23 novembre 2021
Tags : Luigi Ontani
Biografia di Luigi Ontani
Luigi Ontani, nato a Vergato, ai piedi del Montovolo di Grizzana Morandi (Bologna), il 24 novembre 1943 (78 anni). Pittore, scultore, scenografo, performer «e forse lui stesso opera d’arte vivente» [Sassi, CdS]. «Cultore di Giano, di Canova, di Piero della Francesca, di Shiva…» [Picca, Foglio]. Ha esposto nei principali musei e gallerie del mondo, dal Guggenheim al Centre Pompidou, dal Frankfurt Kustverein al Reina Sofia, ha partecipato a un numero impressionante di biennali, da Venezia a Sidney a Lione.
Titoli di testa «Un Narciso innocente e folle, perennemente sotto i riflettori non della cronaca ma dei passanti. È il parapittore Luigi Ontani» (Goffredo Parise).
Vita A Vergato, «un mio avo vi arrivò con le truppe napoleoniche e pensò bene di fermarsi. Si sposò, aprì un forno, mise radici» [ad Antonio Gnoli, Rep] • «Sono nato in un paesello, durante la guerra, in una valle tagliata dalla Linea Gotica. Lì era tutto un bombardamento. Sarà stato perché veniva distrutta ogni cosa che la mia arte nasce dal nulla» [ad Aurelio Picca, Lettura] • Con l’arrivo del fascismo, «mio padre e i suoi fratelli lasciarono l’Italia. Nonna Caterina li accompagnò al treno. Portava con sé un grande pane, incoronato da una miriade di tigelle. Nel pane aveva nascosto una bandiera rossa. Poi c’era mio nonno: il Miglioti. Mi colpiva la sua faccia. Feci il mio primo ritratto a tempera, tra Van Gogh e Gauguin. Lui mi regalò un orologio d’argento con sopra inciso un leone. Fu la sola eredità che ebbi» [Gnoli, cit.] • «Mio padre morì che avevo 13 anni. Da piccolo, durante la guerra, sfollammo dal paese. Legato al petto della mamma, con i tedeschi che minacciosamente ci scortavano. Ci portarono a Bazzano. Ricordo l’eco dei bombardamenti. E un prato minato. Qualcuno saltò. Era un prato sulla via del ritorno. Non potemmo evitarlo. Mi dissero: attento Luigi. Devi zigzagare sul ciglio della stradina e prega di non imbatterti in una mina. Ancora oggi ho l’impressione di camminare così nella vita» [ibid] • Frequenta le elementari con qualche altro ragazzo del paese, ma la scuola viene presto chiusa perché il maestro non ha il permesso di insegnamento. Studia privatamente: «Mi divertiva frequentare le piccole biblioteche comunali, i centri di lettura» • A 14 anni entra alla Maccaferri, un’industria locale che fabbrica fil di ferro e che ha inventato le gabbie anti-frana: «Svolgevo mansioni di scrivano. Ricopiavo le paghe degli operai e le note per l’ufficio acquisti. Era un lavoro senza alcuna complicità né peso» [ibid]. Ci resterà per 15 anni • «Non ho studiato niente. La mia arte è basata sul dilettantismo, la sorpresa, l’imprevisto» • «Non ha frequentato nessuna Accademia di Belle Arti, solo un corso di nudo. Il suo incontro con l’arte avviene a Torino, dove va a fare il soldato nel 1963 e vede le mostre della galleria di Luciano Pistoi. Poi nel 1965 realizza gli Oggetti pleonastici, calchi in scagliola di barattoli di borotalco, scatole di uova e cioccolatini. Li espone e li indossa nel 1967. “La Maccaferri organizzò una mostra, una forma di sponsorizzazione. Nella giuria c’erano Francesco Arcangeli, Ruggeri, un giornalista colto del Resto del Carlino ed Emiliani. Videro loro le prime cose che avevo realizzato. Nel 1970 mi sono licenziato e l’amministratore della Maccaferri mi diede più della liquidazione”» [a Marco Belpoliti, Sta] • «Bologna era un grande ventre capace di contenere e digerire ogni cosa. La pittura di partito – così prona al neorealismo – a volte lasciava spazio ad artisti sorprendenti. Pesci che scappavano dalla rete. Come Bacon, Sutherland, Peter Blake. Prendevo spesso il treno dalla stazione di Porretta per Bologna. John Cage vi allestì un giorno un concerto a sorpresa. Fu un happening incredibile. Cage – la barba incolta e l’occhio da labrador – sorrideva felice» [Gnoli, cit.] • A Bologna conosce Lucio Dalla: «Fu Cesare Bastelli a presentarci. Con Lucio ci vedemmo a lungo. Gli interessava la pittura. Aprì perfino una galleria. Era un uomo premuroso. Amava gli altri. Amava la compagnia. Ci si incontrava nelle ricorrenze del Natale. Lui circondato dalla sua piccola tribù. Felice e senza smanie di