque scelta voi facciate, la responsabilità è vostra.
Invece, quasi tutti i fini analisti politici si sono focalizzati sulla prima frase politica del suo discorso: «Oggi posso dirvi che abbiamo raggiunto tutti i 51 obbiettivi del Pnrr che avevamo concordato con la commissione ed è in discussione in commissione l’accordo operativo. Governo, Regioni ed enti locali si muovono che determinazione e con forza, il processo è lungo e complesso, ma nello stesso tempo non c’è ragione di temere che si possa fare bene anche in futuro…». Ecco qui le abili parole per far dire ai partiti e ai fini analisti che Draghi è pronto ad andare al Quirinale. E rafforzando: «…Il governo ha creato le condizioni perché il lavoro sul Pnrr continui. Il governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà: l’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto sostenuto questo governo, che è la più ampia possibile».

Ecco qua che pone le condizioni: se mi eleggerete al Quirinale esigerò che il governo per la fine della legislatura abbia la stessa composizione di quello attuale. Lo ha detto ben sapendo che Matteo Salvini non più di pochi giorni fa aveva dichiarato: Se Draghi non sarà più capo del governo, non pretenderete che io stia in maggioranza con quelli del Pd...
Insomma, punta e tacco. E infatti ha aggiunto: «…La Costituzione prevede un governo parlamentare, i risultati sono stati possibili perché c’è il parlamento, che decide la vita dell’esecutivo». E, non lo ha detto, che elegge il presidente della Repubblica.
Machiavelli non sarebbe stato altrettanto abile. Se non si isolano le frasi, ma si legge tutto in maniera coerente e connessa, la conclusione è che Draghi, che molti continuano a ritenere un bravo economista, è uno dei più raffinati politici che abbiano mai abitato Palazzo Chigi. Molto di più di Giulio Andreotti, perché a differenza del divo Giulio ha imparato l’arte in molti ruoli fuori dell’Italia, dove i colpi bassi sono la regola. Basta pensare a come mise al tappeto, il 27 luglio del 2012 il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che era assolutamente contrario a che la Bce immettesse un enorme liquidità sui mercati, comprando sia titoli di stato che anche di aziende private. Anche allora giocò di anticipo: due giorni prima parlò pubblicamente a Londra, con la famosa frase «tutto ciò che serve». Solo Weidmann votò contro in quello storico consiglio. Draghi anche allora giocò di anticipo. E d’anticipo, con la prima mossa da campione di scacchi, ha messo in braghe di tela i partiti, che cincischiavano, mentre è evidente a tutti che per salvare il paese occorre comunque un governo di unità nazionale. Ma chi può guidare un governo di unità nazionale se non Draghi? E infatti ha detto: stessa maggioranza per l’elezione del presidente del consiglio e stessa maggioranza per il governo.

Per questo ha potuto concludere che è al servizio delle istituzioni, ma subito ha aggiunto: un nonno al servizio delle istituzioni. Con il che, definendosi nonno, ha fatto in modo che chi vuole capisse che sarebbe più adatto ad andare a fare per sette anni il presidente della Repubblica, più o meno all’età del presidente Sergio Mattarella quando fu eletto.
Tutt’altra storia, una volta chiarito che con le sue parole Draghi ha messo a nudo i partiti, è ragionare su che cosa Draghi preferirebbe. Sicuramente sua moglie preferirebbe che rimanesse capo del governo ancora per due anni, cioè un impegno assai più breve di quello del settennato al Quirinale. Ma lui?
Per cercare una risposta sono costretto a citare una recente definizione di Draghi pronunciata da un suo amico e fatta propria dal dottor sottile, il giudice costituzionale Giuliano Amato, prossimo presidente della Consulta, ma certo disponibile per il Quirinale: Draghi è talmente abile che sboccatamente si potrebbe definire un para****.

