La Stampa, 23 dicembre 2021
Per la transizione verde serve il carbone
Dopo un balzo all’insù nell’ordine del 50 per cento del prezzo del gas nell’ultimo anno, si stanno riaprendo le vecchie centrali a carbone (in Italia quelle di La Spezia e di Monfalcone, come ha scritto La Stampa ieri). Anche il prezzo internazionale del petrolio sta vivendo una fase generale di aumenti, soprattutto in un’Europa condizionata da rapporti politici tesi con la Russia, un fornitore difficilmente sostituibile. Con tanti saluti al Green Deal, agli impegni, tanto solenni quanto vaghi nelle parti tecniche, adottati al recentissimo COP26 di Glasgow, al generale buonismo del “verde è bello e anche facile”. In realtà il verde è sicuramente bello, altrettanto sicuramente indispensabile ma se ne sono tranquillamente sottovalutate le difficoltà. Gli europei – ma anche in larga misura gli asiatici – stanno prendendo queste decisioni cattive per tre motivi distinti: perché in questo mondo del riscaldamento globale abbiamo un inverno relativamente freddo, perché alcuni paesi produttori di gas hanno minacciato di ridurre le forniture di questo combustibile relativamente poco inquinante, e soprattutto perché non si può aumentare il pil e dare il via a una solida ripresa economica senza aumentare il consumo di energia.
Tutto questo porta a una conclusione paradossale: è quasi certamente impossibile pulire il mondo senza passare attraverso una fase iniziale di aumento dell’utilizzo di energia sporca. Forse al COP26 non se ne sono accorti perché troppo abituati a fare i conti in termini economici – ossia in termini di pil – e non in termini energetici. Adottiamo questo secondo metodo e immaginiamo, con un briciolo di semplificazione, che il fabbisogno energetico mondiale sia pari a 100 e che attualmente vi si provveda per intero mediante energia sporca, ossia carbone, petrolio, legname e quant’altro. La conversione delle centrali elettriche da sporche a pulite è un lavoro complicato che richiede investimenti costosi e gli investimenti richiedono energia. La stessa cosa vale anche per il fabbisogno complessivo di energia che deve crescere se vogliamo davvero togliere dalla povertà quel 30-40 per cento di esseri umani che ancora vivono nell’indigenza (e il cui numero sta aumentando per colpa della pandemia). Questo nuovo fabbisogno di energia non potrà inizialmente essere soddisfatto senza un aumento dell’uso delle energie tradizionali: il passaggio a un mondo a energia verde richiede una fase iniziale in cui sarà necessario usare una maggiore quantità di energia sporca così come gli investimenti di ogni tipo hanno bisogno di una fase iniziale nella quale si sostengono i costi dei nuovi impianti. Senza questa fase i maggiori ricavi e i maggiori profitti restano sulla carta. Di qui non si scappa, a meno di tagliare le consegne di energia alle imprese e alle famiglie, imponendo una sorta di astinenza energetica, a cominciare dalla riduzione del livello di riscaldamento delle abitazioni proprio in un inverno un po’ più freddo del solito. Questa fase iniziale di uso accentuato delle energie tradizionali è indispensabile ma non sufficiente: bisogna, infatti, che l’energia sporca venga utilizzata bene, ossia – per quanto possibile – per dare subito il via a alternative pulite, come l’eolico e le maree, sempre che non abbiano altre controindicazioni. In caso contrario, non potremmo non dare ragione a Greta Thunberg e concludere che i nostri sono solo dei bla bla bla.