8 novembre 2021
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Biografia di Matteo Boe (Matteo Nicolò Boe)
Matteo Boe (Matteo Nicolò Boe), nato a Lula (Nuoro) il 9 novembre 1957 (64 anni). Criminale. Ex bandito. Unica persona (insieme al compagno di cella Salvatore Duras) a essere riuscita a evadere dal carcere dell’Asinara. «Ex Primula Rossa, l’ultima nella storia dei sequestri in Sardegna» (Paolo Merlini) • «Matteo Boe, […] nato a Lula, nel nuorese, in una rispettabile famiglia di pastori, ha sempre scelto. Dopo il diploma di perito agrario e il militare alla caserma di Cecchignola a Roma, si iscrive in Agraria a Bologna e comincia a frequentare ambienti vicini all’Autonomia. Qui conosce Laura Manfredi, compagna di (quasi) una vita che diventerà madre dei suoi tre figli, Luisa, Andrea e Marianna» (Elvira Serra). «“Lui, col diploma di perito agrario preso a Nuoro, si era iscritto ad Agraria. Io, col diploma di ragioniere, ero venuta via da Modena. Lavoravo, vivevo con un gruppo di ragazze, non avevo nessuna intenzione di andare all’università. Ci siamo incontrati per caso. Fra amici, persone di sinistra come noi. Matteo frequentava ragazzi sardi, ma io so poco di quella loro piccola colonia. Insieme militavamo in uno stesso gruppo, che non era niente di clandestino, aveva una sede regolarmente denunciata in questura. Facevamo politica, ma non eravamo dei carbonari. Era la vita del novanta per cento dei nostri coetanei, figli del ’77. […] Matteo era sempre pronto a dare una mano, a intervenire ai dibattiti, partecipare ai gruppi di studio. Ma io penso che lui sia sostanzialmente un ribelle, che non abbia il senso della disciplina. Non so, credo che non sarebbe stato in grado di far parte di un’organizzazione con regole e limiti”. La loro storia durava da circa due anni quando Matteo fu arrestato. A Torino, in una piazza, con in mano una borsa contenente 400 milioni. Accusato di essere stato uno dei carcerieri di Sara Niccoli, una ragazzina di San Gimignano sequestrata nel ’73 (lei poi in aula lo riconobbe, lui ammise e i giudici gli diedero in appello 16 anni). “Per me fu un fulmine piovuto dal cielo. Non sapevo, non immaginavo niente del genere. Però non pensai neanche per un momento di lasciarlo. Fu naturale mettermi dalla sua parte. Certo, non ero felicissima. Ma non mi si creò nessun problema morale. Non avevo remore per il tipo di reato. Diverso sarebbe stato, che so, per una violenza carnale…”» (Liliana Madeo, riferendo di un colloquio avuto con Laura Manfredi). «È Laura ad aiutarlo a fare l’unica evasione andata a buon fine nella storia del carcere dell’Asinara, l’Alcatraz sardo, circondato dalle correnti del mare. Boe qui sta scontando la pena per il sequestro di Sara Niccoli in una cella di Cala d’Oliva, nel punto più lontano dalla terraferma. Il primo settembre del 1986 Laura lo aspetta con un gommone che ha noleggiato a Olbia e trasportato con un carrellino in auto fino a Stintino. Approfitta della confusione durante la regata programmata per la Festa della Madonna per avvicinarsi all’isola senza dare nell’occhio. Boe approfitta, invece, dell’ora d’aria per tramortire una guardia, con il detenuto Salvatore Duras, e allontanarsi» (Serra). «Le strade si erano separate, e l’altro era stato ripreso in poco tempo. A differenza del bandito, che disponeva di furbizia e di forza, di appoggi e di logistica. Oltre che di un futuro già pronto. Boe si buttò di nuovo, con maggior furore e fame, nella “fabbrica” dei sequestri, […] e fu inserito nella lista dei venti ricercati più pericolosi» (Andrea Galli). «La Primula Rossa. Il bandito-studente. Il bandito dagli occhi blu (anche se in realtà erano nerissimi). La sua personalissima leggenda cresceva assieme alla ferocia delle sue gesta» (Serra). «Dell’Anonima sequestri, negli anni ’80, era lui il capo indiscusso, il più temuto, il più spietato, e anche il più disciplinato (“È un soldato”, dicono di Boe quelli che l’hanno conosciuto in carcere). […] La pagina più efferata, Boe inizia a scriverla il 15 gennaio 1992 a Porto Cervo: un super-rapimento, uno dei più orrendi e mediatici nel crimine italiano. Il piccolo Farouk Kassam ha sette anni. È il figlio del titolare di un albergo di lusso della Costa Smeralda. Boe, invece, a 35 anni è il re del banditismo sardo, un primato condiviso e conteso con gli altri due mammasantissima dell’isola: Grazianeddu Mesina e Annino Mele. […] Al bimbo rapito Boe taglia il lobo dell’orecchio e lo recapita al padre all’interno di