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 2021  novembre 02 Martedì calendario

Biografia di Pupi Avati (Giuseppe Avati)

Pupi Avati (Giuseppe Avati), nato a Bologna il 3 novembre 1938 (83 anni). Regista. Sceneggiatore. Produttore cinematografico • «Autore di pellicole di culto acclamate e di flop al botteghino» (Gianmarco Aimi, Rolling Stones, 2/8/2020) • «Conosciuto per storie imbevute di nostalgia, di provincia (soprattutto emiliana) e di memoria contadina, ma anche per la capacità di costruire trame orrorifiche» (Paolo Bianchi, il Giornale, 10/10/2020) • «Dopo un primo periodo di attività in cui ha esplorato vari generi senza dimenticare le atmosfere della sua regione, con tocchi a tratti surreali e ironici, a tratti esplicitamente grotteschi, nel suo cinema si è rivelato fondamentale l’elemento autobiografico ed è divenuta prevalente la dimensione del ricordo e del sentimento» (Sebastiano Lucci, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2003) • Esordì nel 1968 con Balsamus, l’uomo di Satana, ma raggiunse la notorietà solo alla fine degli anni Settanta, con alcuni sceneggiati televisivi (Jazz Band, 1978; Cinema!!!, 1979). Nel 1975 firmò La mazurka del barone della santa e del fico fiorone, con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio, nel 1976 La casa dalle finestre che ridono e il musical Bordella con Gigi Proietti (censurato all’uscita). Poi, tra gli altri film: Una gita scolastica (1983), Festa di laurea (1984), Regalo di Natale (1986), Storia di ragazzi e di ragazze (1989), il kolossal I cavalieri che fecero l’impresa (2001), La seconda notte di nozze (2005), La cena per farli conoscere (2006), Il nascondiglio (2007), Il papà di Giovanna (2008), Gli amici del bar Margherita (2009), Il figlio più piccolo (2010), ecc. Dal 2002 al 2004 presidente di Cinecittà («un ente inutile, facevo una cosa che costava al contribuente e che, malgrado gli sforzi, non serviva a niente»). Nel 2012 ha diretto una fiction con Christian De Sica dal titolo Un matrimonio. Nel 2013 ha recitato un cameo nel film di Riccardo Milani Benvenuto Presidente!. Da ultimo ha realizzato: Il signor diavolo (2019) e Lei mi parla ancora (2021). Ha vinto tre David di Donatello, un Ciak d’Oro e un Nastro d’Argento • Ha detto: «È nella mia natura parlare di me stesso, credo che abbia a che fare con una certa forma di infantilismo che non si regola all’anagrafe».
Titoli di testa «Ogni ricostruzione di questa intervista potrebbe essere “ritoccata”. In questo Pupi Avati è in linea con il suo modello di riferimento, Federico Fellini, che dichiarò: “Le cose più reali per me sono quelle che ho inventato”» (Aimi).
Vita Il padre si chiamava Angelo, la madre Ines. Il nonno Avati era un noto antiquario di Bologna, presso il quale la giovane Ines, figlia di un operaio socialista e di una contadina, faceva la dattilografa: «Mio padre era il figlio scioperato, molto bello, molto affascinante, elegante. Come da copione, mia madre si innamorò del bel rampollo e si mise in testa di conquistarlo» • Pupi nasce in centro a Bologna, in via San Vitale 51, e lì rimarrà per molti anni. «Durante la guerra tutti erano convinti che, se avessero bombardato, le due torri sarebbero crollate sopra casa nostra». «Qual è la prima immagine da bambino che ricorda? “Quella di me dentro un lettino, con mia sorella, quindi avrò circa 4 anni, siamo prigionieri di una sorta di rete per non uscire, visto che a quell’età evidentemente già camminavo. Parallelamente mia madre e mio padre stanno litigando. È un ricordo molto nitido. Si stavano vestendo per uscire e noi cercavamo di piangere per farli smettere. Una circostanza che già allora a me dava rammarico”» (Aimi) • «Ricordo bene la guerra, quindi i bombardamenti, i rastrellamenti, il rifugio, le fucilazioni e la paura». La famiglia Avati, per sfuggire alle bombe, sfolla a Sasso Marconi, poco fuori dalla città. «In campagna sono stato nutrito dalla favola contadina da una parte e dall’educazione cattolica preconciliare