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 2021  dicembre 23 Giovedì calendario

Parla la moglie di David Rossi

«Il primo invito a cena? Me lo ricordo nei minimi dettagli, anche perché ero talmente emozionata che non riuscii a mangiare niente. Era l’estate del 1998. David mi portò in una trattoria a Volpaia, nel cuore del Chianti. Lo conoscevo da tempo: la nostra storia non decollò subito. Lui era molto riservato e non esternava i sentimenti, io venivo da una separazione e con una bimba, Carolina. Poi ci innamorammo, una simbiosi completa». Antonella Tognazzi è la moglie di David Rossi, il capo della comunicazione di Mps che la sera del 6 marzo 2013 è precipitato dal terzo piano di Rocca Salimbeni, a Siena, sede della banca, dove aveva il suo ufficio. Un caso che al termine di due inchieste, e migliaia di pagine tra documenti e testimonianze, è stato archiviato come suicidio. Ma nel corso degli anni, a più riprese, sono emersi nuovi elementi e ricostruzioni che oggi, dopo le testimonianze rese davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, hanno riacceso i riflettori sulla tragedia di Rossi, con la moglie Antonella e la figlia acquisita Carolina Orlandi che chiedono giustizia, convinte che qualcuno, da quella finestra, David lo abbia spinto, volendolo morto. 
Signora Antonella, la prima immagine che le viene in mente di suo marito? 
«David col sigaro in bocca nella nostra casa di montagna, sull’Amiata. Assieme al nostro cane Ernesto, un jack russell, con un libro in mano. Mio marito era questo, curioso della vita». 
Non certo un profilo da rider della finanza. Può darsi che ciò fosse un tallone d’Achille per uno che ricopriva un ruolo apicale, con fortissime tensioni da gestire? 
«Assolutamente no. David era un professionista che non si risparmiava, neanche a Natale. Ma leggo ricostruzioni false: la sua vita non era il suo lavoro. Per lui la vita era andare in bici e a cercare funghi». 
Leggendo le carte delle inchieste, all’inizio emerge anche una marcata convinzione, sua e di Carolina, che si trattasse di un suicidio. Poi avete invertito rotta, perché? 
«Non direi “marcata”. Avevamo semplicemente ascoltato quello che i magistrati ci avevano detto. Davanti a tutti quegli elementi, che motivo avevo io di diffidare dei magistrati? Ero travolta da un dramma». 
Ricorda un episodio in particolare? 
«La prima volta fu nel leggere questa presunta lettera di addio, che i pm mi mostrarono: “Ciao Toni... Amore, scusa”. David non mi aveva mai chiamato Toni. Mi chiamava Antonella e basta. E mai “amore”, nemmeno “scusa”, parola che non diceva mai pure quando ammetteva un errore. Poi iniziarono a dissequestrare gli apparecchi informatici di David. Mia cognata, Chiara Benedetti, ingegnere informatico, iniziò a lavorarci sopra. C’è una mail del 3 marzo, quella che David avrebbe inviato a Fabrizio Viola (allora amministratore delegato di Mps, ndr) scrivendo: “Stasera mi suicido sul serio. Aiutatemi!”. Perché nessuno ha risposto? Perché nessuno ha preso provvedimenti? In un caso del genere si allertano le forze dell’odine, anche per procurato allarme, si avverte la famiglia. È possibile una mancanza del genere da parte di chi dirigeva una banca così importante? Poi iniziammo a scartabellare tutti gli atti e iniziarono a non tornare le cose. A partire dal video in cui David cade dalla finestra, che all’inizio dà la convinzione che ciò sia avvenuto 16 minuti più tardi rispetto a quanto appurato».  
Il colonnello dei carabinieri Paquale Aglieco, in Commissione parlamentare, ha rivelato particolari di quella notte, che, se veri, sarebbero clamorosi. Cosa ha provato ascoltandolo? 
«Mi sono sentita come un leone in gabbia, tanta era la rabbia che avevo addosso. Questa persona sa tutte queste cose e le racconta dopo quasi 9 anni? Ha di fatto rivelato che l’ufficio di David, scena di un possibile crimine, sarebbe stato inquinato dai pm, maneggiando varie cose prima dell’intervento della Scientifica. E uno di loro, Nastasi, avrebbe addirittura risposto al telefono di mio marito, su cui stava chiamando l’onorevole Daniela Santanché. Perché Aglieco avrebbe dovuto dire queste cose? Era evidente che si stesse tirando addosso un problema». 
Però ci sono i verbali della Tim che classificano la telefonata di Santanché come «senza risposta...». 
«Risultano 38 secondi di risposta. I carabinieri del Ros sono stati incaricati dalla Commissione di fare una perizia anche su questo». 
Non avete la percezione, con la discesa in campo della politica, di una possibile strumentalizzazione della morte di suo marito? 
«No. Perché se una persona vale io la seguo a prescindere dal credo politico, su cui non faccio distinzione». 
Quando potrà riposare in pace suo marito? 
«Quando gli verrà resa giustizia e verrà riconosciuto che persona era David. Lo hanno fatto passare da tutto. E qualora si fosse voluto togliere la vita, come dice sua mamma Vittoria, non lo avrebbe fatto certo in banca». 
Però agli atti ci sono prove che suo marito aveva segni sui polsi. Sembrano inconfutabili segni di autolesionismo, non crede? 
«David era pieno di segni. Al tempo ci disse che erano gesti di rabbia, che se li era procurati perché sotto pressione». 
Ogni quanto lo va a trovare? Che fiore gli porta? 
«Mai. Non sono mai andata al cimitero e non ci andrò mai. Perché fa troppo male (si commuove, ndr) e perché so che David sosteneva che quando si muore si va in cielo». 
Perché qualcuno avrebbe dovuto uccidere suo marito? 
«È la domanda su cui lavoriamo da nove anni. E a cui purtroppo non c’è ancora risposta». 
C’è stato anche il fronte di ipotetici festini con sesso e droga. Crede che vi avesse partecipato anche David o che qualcuno potesse temere che ne rivelasse l’esistenza e i nomi dei partecipanti? 
«La seconda ipotesi, non c’è dubbio. Temo che David custodisse informazioni molto sensibili, specie per il ruolo nevralgico che ricopriva in una città come Siena». 
Anche lei è finita sotto inchiesta della Procura. I pm avevano ipotizzato che lei avesse dato a un giornalista la mail inviata a Viola con la minaccia di suicidio, al fine di chiedere un cospicuo risarcimento. 
«Non ho mai chiesto niente. Mi sono anche fatta due anni di processo, con il giudice che mi ha assolto con formula piena. Anche questo ho dovuto sopportare».