Per capire di più il personaggio Draghi, occorre anche osservare la sua andatura: fra il caracollante e il passo lungo e lesto. Oppure posso ripetere cosa mi rispose quando lo incalzavo, in pieno Covid, a tirare fuori una delle sue idee fulminanti. Mi rispose in un sms, come ho già scritto: «Non ho nessuna idea per cambiare la testa degli Avvocati italiani». Un plurale per non offenderne uno specifico avvocato soprannominato Giuseppi. Insomma, ancora una volta, punta e tacco. Punta e tacco cioè, di cui è stato maestro il suo principale maestro, Guido Carli, in particolare quando lo chiamò a fare il direttore generale del tesoro, accordandogli il diritto di elevare quell’incarico al massimo grado della burocrazia che era allora assegnata al ragioniere generale dello stato. Allora era in carica l’insuperabile Andrea Monorchio, che garantì a Carli che lui stesso si sarebbe impegnato per far fare una leggina che appunto facesse diventare Draghi suo pari grado.
Ci sono poi le parole, carpite alla moglie Maria Serena Cappello e riportate da Antonio Proietti, proprietario del bar di fronte alla casa umbra del presidente. Secondo questo barista, la moglie del capo del governo gli confidò, di fronte alla sua richiesta se presto avrebbe avuto come cliente il Presidente della Repubblica: «Sì, sì, lo farà il presidente della Repubblica». A mandare in onda le parole del barista è stata la trasmissione di Radio Rai 1 Un giorno da pecora. E allargandosi un po’, il signor Proietti aggiunse anche che la signora Draghi gli parve sconsolata; ma non solo sempre il proprietario del Bar aggiunse che ogni tanto Draghi andava a bere l’aperitivo, «gli piace lo spritz con l’Aperol». Lasciando passare un po’ di tempo, Draghi disse che quello non era l’aperitivo che gli piaceva. La smentita di un dettaglio per rendere non credibile le parole del povero signor Proietti. La sua tecnica di smentire un dettaglio per smentire tutto.

Capite, capiamo, qual è la raffinatezza politica del presidente del consiglio più stimato della storia italiana, osannato fin da quando era a Francoforte dai media più autorevoli del continente? Come si spiega allora l’invito a rimanere a Palazzo Chigi proprio da parte di due dei più autoregoli giornali europei, quel Financial Times dove Draghi all’esplosione del Covid scrisse un testo fondamentale per ricordare alla sua successore Christine Lagarde che si dovevano allargare totalmente i cordoni della borsa considerando gli indebitamenti dello stato come debiti di guerra, e più recentemente The Economist, che nella crisi finanziaria del 2008 aveva messo Draghi in copertina, su una barchetta in mezzo alle onde?
I due giornali hanno scritto senza nessuna consultazione con Draghi stesso? Possibile, ma improbabile, considerata la consuetudine che il presidente del consiglio ha con la stampa anglosassone. Vorrebbe allora dire che Draghi si è mosso ancora prima delle dichiarazioni dello storico giovedì 22 dicembre per giustificare la sua permanenza a Palazzo Chigi? Nel caso, non per questo, ma per avere testimonianza ulteriore della credibilità di cui gode a livello internazionale. E comunque per mischiare le carte.

Ma non lo sentite il suo tono sempre carico di un pò di ironia? Un tono per dire: come vedete, il mondo internazionale mi vuole a capo del governo. E poi, con lo stesso tono, dire esplicitamente che il governo può andare avanti anche senza di lui; ma con una maggioranza come quella in essere. Che se veramente preferisse andare al Quirinale, quelle parole dello storico giovedì pre Natale, potrebbero anche suonare come una minaccia ai partiti stessi: guardate che se mi eleggete alla presidenza della Repubblica, darò un mandato per un governo di solidarietà nazionale. Ma subito dopo: è il parlamento che decide, che ha il potere, io sono un nonno al servizio del paese.
Conclusione: anticipando i gretti partiti, Draghi gli ha passato la palla e ha fatto scrivere o dire alla maggioranza dei partiti che ha espresso una chiara preferenza per il Quirinale. Che abbia voluto dimostrare anche chi comanda in casa, rispetto allo sconsolamento della moglie in confidenza con il barista?

Non scherziamo. Tutti gli italiani sanno che finalmente, dopo anni di mediocrità o comunque appena sufficienza, oggi il sistema politico italiano può contare su un uomo che tutto il mondo rispetta (meno Il Fatto Quotidiano) e anche invidia all’Italia.
Con la sua uscita Draghi ha messo i partiti di fronte a un’esame di maturità: se i partiti non lo eleggeranno governerà ancora per due anni; se lo manderanno al Quirinale sono avvertiti: per due anni almeno il paese ha ancora bisogno di un governo come quello attuale, cioè con un solo partitino all’opposizione. Che il Parlamento eserciti il suo potere, senza pensare se Draghi preferisce lo spritz con l’Aperol o, come ha precisato, un altro aperitivo.
P.S. Nel ringraziare per l’enorme successo tributato da lettori, giornali, televisioni al numero speciale di 300 pagine di MF-Milano Finanza 35, voglio ringraziare anche i miei tre lettori e far loro e a tutti coloro che gli vogliono bene (formula di Luigi Veronelli per non commettere gaffe fra mogli, mariti, fidanzati e fidanzate), i migliori auguri di un sereno Natale e un ancora più sereno 2022. (riproduzione riservata)