dall’altra. Entrambi utilizzavano come deterrente efficace la paura. La Chiesa di allora era tutt’altro che rassicurante e i parroci parlavano continuamente del diavolo, dell’Inferno, dei peccati e delle pene. Mentre le favole contadine che ci venivano raccontate erano spaventosissime. Però sono riconoscente a questa educazione, perché la paura sollecita l’immaginazione come nient’altro» «Ricordo quella “pratica” della cultura contadina che curava la memoria dei defunti. A Capodanno, ci si riuniva tutti nelle stalle e si recitava il “Rosario dei morti”: tra un Pater noster e un Ave Maria si evocavano i nomi delle persone care che quell’anno ci avevano lasciato, per sempre» (a Massimiliano Castellani, Avvenire, 13/1/2021). Ricorda della volta che, prima di Natale, visto che lui aveva perso tre statuette del presepe, il padre e il nonno raggiungono Bologna in bicicletta, sfidando la neve, il freddo e la paura dei nazisti, per ricomprargliele al mercatino di Santa Lucia. «Tutto per lasciare intatto in me, bambino, il senso del meraviglioso» (Marianna Rizzini, Il Foglio, 4/12/2020) • Il piccolo Giuseppe ha un’infanzia serena. La madre Ines di lui dice «è molto buono, ma troppo bugiardo». Assorbe quel che può dai parenti della madre, socialisti, e da quelli del padre, borghesi e monarchici: «La domenica, quando le due famiglie si riunivano a pranzo, c’erano discussioni molto accese: eravamo in pieno doncamillismo». Unico tormento di lui bambino: un complesso di inferiorità nei confronti del padre. «A questo è dovuta tutta la mia timidezza. Mi sentivo inadeguato, non ero alla sua altezza, lui era troppo affascinante e io ero convinto di non piacergli, neppure esteticamente» • Angelo muore nel 1950 in un incidente d’auto. Con lui c’è anche la suocera. «Noi li aspettavamo a Rimini dove eravamo in vacanza. Era il 10 agosto e l’incidente accadde a Santarcangelo di Romagna: la stessa data e lo stesso luogo dove fu ucciso il padre di Giovanni Pascoli». «Di quella notte ricordo ancora le luci accese in casa, l’urlo di mia madre e la sua sofferenza per aver perso nello stesso tempo il marito e la mamma. Inconsciamente, ancora oggi, quando squilla il telefono o il campanello ho timore che incomba una notizia di quel genere» (a Aimi) • Con La seconda notte di nozze ha ripercorso la sua esperienza «quando adolescente vivevo, insieme con i miei due fratelli, la storia di mia madre, una donna piacente, giovane, rimasta vedova, che tutti volevano far risposare» • «Non ho difficoltà a dire che avevo un innamoramento per mia madre: è la donna che ho amato di più, per quanto ami moltissimo mia moglie e mia figlia» • «Mia madre aveva conosciuto un violinista austriaco che si chiamava Joseph ma che veniva chiamato Pupi, le piaceva quel diminutivo e così da sempre mi ha chiamato Pupi. Sono sempre stato Pupi, per tutti, anche se fino a quindici, sedici anni mi vergognavo terribilmente di questo nickname» • Da ragazzo, vuole fare l’ambasciatore e studia Scienze Politiche a Firenze. Poi però segue tutta un’altra strada. «Suonavo il clarinetto in un gruppo jazz, eravamo in sette. Erano tempi senza dj, la musica era dal vivo e nei locali i gruppi facevano la differenza». «La forma musicale e trasgressiva del jazz ti dava la sensazione di poterti permettere qualunque cosa. L’immagine del jazzista è portatrice di un certo cinismo, di un’amoralità di fondo e di un comportamento poco apprezzabile nei confronti degli altri, soprattutto delle ragazze. Cose di cui non vado orgoglioso» (a Mario Manca, Vanity Fair, 31/10/2020). «Quando suonavamo in giro per l’Europa di storie ne avevamo. Con il jazz poi... ci dava quell’aria da intellettuali introversi che piaceva tanto alle ragazze. Io non ero certo uno che suscitava interesse ma con la musica è stato tutto più facile. Sono stati anni davvero fantastici». «“Ricordo con nostalgia scambi di sguardi.... Succedevano cose miracolose. E poi c’era l’idea di fondo che il maschio dovesse per forza fare il donnaiolo, anche se non gli