Corriere della Sera, 23 dicembre 2021
Mimmo Paladino e Dante
Il titolo è preciso, diretto, carico di potenti evocazioni simboliche: Inferno. Ecco Mimmo Paladino, dopo Quijote (il film sul Don Chisciotte), cimentarsi con un altro monumento della letteratura mondiale, la Commedia di Dante Alighieri. E lo fa su un doppio binario: in questi giorni a Padula i primi ciak alle riprese del suo nuovo film dedicato al canto di Paolo e Francesca, l’Inferno, appunto; ma ha anche dato alle stampe tre preziose edizioni con 50 opere che illustrano (ma dovremmo dire: accompagnano) le tre cantiche del capolavoro di Dante.
Nell’anno che celebra i 700 anni della morte del sommo poeta, una doppia sfida, dunque. Con due linguaggi diversi, eppure contigui, sicuramente familiari per Mimmo Paladino, uno degli artisti italiani più riconosciuti a livello internazionale, protagonista assoluto della Transavanguardia e soprattutto autore poliedrico capace di unire pittura, scultura, scenografia, grandi installazioni ambientali e ormai anche autore di un sofisticato cinema sperimentale. A suo modo, Mimmo Paladino è un artista totale. E ovviamente, anche in questo caso ama scardinare la consuetudine dell’iconografia tradizionale e di un consolidato immaginario visivo.
Proprio per questo, nel film troveremo un Dante (un non attore) praticamente muto, attonito e quasi frastornato di fronte al mondo degli inferi, accanto a un Virgilio dalla personalità ambigua, una sorta di inatteso negromante, impersonato non a caso dall’attore statunitense naturalizzato italiano Tomas Arana (vecchio amico sin dai tempi della frequentazione di Lucio Amelio e con ruoli significativi in molti film hollywoodiani, a partire da Il gladiatore): «È una messinscena di stampo teatrale. C’è il racconto di una moltitudine di umanità. Non solo singoli personaggi, un vero presepe, quello che tutti noi conosciamo, un presepe carico di figuranti e di diverse umanità. D’altronde non è sempre stato così? Il presepe non mette insieme la storia della Natività con il presente? Così, il mio viaggio nell’Inferno».
Dante e Virgilio percorrono le pagine della Commedia con gli incontri che più ci hanno appassionato: a cominciare da Paolo e Francesca, sino al conte Ugolino, qui impersonato da Toni Servillo (tra l’altro Lucifero ha il volto dell’artista Laurie Anderson). Paladino parla con voce lenta e sicura, di chi si muove con consapevole sapienza sulle cose del mondo. E sorridendo, quasi sussurra: «Alla fine si scopre che Dante e Virgilio sono solo due poveri attori che stanno recitando una parte. È solo una messinscena, proprio come la Commedia».
E aggiunge: «In fondo è un film sull’idea di bellezza: istintiva, drammatica, emozionante. Tutto è cominciato dal desiderio di mettermi in gioco. Ho iniziato estrapolando in maniera inconscia sensazioni che potessero provocare una forma. Ed è chiaro che l’inferno è quello che ne provoca di più. Il tratto drammatico racchiuso nelle pagine dell’Inferno è più coinvolgente, più ricco di immagini. Il Paradiso è senza dubbio molto più complesso nella rappresentazione».
E Paladino lo può dire a buon diritto, visto che nella sua nuova impresa editoriale (con la casa editrice Forma, sotto la cura di Sergio Risaliti in collaborazione con Riccardo Bruscagni) ha dovuto confrontarsi non solo con Dante, ma anche con i grandi artisti del passato, da Sandro Botticelli a William Blake, da Gustave Doré a Salvador Dalí, oltre che altri illustratori più contemporanei come Moebius, Milton Glaser e Lorenzo Mattotti.
Certo, il potere di fascinazione di Dante è assoluto. Ma va detto che Mimmo Paladino ha affrontato il progetto Dante con lo spirito severo e insieme poetico dell’artista che sa di maneggiare un materiale delicatissimo e al tempo stesso è consapevole di una sedimentata frequentazione con il mondo dei libri. Nascono così ben tre diverse edizioni, secondo diverse curiosità e interessi in un mondo di collezionisti e bibliofili: la prima di un formato tradizionale per un libro (22,8 per 32 centimetri), un’altra di più grandi dimensioni numerata, firmata dall’autore e limitata a 150 copie, infine un vero libro d’artista con due litografie originali, edizione di 60 esemplari.
Ma su tutta questa ricca esperienza editoriale (e probabilmente vale anche per la nuova avventura cinematografica) Mimmo Paladino non ha mai abdicato alla sua identità di artista libero da condizionamenti, ma che da sempre frequenta la cultura letteraria: «La parola, solo la parola è stata la mia guida. Non ho mai voluto illustrare la Commedia, mi sono solo servito della parola come spunto, suggestione per dare corpo a una forma che si rivelava in modo immediato e paradossalmente semplice. La Commedia è di per sé carica di immagini potenti. Il mio compito è stato solo di tradurre in segno la poesia».
Lo sottolinea anche il curatore Sergio Risaliti: «Paladino evita di restare invischiato nell’illustrazione aneddotica e nella filologia, e neppure si allontana per prendere distanza dal codice originario. Il suo lavoro sulla poesia altrui resta quello di un artista che sa trasformare le parole e i versi in nuove e autonome composizioni figurative».
Il racconto di Mimmo Paladino si dipana con energia e autonomia. Ed ecco i colori degli acquerelli, la forza delle matite o la giocosa immediatezza dei pastelli. Ma è evidente la potenza del pensiero e la fermezza del gesto. Ed è qui che Paladino rivela la sua natura più autentica: chiude infatti il volume accompagnando gli ultimi versi del Paradiso con un gesto alchemico, una vera epifania: dà fuoco al foglio, permette lentamente alla fiamma di costruire un alone scuro per rivelare sulla carta un buco, un immacolato e simbolico spazio bianco. E infine Paladino celebra la passione per la vita nella sua dimensione cosmica c