protagonismo. Pochi sapevano della sua religiosità. Allo scoccare della mezzanotte della vigilia si dirigeva solitario verso la basilica di San Domenico per cantare con i frati» [Gnoli, cit.] • Molto amico anche di Francesca Alinovi che morì per mano di un assassino che continuò a proclamarsi innocente: «Fu una donna piena di vitalità. Aveva per l’arte un tempismo eccezionale […]. Ci parlammo telefonicamente il giorno prima della sua morte, il 15 giugno 1983. Accennò all’India, dove andavo spesso. Mi comunicò che aveva scritto cose su di me. Era come spossata da presenze invisibili. La sua morte mi spiazzò. Mi sembrò il frutto dell’esaltazione di un ambiente che l’aveva spinta al martirio» [ibid.] • A 27 anni arriva a Roma: «“Era il 24 novembre 1970, giorno del mio compleanno. E subito ho conosciuto Franco Gozzano, il nipote di Guido Gozzano. il poeta […] Mi racconta che fu Franco Gozzano ad affittargli lo studio in via Angelo Brunetti. Lo stesso dal quale lo vide sbucare Goffredo Parise facendone un ritratto come la coda di un pavone. Franco Gozzano, morto alcolizzato, in compagnia del cantautore livornese Piero Ciampi. “Dovevano orinare a ogni angolo di strada”, mi confessa l’artista» [a Aurelio Picca, Foglio] • La prima casa l’affitta con Sandro Chia. Intanto Renato Barilli, il critico che l’ha sempre seguito sin dagli esordi bolognesi, lo presenta in una mostra alla Galleria San Fedele di Milano. “Negli anni Sessanta e Settanta l’aspetto letterario dell’arte sembrava squalificato, ma a me invece interessava molto”» [Belpoliti, cit.] • «È stato fra i primi, nel 1969, a posare nudo nelle vesti di San Sebastiano, di Bacco, di Venere o della Sfinge, quando il travestimento non era ancora diventato un genere, praticato dai maestri della performing art» [CdS] • «L’eccentricità di Ontani si misura nelle sue messe in scena, nelle fotografie che ha realizzato già negli anni bolognesi e che lo ritraggono nei panni del Bacchino, o in quelli di un giovane fauno agreste. Si fa fotografare nei boschi del suo paese, nudo o ricoperto da grappoli d’uva, pampini o foglie della pianta da cui prende nome la sua famiglia. L’elemento narcisistico appare decisivo, un narcisismo di vita e non di morte. Infatti, a differenza degli artisti che praticano in quegli anni la body art, c’è nei suoi ritratti qualcosa di delicato, leggero, giocoso, e anche di infantilmente perverso» [Marco Belpoliti, Sta] • «I “d’aprés” non sono solo riferiti a celeberrimi pittori, quali Guercino, Caravaggio e Reni, ma propongono il mondo della letteratura all’interno del quale l’artista stesso si fa autore e insieme interprete principale: “Io sono Pinocchio, sono Raffaello, sono Leonardo; io sono la Lupa, sono Roma; ma sempre e comunque io sono Luigi Ontani”» [museontani.it] • Uno dei suoi «d’après» preferiti è Leda e il cigno: «Amo questo soggetto perché anche il mio desiderio dell’arte contempla un elemento di seduzione e metamorfosi. L’eros e l’arte sono due sentieri libertari» [CdS] • Dal 1969 al 1989 l’artista realizza circa 30 tableaux vivants: «Quelli che ho chiamato tableaux-vivants sono quadri che fermano il tempo nella posa. Il quadro ri-posa il tempo in quanto lo estende a un’atemporalità che ho espresso anche mettendomi nudo. La convinzione era che il nudo mi avrebbe portato fuori dal tempo, come è successo con l’India» [a Stefania Ulivi, Cds] • È del 1974 il primo dei suoi viaggi in India, il primo di centotrentanove (a Aurelio Picca) o di sessantanove (ad Alain Elkann): «Andai a Delhi, poi ho preso un aereo per il Nepal che era proprio Arcadia, un quadro di Guercino, un mondo talmente affascinante, pastorale, al mattino andavo a bere il latte bollente nella piazzetta del tempio di Kathmandu» [a Carlo Antonelli, Foglio]. «Iniziano così le sue riproduzioni in seppia acquerellate secondo armoniche gamme cromatiche. Si spinge fino in Indonesia, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, nuovi soggetti e nuovi materiali. Resta affascinato dall’isola di Bali, dove realizza le prime maschere, che diverranno uno dei suoi temi preferiti» [Museontani.it] • «Attraverso la maschera vado cercando gli eredi ideali di una ritualità che nel mondo è ovunque indipendentemente dalle condizioni