una busta. Serve per alzare la richiesta di riscatto. Dopo 177 giorni di prigionia e una consegna di denaro, in circostanze ancora misteriose, e con l’intervento di Mesina, Farouk viene liberato» (Paolo Berizzi). «Le orecchie sono tragicamente prese di mira. Quando Farouk viene liberato vengono impiegate diverse ore per ripulirle: i sequestratori le hanno riempite di colla, una specie di Bostik, per impedire al bambino di ascoltare i loro discorsi. Ci vorranno diverse ore a mollo in acqua calda per togliergli di dosso la sporcizia. “Avevo i vestiti incollati indosso, non sono stato mai cambiato, le mie unghie erano artigli”. Gianmario Orecchioni, l’amico gallurese di famiglia che diventa il tramite tra i Kassam e i sequestratori, è presente al momento del rilascio: il suo ricordo del tanfo del piccolo Farouk è indelebile e costringerà a percorrere chilometri di strada con i finestrini dell’auto abbassati. […] Ossa decalcificate e difficoltà di parola: i medici che sentono parlare Farouk dopo mesi di silenzio obbligato parlano di miagolio. Quando, mesi dopo, tornerà nella grotta con gli inquirenti, nonostante il pieno recupero della capacità verbale ed espressiva, lascerà tutti di sasso: Farouk, una volta dentro, ricomincerà a miagolare» (Michela Proietti). Per Boe «la latitanza finirà il 13 ottobre del 1993 in Corsica, nell’hotel U Palmu di Porto Vecchio, dove la gendarmerie e le squadre catturandi delle questure di Nuoro e di Sassari lo trovano assieme alla compagna, all’epoca incinta, e dei piccoli Luisa e Andrea. Boe, armato, non reagisce, probabilmente per non mettere in pericolo la famiglia. Dalla Francia sarà estradato nel 1995 per il processo del sequestro Farouk. […] Per quel sequestro, e per quelli della studentessa Sara Niccoli e dell’imprenditore romano Giulio De Angelis, rapiti nel 1983 e nel 1988 (quest’ultimo durante la latitanza), Matteo Boe è stato condannato a trent’anni di reclusione, che grazie ai meccanismi dell’aritmetica penitenziaria finirà di scontare con cinque anni di anticipo […] per buona condotta» (Serra). Inizialmente sottoposto al regime cosiddetto di carcere duro, «anche quando […] gli viene tolto, Boe, per il Dap, continua a essere un soggetto pericoloso: uno da As1 (primo livello dell’alta sicurezza). Nel suo reparto a Opera ci sono quelli di Capaci e via D’Amelio. […] Aneddoto. Un giorno un politico in visita a Opera gli fa: “Lei è l’unico essere vivente che è riuscito a evadere dall’Asinara. A scappare da qui, ci metterebbe un minuto…”. E lui, serafico: “Sono cose che si fanno solo a inizio carriera!”» (Berizzi). Il 25 novembre 2003, mentre Boe era ancora in carcere, «la tragedia. Una scarica di pallettoni rivolta al balcone della sua casa di Lula uccise Luisa, la figlia quattordicenne. […] “In tutti questi anni”, disse Matteo Boe dal carcere in una delle rare interviste rilasciate, “ho visto mia figlia soltanto attraverso un vetro. Le nostre mani ogni volta erano divise da una parete. Assurdo, me l’hanno uccisa senza darmi la possibilità di abbracciarla”. Questa vicenda dolorosa ebbe strascichi giudiziari: Laura accusò l’allora maresciallo dei carabinieri di non aver indagato a sufficienza e andò sotto processo per calunnia, uscendone assolta» (Damiano Aliprandi). «Forse una vendetta per un corteggiamento rifiutato, forse uno sbaglio del sicario che in realtà voleva assassinare Laura Manfredi (mamma e ragazza si somigliavano), forse un agguato per antichi rancori che affondavano nei segreti di banditi e rapimenti, bottini e appoggi, malavita e servizi segreti, alleanze svanite e patti non rispettati. Il delitto non ha colpevoli» (Galli). Boe fu rilasciato dal carcere milanese di Opera il 25 giugno 2017, in seguito alla completa espiazione della pena. «Cella 25 reparto As1: addio. “Ho pagato i miei errori fino in fondo, senza chiedere sconti a nessuno. Ho chiuso con tutto: l’unica cosa che mi interessa adesso è risentire i profumi della mia terra”. Dopo un quarto di secolo dietro le sbarre, Matteo Boe […] è un uomo libero. […] “Il mio conto con la giustizia è saldato – ha detto l’ex bandito sardo a chi gli ha parlato nelle ore che hanno preceduto e seguito la scarcerazione –. Ora guardo avanti, farò la mia vita. Una vita ritirata”. […] L’ex bandito barbaricino mai si è dichiarato pentito per i reati che lo hanno tenuto in carcere tutti questi anni. Censore severo delle proprie emozioni, a qualcuno ha confidato che la coerenza con la natura e la matrice indipendentista gliene