andava di farlo”. In che senso? “La cultura del tempo imponeva che si dimostrasse di essere maschio. Ricordo che accompagnavo a casa le amiche di mia madre che trovavo tutt’altro che attraenti. Beh... mi sono detto più volte: forse dovrei saltarle addosso sennò penseranno che sono gay”» (Giusi Fasano, Corriere della Sera, 3/8/2020). L’unico problema, con le ragazze, è quando deve presentarle agli amici. «Se uno di noi si fidanzava la regola era che gli altri avrebbero fatto di tutto per farti mollare la sventurata. Ricordo che una volta una fidanzata, esasperata dal mio comportamento, telefonò per dirmi che si sarebbe uccisa se non fossi andato da lei. E allora noi– per farle capire la qualità scadente dell’essere umano – andammo tutti sotto il suo terrazzo a urlare: buttati, buttati. Avevamo un’obbedienza cieca e assoluta a queste regole» • La vita di Pupi cambia quando nella band entra Lucio Dalla che, con il suo talento straripante, lo oscura come primo clarinettista. «Agli inizi, la sera dopo le prove, andavamo in una birreria dove con 50 lire mangiavi una scodella di tonno, fagioli e cipolle. Dalla non le aveva mai e me le chiedeva in prestito, senza mai restituirmele. Ebbene, a quel tavolo raccontava di sé quello che gli sarebbe accaduto in futuro, delle cose da pazzo, da mitomane assoluto. Nessuno di noi gli credeva, invece ciò che ha fatto è molto di più. Il suo è stato un viaggio siderale. Si raccontava bugie credendoci» (Aimi). Anni dopo, Pupi ammetterà di averlo odiato così tanto che un giorno, in visita sulla cima della Sagrada Família di Barcellona, sentì l’impulso di spingerlo nel vuoto. «Alla fine mi sono reso conto che non avevo talento e che in quel mondo, competitivo quanto la boxe, prendevo solo cazzotti, così ho smesso». «A 23 anni rinunciare a un sogno di quelle dimensioni non è stato semplice. Deporre il clarinetto nell’astuccio credo, però, che sia stato un gesto di grande consapevolezza, ma anche il sommo dolore della mia vita» (a Manca) • «Nei miei film ci sono momenti in cui appaio e suono, ho composto qualche musichetta, però con la consapevolezza lucida dei miei limiti» • Per lavorare diventa rappresentante dei surgelati Findus («gli anni peggiori della mia vita»). Poi l’incontro folgorante con Fellini che lo porta sulla strada del cinema. «Dopo aver visto Otto e mezzo capì che il cinema poteva raccontare la vita (tutta quanta) e non era solo la messinscena di un duello tra cowboy e indiani o l’inseguimento di un gangster da parte della polizia» (Antonio D’Orrico, Sette, 8/3/2013) • Il finanziatore del suo primo film, nel 1968, fu un certo Mister X, un imprenditore miliardario che non volle far sapere il proprio nome. Si incontrarono al Bar Margherita e Mister X gli lasciò sedici assegni di conto corrente per un totale di 160 milioni di lire, senza pretender la ricevuta (da Pupi Avati, La grande invenzione. Un’autobiografia, Rizzoli 2013).
Amori Sua moglie si chiama Nicola (chiamata così in onore del nonno). Si conobbero alla fermata del bus. «Ero in macchina con il mio migliore amico. Lei era esattamente la donna che sognavo: mora, esile, occhi bellissimi; una nuova Ava Gardner. Non avevo il coraggio di dichiararmi, lo fece il mio amico per me. La corteggiai per quattro anni. Lei non mi voleva, del resto era bellissima e io decisamente no. Era anche fidanzata con un principe. La presi per sfinimento» (ad Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 15/12/2012) • «Quando l’ho sposata, cinquantacinque anni fa, era la più bella ragazza di Bologna e io non sapevo di essere in procinto di cominciare una delle imprese più affascinanti e complicate. Non c’era la convivenza, allora. Uno si sposava e andava a vivere insieme. E io, per essere carino, un giorno le ho regalato un mattarello, un tagliere e un setaccio. Come dire: ti consegno il testimone di mia madre. E mia moglie a quel punto ha scaraventato tutto nelle tromba delle scale, sette rampe. Sono usciti sul pianerottolo tutti i vicini» (alla Rizzini).