attuali» • Nel 1975, nella galleria romana l’Attico, si è trasformato in Dracula e si è fatto chiudere in un sarcofago di cristallo [Ulivi, CdS] • Nel 1977 espone per la prima volta a New York nell’importante galleria Sonnabend • Lunghi soggiorni a New York, «quando New York si lasciava sfruttare come una generosa puttana». Un appartamento a Soho: «A un piano c’era Leo Castelli, a un altro la moglie Ileana Sonnabend, per la quale cominciai a esporre. Con Ileana per un certo periodo lavorò Annina Nosei. Fu lei a scoprire il talento di Basquiat. Aveva un fiuto meraviglioso. So che Piero Manzoni la filmò. Mi piacerebbe vedere quel documentario» [a Gnoli, cit.] • «Carmelo appartiene a quel momento in cui era facile essere tutti nella stessa stanza, ad esempio il bar Plinio lì all’angolo di piazza del Popolo. C’era sempre anche lui, sono andato a tutti i suoi spettacoli, questo lo posso dire. Quando ancora c’era tutta questa vivacità la notte […] anch’io ero talmente allegro di poter vivere fuori orario, che bastava qualsiasi pretesto per fare l’alba. Ricordo la cosa più improbabile e paradossale: quando alla fine di tutto rimanevano Carmelo Bene, Gino De Dominicis e Paolo Villaggio e se ne andavano insieme a concludere la serata» [Gnoli, cit] • «Da anni si aggira nei dintorni di piazza dei Popolo a Roma una persona molto strana: è pallida, longilinea, con larghe mandibole su un viso magro, ha i capelli biondastri, lunghi sulle spalle. Ma la sua stranezza non è qui, è nei suoi abiti e nel suo comportamento. I suoi abiti sono fatti di stoffa multicolore e lucente, una sorta di raso-velluto, quando sono in tinta sono cuciti con stoffe cardinalizie, alle volte ha in testa una papalina rossa a cui manca soltanto la veletta. L’indumento più strano sono le scarpe, di serpente, di coccodrillo, con suola enorme come quella di certi sarti zoppi di paese, alle volte sono stivaletti d’oro, e così i guanti, d’oro» [Goffredo Parise, CdS 8/12/1983] • «“Ma quanti vestiti hai?”. Dopo un breve conciliabolo con Adil e alcuni miei suggerimenti esce fuori il numero “3.657”. “La prima couturier è stata Tullia”. Eccola Colei. “La donna che ha tremila anni?”, gli domando divertito. “Sì, è sull’Appennino da quel tempo lì” [Picca, il Foglio] • Adil è il fido maggiordomo di Ontani, Tullia la sorella, morta i primi di novembre. Renato Barilli su Artribune: «Forse Tullia non ha mai preso in mano una matita o un pennello, ma senza il suo apporto non si intenderebbe quella meravigliosa concordia di intenti che l’ha legata al fratello pittore, quasi da ricordare un clima pascoliano, tra Mariù e Zvani» • «Con il procedere degli anni Ottanta, la sua opera è sempre più caratterizzata da un’ispirazione onirico-surreale e da un interesse per la manualità artigianale. Oltre a una serie di dipinti con esili figure di ispirazione mitologica, Ontani realizza lavori in cartapesta e oggetti in legno, porcellana, vetro soffiato. Compie numerosi viaggi alla ricerca di tecniche di lavorazione tradizionali, di materiali diversi. Realizza inoltre busti, amuleti ed estrosi apparati d’arredo, che daranno vita ad allestimenti sempre più suggestivi e identificabili con una immaginaria “Casa degli Ontani”» [museoontani.it] • «Le cartapeste che sono diventate degli “ibridoli”, ibridazioni di idoli» [a Ulivi, cit.] • Espone a Basilea, Parigi, New York, Bologna, Los Angeles, Monaco, Venezia, Francoforte, Trento, Torino, Bari, Roma, Madrid, Londra, Bruxelles etc. • Nel 1996 l’assessore di Milano Italo Rota (amministrazione Formentini) gli dà l’incarico di preparare una mascotte per la città. La statua, ribattezzata Bagonghi dalla stampa, è in biscuit con la faccia di Leonardo, un panettone per cappello, la Merda d’artista di Piero Manzoni come ponpon, il palco della Scala sul corpetto, gli scudetti di Milan e Inter sulle spalle, un piede di porco per ricordare la Scrofa Lanuta, simbolo di Mediolanum, un uovo d’oro in una mano che rimanda al Piero Della Francesca di Brera e una copia dei Promessi Sposi dall’altra. Commento di Formentini: «È uno sgorbio che non può aspirare a rappresentare la nostra città». L’opera viene acquistata da un collezionista milanese che spesso lo presta a musei sparsi nel mondo • «Il mio impegno è trovare un’alterità dell’arte. Ho voglia di fantasia e non di farmi condizionare dalla quotidianità» (ad Alain Elkann) (La Stampa 16/6/2013) • Nel 1998 realizza le vetrate del Municipio di Vergato, nel 2000 un elefante in ceramica policroma a grandezza naturale, per la mostra GaneshaMusa. Misura quattro metri di lunghezza, due di larghezza e i quindici quintali di peso. Aldo Busi: «Gli mancava giusto di immortalarsi su un elefante, e poi Luigi Ontani le ha fatte tutte, le scalate impervie verso la magnificazione di sé per eccesso di mancanza di vanità: pervadere per scomparire». Nel 2003 realizza una statua, sempre in ceramica policroma, raffigurante un Napoleone centauro contornato da tante statuine riunite a formare una sorta di teatrino multicolore • «A partire dagli anni Duemila ho realizzato delle immagini sovrapposte che danno movimento alle mie foto» (a Elkann, cit.) • Nel 2009 Alessandro Mendini espone un vaso all’Ara Pacis firmato a quattro mani con lui, vaso che però Ontani sostiene di non aver mai realizzato quindi, furioso, «s’è presentato al museo, ha eluso la sorveglianza, ha preso in mano l’opera e l’ha mandata in frantumi. Poi, sveltissimo, ha impugnato un pennarello color oro (uno dei suoi colori preferiti) e sul talloncino con la didascalia che riportava il suo nome ha vergato una freccia e una scritta: “Falso”». L’assessore Umberto Croppi però, del vaso in frantumi, ne ha fatto una nuova arte: “Ora sì che è un’opera a quattro mani Mendini-Ontani, un unicum. Raccogliamo i cocci, lasciamo la didascalia con l’oro ed esponiamoli”. «Mendini, avvertito, pare abbia commentato così: “Geniale. Sono d’accordo”. Anche a Ontani, pur perplesso, la cosa non dispiace del tutto: “Che le devo dire, se hanno trasformato un episodio sgradevole in un gesto artistico...”» [Sassi, CdS] • Del 2015 una mostra di Luigi Ontani nella Casa Studio di Giorgio Morandi: «Morandi rappresenta il sapere, il dipingere, il sublime, la fedeltà agli strumenti dell’arte, in una ripetizione che non è mai banale, ma inventiva e creativa costante del quotidiano. Io ho cercato di allontanarmi dalla quotidianità in questo altrove idealizzato e nel linguaggio che ho espresso» [Nastro, cit] • Nel 2019 l’inaugurazione del RenVergatellAppeninMontovolo, la fontana che l’artista ha realizzato per il suo paese, collocata nel piazzale davanti alla stazione. Un fauno/satiro di bronzo in piedi, che rappresenta il fiume Reno, porta sulle spalle un giovane adolescente alato (il torrente Vergatello) ed è collocato in piedi su un uovo avvolto dalle spire di un serpente (riferimento alla montagna locale Montovolo, cara all’artista) in mezzo a una vasca ovale, circondata da una bassa catena montuosa dalla quale compare il volto di un Tritone scolpito nel marmo bianco, a rappresentare l’Appennino in un insieme fiabesco, dal sapore quasi fin de siècle: “Per la figura centrale mi sono ispirato a San Cristoforo”» [Sassi, CdS]. Per realizzare la fontana i cittadini hanno organizzato sottoscrizioni, cene e iniziative, mettendo assieme 80 mila dei 240 mila euro del costo. L’opera però non piace né al senatore Pillon che spera di vederla affogata in una colata di cemento né al diacono Davide Fabbri: «Lo zoccolo del fauno, le corna, l’occhio all’altezza dell’ombelico e la virilità sotto forma di ramo stillante sono chiari simboli satanici e l’artista è sicuramente satanista». Il diacono si è reso poi protagonista di una tragicomica opera di esorcizzazione con tanto di preghiera mariana, sale e acqua benedetta secondo quello che lui asserisce essere il rito stabilito da papa Leone XIII [Sassi, CdS e Varesi, Rep] • «Nel mio percorso mi sono trovato all’interno di scandali non cercati» • Fino al 30 gennaio è alla Wunderkammer GAM di Torino con la mostra Luigi Ontani. Alam Jiwa & Vanitas: «Vi sono esposte più di 130 opere su carta alle quali Ontani ha rimesso mano negli ultimi due anni, ultimando e dipingendo disegni a china realizzati negli anni Ottanta e Novanta. Il corpus si compone di diverse serie. Molti sono nudini tracciati dal vivo, di fronte al modello, ma nessun naturalismo ha spazio in queste opere. Alam Jiwa significa in balinese Natura dell’anima» [comunicato del museo].
