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 2021  dicembre 23 Giovedì calendario

Un libro di Niall Ferguson sulle catastrofi

Qualche tempo fa Angela Merkel confessò in che modo i politici, compresa lei, rischiano di essere ingabbiati dalla contingenza: il popolo tedesco, ha detto la Cancelliera, si è ostinato a lungo a considerare il Covid come qualcosa che riguardava poco la Germania, visto che le notizie di cronaca sulla pandemia arrivavano per lo più dall’estero e poco dall’interno dei confini, finché le immagini traumatiche dei camion militari con i morti di Bergamo non hanno aperto gli occhi ai tedeschi, convincendoli a prendere misure di emergenza in Germania e di solidarietà con l’Italia e gli altri Paesi. Merkel ha tratto da questa esperienza considerazioni generali piuttosto amare: non si riesce a mobilitare l’opinione pubblica su un problema finché questo non diventa gravissimo e urgente, e a volte è troppo tardi.
Tale lezione è resa ancora più generale, con ricchezza di dettagli storici, da un libro di Niall Ferguson appena tradotto e pubblicato in Italia, Catastrofi. Una lezione per l’Occidente. «Questo – scrive Ferguson – non è un resoconto della nostra peste postmoderna, ma una storia generale delle catastrofi, non soltanto delle pandemie ma di tutti i disastri, da quelli geologici (terremoti) a quelli geopolitici (guerre), da quelli biologici (pandemie) a quelli tecnologici (incidenti nucleari). Sfortunatamente, il nostro cervello non si è evoluto in modi che ci consentano di comprendere o tollerare un mondo di cigni neri, complessità e caos (...) I politici ben raramente ricercano la competenza degli esperti (...) e tale competenza, se scomoda, viene scartata facilmente».
Lo storico britannico individua cinque motivi di negligenza politica nella preparazione ai disastri e nell’attenuazione della loro gravità: incapacità di imparare dalla storia; mancanza di immaginazione; tendenza a combattere soltanto la guerra o la crisi più recente; sottovalutazione della minaccia; procrastinazione, o attesa di una certezza che non arriva mai.
È quello che Henry Kissinger, uno dei maestri di Ferguson, definisce «il problema della congettura»: prevenire il rischio di catastrofi comporta, per i leader politici, molto costi e poche prospettive di lode, perché se la catastrofe viene evitata, nessuno ci fa caso e nessuno ne rende merito al leader previdente; a cui invece si fa carico, eccome, dei costi e dei fastidi delle misure di prevenzione. Perciò la strategia più conveniente per un politico sembra spesso essere: «Lasciamo correre gli eventi e speriamo che vada tutto bene, poi se invece va male urliamo che c’è un’emergenza e servono misure straordinarie». Se questo è vero, la storia non è magistra vitae: anche quando impartisce moniti chiari, le sue lezioni vengono facilmente lasciare cadere, perché applicarle sarebbe costoso, complicato e politicamente non remunerativo; anche di fronte alla prossima grave crisi, sanitaria o di altro tipo, ci faremo trovare impreparati come di fronte al coronavirus.
Ma sarebbe un grave errore secondo Ferguson, puntare il dito solo contro i leader politici imprevidenti o poco coraggiosi nel fare le cose necessarie: i loro popoli non sono affatto da assolvere, perché il problema sta proprio nel nesso fra i leader e l’opinione pubblica, un’opinione pubblica troppo spesso colpevole di non capire, o peggio ancora di non voler capire, quel che va fatto. La maggior parte delle persone non lo capisce prima che la catastrofe arrivi, e una consistente minoranza si rifiuta di capirlo anche dopo. «L’ascesa di Internet – constata Ferguson – ha aumentato la diffusione di informazioni false e fuorvianti, tanto che si potrebbe parlare di una duplice epidemia: una causata da un virus biologico e un’altra scatenata da ancora falsità virali».
Punto e a capo. Ma adesso volgiamo lo sguardo a una catastrofe ancora più spaventosa del Covid che l’umanità si è evitata. Immaginate che cosa sarebbe successo se la dissoluzione dell’Urss nel 1991 fosse avvenuta come quella della Jugoslavia, cioè in un caos sanguinoso, tutti contro tutti, ma con 33 mila testate atomiche sparpagliate sul territorio sovietico, col rischio che chiunque se ne appropriasse e le usasse. Dobbiamo ringraziare i dirigenti sovietici, quelli politici e quelli militari, di essersi fatti liquidare senza reazioni estreme, ma a essere cinici si può notare che c’è stato un valido lubrificante in quella transizione: a migliaia di loro è stata offerta una via d’uscita facile, un’assoluta impunità e anzi la possibilità di appropriarsi di una parte consistente delle ricchezze pubbliche. Si è lamentata all’infinito la corruzione del sistema che ne è nato in Russia e altrove, tuttavia comprare l’acquiescenza di una classe dirigente da liquidare può essere il male minore. Molto minore.