Figli La regista Maria Antonia (1966), lo sceneggiatore Tommaso (1969), l’animatore Alvise (1971).
Matrimonio «Credo nel matrimonio e nella sua indissolubilità. Appartengo a una generazione che non aveva paura di dire “per sempre”. Per me espressioni come “la donna della mia vita” e “finché morte non vi separi” hanno un valore. Per questo votai contro il divorzio, al referendum del ’74, e non ho cambiato idea. A volte l’amore deve passare attraverso il tradimento, per rafforzarsi. È accaduto anche a me» (a Cazzullo).
Tradimenti Entrato nel mondo del cinema, all’improvviso, diventò seducente. «Ero totalmente impreparato. Le turbolenze nel rapporto con mia moglie furono difficili da controllare. Il nostro matrimonio subì forti sbandamenti. Alla fine ce l’abbiamo fatta a ricomporre la nostra unione: ed è la cosa di cui sono più orgoglioso nella vita» (ibid).
Lutti «A casa, ho una parete che chiamo “la via degli angeli” con almeno 150 deliziosi ritratti in cornici dorate e con tutte le persone della mia vita che se ne sono andate. Tutte le sere, vado a salutarle» (Candida Morvillo, Corriere della Sera, 1/4/2020).
Premi Candidato al Golden Globe per Il Testimone dello sposo. «Andai alla serata in smoking, c’era tutta Hollywood. Quando annunciarono il best foreign movie mi alzai, feci i tre gradini, ma il titolo del film vincitore si riferiva ad una pellicola olandese: rimasi lì in piedi come un coglione, davanti a tutti. Tornato a casa, mio fratello rimase in camera con me tutta la notte, seduto al mio fianco, perché era sicuro che mi sarei buttato di sotto» (Aimi).
Politica «Il suo cinema fugge sempre da ciò che è attuale, contingente, anche dalla politica. Perché? “Perché voglio che duri, le cose che contano volano più in alto del contingente. Nelle nostre case, nelle nostre vite ogni giorno entrano tante storie, tante beghe, gente che tutte le sere parla di tutto nei programmi di informazione, sono sempre gli stessi, la solita compagnia di giro. Sono stupito e anche ammirato dal fatto che, con tutte le cose belle che si possono fare, c’è chi sta là a dire la sua su tutto, senza tentennamenti. Io rivendico invece il diritto anche a non avere un’opinione su una vicenda, o a cambiare idea”» (Ricciardi).
Religione Va in chiesa, prende la comunione, si confessa dal suo parrco di San Giacomo in Augusta, in via del Corso, a Roma. Rimpiange la religione della sua infanzia, la messa in latino, i preti che parlavano del male, del peccato e dell’inferno. «Metto in discussione la mia fede ogni giorno. Non solo a causa dei fatti di cronaca, ma anche osservando le vicende umane. Vengo a contatto con ingiustizie terribili, sento di persone che non hanno mai avuto nella vita un solo giorno di luce, di speranza, di felicità. Per esempio, ho un nipotino al quale è stata diagnosticata una malattia gravissima. E allora che cosa puoi fare? Devi ostinatamente pensare che sia possibile l’impossibile. Io, ora, vado in chiesa a chiedere a Dio di esistere».
Vizi «Non faccio mai vacanze. Quando la sera sono a casa e parlo con mia moglie, magari di cambiare la tappezzeria alle pareti, mi domando: “È meglio che la inquadri da sinistra o da destra?”».
Soldi «Si diventa molto vigliacchi, nel momento in cui il film va nelle sale. La sera della prima uscita, quando a mezzanotte stanno per telefonarti gli incassi di tutta Italia, avresti voluto fare il film più banale, brutto, commerciale, stupido, volgare del mondo purché faccia tanti soldi. Lì, veramente, abdichi a qualunque ambizione».