chiederebbero conto. Però, si è lasciato andare, “sono contento di essere uscito, e di averlo fatto con la schiena dritta”» (Berizzi). Tornò allora nella natia Lula, dove fu calorosamente riaccolto tanto dai familiari (non però dalla Manfredi, nel frattempo rifattasi una vita con un altro uomo del paese) quanto dalla maggior parte dei compaesani. Le ultime notizie su di lui risalgono al febbraio 2019, quando Paolo Merlini scrisse su La Nuova Sardegna che Boe stava frequentando un corso a pagamento per diventare guida ambientale escursionistica • Un disegno da lui realizzato nel carcere di Opera è stato riprodotto su un francobollo italiano. «Nel disegno c’è un uccellino su un muretto a secco, a cui sono appoggiate una falce e una zappa; di lato, si vede il profilo di un ficodindia. È il francobollo del valore di 0,95 centesimi, autoadesivo, in fogli da quarantacinque, con una tiratura di ottocentomila unità, che Poste Italiane ha emesso il 24 ottobre 2015 per la Giornata della filatelia. Più precisamente, è il francobollo che ricorda il progetto “Filatelia nelle carceri”, un percorso siglato da Poste Italiane con il dicastero alla Giustizia, la Federazione fra le società filateliche italiane e l’Unione stampa filatelica italiana, ed è l’esito dell’esperienza vissuta nel penitenziario milanese di Opera» (Lanfranco Caminiti) • «Un po’ soldato, un po’ asceta, un po’ “intellettuale”, come lo chiamavano in carcere» (Berizzi). «Uomo colto e spietato, dava ai sequestrati dei libri da leggere: Kafka, Dostoevskij. Sequestrava e sparava in rima» (Mario Sechi). «Armato di M 16 e di un ribellismo rivoluzionario, che qua e là, nelle lettere, compare come una mistica nicciana: “La volontà del piacere appartiene agli schiavi che preferiscono la servitù alla morte e il piacere all’eroismo. La volontà del potere è, al contrario, la vittoria della confraternita cavalleresca, dominatrice dei padroni”» (Pino Corrias) • Quando, nel 2009, scoprì che Wikipedia lo definiva «criminale italiano», se ne adontò profondamente. «Non è neppure l’aggettivo sostantivizzante “criminale” che mi ha irritato, in fin dei conti marginale pure esso nella irriducibile e totale contrapposizione tra me e lo Stato, al quale non riconosco alcuna autorità politica ed etica, trovando dunque più appropriato il termine “fuorilegge”. È piuttosto l’aggettivo seguente, “italiano”, che non voglio in nessun modo venga associato alla mia persona. La mia nazionalità è sarda perché la Sardegna è la mia nazione. L’Italia è solo uno dei tanti Stati che, nel corso dei secoli, hanno occupato, con la forza militare e il sostegno di traditori e ignavi, il suolo della mia patria. […] La Sardegna a causa della sua condizione di colonia, con tutto quello che comporta, rischia una veloce scomparsa come nazione. Lo Stato italiano stringe la sua morsa letale attorno alla nostra anima. Mai come adesso, sull’orlo del baratro del non ritorno, i patrioti sardi son chiamati, con le armi della politica e la politica delle armi, alla mobilitazione contro l’idra romana e quella mondiale. La mia storia è la storia della refrattarietà al potere costituito, con momenti di ortodossa aderenza politica e altri di puro ribellismo. Costante è stato il senso di appartenenza alla mia nazione. Maturità che purtroppo ha coinciso col mio status di prigioniero. Impossibilitato, temporaneamente, a portare il mio attivo contributo alla lotta di liberazione nazionale, vigilo per tenere integra la mia identità. Dio e lo Stato di Bakunin, l’ho tradotto durante la mia detenzione in regime di 41 bis, ed è stato stampato da un compagno anarchico sardo. Così ho fatto con altri libri, per non scordare la mia lingua e riaffermare con forza la mia appartenenza etnica» • «Boe […] ha sempre visto nello Stato un simbolo di colonialismo: salvo investire, tramite i parenti più stretti, proprio in titoli di Stato una somma attorno ai 200 milioni di lire, come portò alla luce il sequestro dei beni ritenuti frutto della sua attività criminale da parte del Tribunale di Nuoro, nel 1996» (Merlini) • «Non potrò mai perdonare, e lo dico senza rabbia, ma con la consapevolezza che non è nelle mie capacità. Non desidero incontrare nessuno di loro, non ho mai provato un senso di vicinanza a queste persone: oggi hanno saldato il loro debito con la giustizia, quello morale è un’altra cosa. Boe ha sessant’anni ed è libero: mi auguro che spenda la tanta vita che ha davanti per fare cose migliori» (Farouk Kassam a Michela Proietti nel 2020).