Case «Ha una casa strana, dall’atmosfera strana, stranissima. Sono tre minuscole stanze bianche a pianoterra, dietro Piazza del Popolo, che danno su un cortiletto semicoperto di ondolux o materiale plastico ondulato e verdino e il tutto sembra immerso nella casbah. I muri bianchi interni ed esterni sono quelli che si vedono e si sfiorano nelle casbah e nelle mellah mediorientali, l’atmosfera è quella, da Pepé le Moko, e par di sentire il mare, le pigre e grasse onde del Mediterraneo che si sfasciano in modo oleoso su una spiaggia cosparsa di rifiuti umani. Nelle stanze da lui abitate, e dove dorme, Ontani ha un gran letto e accanto, appesi a un robusto filo di ferro teso di traverso, tiene i suoi vestiti multicolori, le sue scarpe di seta da elfo, i suoi stivaletti da miracolato, i suoi sandali sadico-anali. La sua voce è lenta e suadente, pitonesca, quasi rovesciata da un vecchio fonografo a puntine» [Parise, cit] • Nel 2012 affitta una casa in via delle Colonnette che fu studio di Antonio Canova. «Come è riuscito ad andare a vivere in quel luogo? “Per caso: stavo passeggiando e ho visto un cartello ‘Affittasi’. Lo studio appartiene a privati, che lo affittano soltanto ad artisti”» • Ha anche una casa a Vergato: «Sì, era il villino fuori le mura del castello della Rocchetta Mattei per gli ospiti che desideravano solitudine. L’ho immaginato come un tempio, realizzando cose che non si mettono nelle mostre: i mosaici, le veneziane, i lampadari di Murano, le vetrate con i piombi, tutto ciò che nell’arte contemporanea non si può realizzare e quindi ho fatto il mecenate di me stesso» [Elkan, cit.] • «Solo il fiume mi separa dalla casa di Morandi» • È un non proprietario di immobili [Picca, Lettura].
Curiosità Ha mani piccole, curate e diafane [Gnoli, Rep] • Ama gli abiti dai colori sgargianti: fucsia, verde pallido, blu-viola, grigio-ghiaccio. «Mi piacciono i colori, e non potendo trasformarmi in un camaleonte mi vesto di stoffe acquistate in India e in Thailandia, dove vivono i miei sarti preferiti. Io stesso vorrei essere una tavolozza di colori» (ad Alain Elkann) • Sorseggia tè forti • «Pur essendo vegetariano e pacifista dalla nascita, lo ripeto in continuazione, mi piacciono persino i cannibali» [Elkann, Sta] • «Per paradosso mi interessano gli artisti molto diversi da me. Sono per la simpatia e le affinità a distanza. Non mi interessa appartenere a una tendenza, a meno che ce ne sia una ancora» [Nastro, Artribune] • «Luigi Pirandello è stato fondamentale. Il mio viaggio d’identità. E poi Pasolini nei film, Goffredo Parise, Sandro Penna. Mi ha sempre interessato l’avventura tra arte e vita» • Ha scoperto che la parola ‘arte’ in Oriente non esiste” • Dice di essere stato baciato da un cobra, «che non mi ha iniettato il veleno, ma per mesi ho portato i segni dei suoi denti sul braccio».
Titoli di coda «Personalmente gli invidio molte cose: l’essere vegetariano, analcolico, infantile, supernarciso oppure narciso classico, tale e quale il giovinetto che si specchia alla fonte. Da qui la sua natura schizoide. Gli invidio soprattutto di passare sulla terra con quelle scarpe di boa dalla enorme suola con infinita leggerezza e ironia, non l’ironia della realtà ma quella metafisica, assai più sottile e, nelle migliori intenzioni, eterna» (Goffredo Parise).