Anteprima, 15 novembre 2021
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Biografia di Giampiero Galeazzi
Giampiero Galeazzi (1946-2021). Giornalista. Telecronista sportivo. Conduttore televisivo. Canottiere. Campione mondiale juniores di canottaggio nella specialità del singolo (1964), campione italiano nel singolo e nel doppio (1967 e 1968), fu convocato per l’Olimpiade di Città del Messico (1968). Laureato in Economia e commercio (con specializzazione in Statistica): «Dovevo andare alla Doxa, invece finii alla Fiat, a Torino, come atleta. Qualche mese, poi er ghiaccio, er gelo, scappai a Roma. Me volevano mannà in Sudamerica. Me sarvò che i tupamaros ammazzarono dodici dirigenti della Fiat. Lo dissi a mia madre: vedi che succede da quelle parti? E così rimasi a Roma a fa’ er vitellone». Debuttò alla radio nel 1970, passò alla tv nel 1976. Cresciuto al fianco di Sandro Ciotti (1928-2003) e Paolo Rosi (1924-1997), inviato di punta, spesso in tandem con Beppe Viola (1939-1982), ha raccontato Mondiali, Olimpiadi, canottaggio, tennis, ecc. È stato sia conduttore che commentatore della trasmissione sportiva 90°minuto. S’era poi dato anche allo spettacolo (Domenica In, Quelli che il calcio). Detto, per via della stazza, “Bisteccone” (1,95 m per 130 chili): «M’hanno rovinato dieci anni di Domenica In. Magnavo la sera e non venivo più al circolo a fare la partitella. Me so’ ritrovato in poco tempo addosso un set de valigie de 50 chili. Le scale? Le affronto come la mangusta attacca al serpente» (a Giancarlo Dotto). «Se n’è andato stremato dal diabete e dalla fatica di vita che comporta, si era pentito di una recente apparizione in tv dall’amica Mara Venier, dovette presentarsi in carrozzina e i commenti che lesse dopo, essendo già piena era social, non gli piacquero. Mi hanno già fatto il funerale, disse: mancavano invece tre anni ma soprattutto quel momento era le mille miglia distante dalla travolgente presenza dentro decenni di sport televisivo, con l’irruenza e la facilità quasi irridente con cui portava a casa colpi miracolosi, inventando lì per lì (il microfono consegnato a Maradona nello spogliatoio della festa scudetto del Napoli), o battute dei protagonisti che per qualche motivo, forse sempre un po’ intimiditi dall’imponenza dell’interlocutore, volevano fare bella figura davanti a quel microfono. Ma appunto, c’era una tonnellata di mestiere da portarsi appresso: valga per tutte quella telecronaca, la seconda più celebre, dell’oro olimpico a Sydney nel K2 di Bonomi&Rossi: volendo, la telecronaca della vita Galeazzi l’aveva già fatta – a Seul con gli Abbagnale, ovvio – poteva cavarsela di rendita e invece, ascoltare per credere, la voce che si alza ad arrochirsi nel grido è anche la voce continua, pagaiata dopo pagaiata, a dare conto del numero dei colpi e dei distacchi esatti in quel momento. E solo a un metro dalla linea lo svolazzo: “Si guarda a sinistra, si guarda a destra” urlato, e a seguire un “E vince l’Italia” riafferrando al volo la voce che se n’era andata» [Dipollina, Rep]. «Se devo raccontare la prima cosa che mi viene in mente di Giampiero è il suo sorriso, quella lunga risata grassa, un po’ impostata da eroe televisivo, ma sincera, contagiosa. Era un giornalista da commedia dell’arte, improvvisava, il canovaccio era lui. E sapeva diventare subito un pezzo del mondo che doveva raccontare. […] Non credo che Giampiero sia diventato un maestro. È stato troppo unico per lasciare lezioni. Appariva improvvisamente dove lo sport contava, era come l’invitato d’onore a un matrimonio. Se non c’era lui, non era un grande matrimonio. Non sono cose che puoi insegnare» [Sconcerti, CdS].