Tifo Milanista. «Comunque il mio modo di intendere il calcio è piuttosto atipico e in famiglia non riesco a farmi prendere troppo in considerazione a riguardo» (Guido Guidi Guerrieri, Libero, 17/9/2018).
Curiosità Vive vicino a Piazza di Spagna • Ama leggere mentre mangia. Il suo autore preferito è Faulkner, il suo eroe Robin Hood • Detesta gli opinionisti televisivi e la mania delle statistiche • «Ho molta più curiosità verso le cose già trascorse piuttosto che verso il futuro» • «Che cosa le manca? “Prima di cominciare a girare il mio primo film ho preparato il discorso per l’Oscar. Ecco, vorrei avere la possibilità di pronunciarlo, ma nessuno me lo ha ancora chiesto”» (Fulvia Caprara, La Stampa, 20/10/2018) • «So di non aver fatto il film che avrei dovuto: il mio talento e la mia vocazione avrebbero potuto dare di più. Sono un inadempiente. E quindi continuamente insoddisfatto. Ma l’insoddisfazione è il carburante che mi tiene in vita. Il pugile che sale sul ring senza avere fame è destinato ad andare al tappeto» • «Non vado a vedere i film degli altri, ho il terrore che mi piacciano e mi facciano soffrire. Non vado nemmeno a vedere quelli brutti, non ce ne sarebbe motivo. Risultato? Non vado quasi mai al cinema» • «Ancora oggi godo dell’insuccesso dei miei colleghi. Di tutti, anche di quelli di cui non sono nemmeno capace di pronunciare il nome» • Saputo che papa Wojtyla, ogni tanto, confessava i fedeli in San Pietro, lui ci si presentò sperando di trovarlo. «Sono egoista, do solo il superfluo, sono invidioso: quando un mio collega ha successo soffro». Dall’altra parte, invece, c’era un prete irlandese, che rispose: «Vada dallo psicanalista» • «Sogno ancora di sfidare Lucio Dalla al clarinetto, di imparare il latino talmente bene da poter tradurre trattati medioevali, di cambiare in modo definitivo anche se poi sono orgoglioso di tenere in vita il bambino che è in me» • Ha ammesso che la storia della Sagrada Família era inventata. «È diventato un episodio leggendario, tanto che Lucio stesso lo raccontava fingendo di ricordarselo. Ma non era vero. Non siamo mai saliti sulla Sagrada Família. E non lo avrei mai buttato giù. A un certo punto mi è piaciuto raccontarlo, funzionava e la gente rideva. Lucio se ne è appropriato e ha deciso di “ricordarselo”, mi ha molto lusingato» • «“Monicelli abitava sopra di me e l’ultima volta che l’ho incontrato è stato per caso mentre usciva da una farmacia con uno spazzolino da denti in mano. Lo fermo, e senza salutarlo esordisco: ‘Scusa Mario, quanti ne hai girati?’ E lui, prontissimo: ‘65’. ‘Non ti raggiungerò mai’. A quel punto ho visto una luce di gioia nei suoi occhi da anziano” A quanti film è? “54, non lo raggiungo”» (Alessandro Ferrucci, Il Fatto, 20/6/2021) • «Ho creduto di essere amato, me ne sono convinto e la vita mi ha ripagato. È un convincimento che viene a mancare nel presente. Io faccio corsi e workshop di recitazione. Incontro molti giovani. Fanno sacrifici, ma non sono del tutto convinti. Lo fanno per ritardare il problema di affrontare la vita di petto. Al primo inciampo rinunciano. Io sono sempre stato convinto che qualcosa di straordinario mi attendesse» • «Quando faccio scuola ai ragazzi, li invito a non rinunciare ai loro sogni. È l’unico punto di forza che ci rimane» (ad Aimi) • «Chiudendo con la sua ossessione, ha mai pensato a come le piacerebbe morire? “Vorrei svegliarmi già morto”» (Aimi).
Titoli di coda Durante il secondo lockdown del 2020, lui e la moglie hanno passato il Natale in casa da soli. Per la prima volta in vita sua, lei gli ha fatto i tortellini.