Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 23 Giovedì calendario

Draghi da Super Mario a nonno d’Italia

Non è una carica elettiva e neppure si diventa nonno per acclamazione. E però ieri Mario Draghi è stato nominato “nonno d’Italia” da una conferenza stampa, la più umile e al tempo stesso la più carismatica a memoria di cronista. E ha dato finalmente una forma politica, – «dolcezza e fermezza» ha scandito due volte al semipresidenzialismo all’italiana, a questa strana figura di capo di Stato che è nato “notaio”, è diventato “garante”, e negli anni si è trasformato anche in pilota, protagonista ma invisibile, come quel personaggio di Italo Calvino che si commuove e si arrabbia e poi decide borbottando, ma sempre nascosto dentro il camino. Il titolo della fiaba è “Il nonno (ops) che non si vede”.
La cerimonia di fine anno ha dunque segnato il cambio di stagione, senza requiem di Mozart né applauso da sipario, ma al contrario con un Alleluia da battesimo e un applauso da ingresso: «Sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni» ha detto Draghi. E ha ripetuto la frase «un nonno al servizio delle istituzioni» che sta già diventando d’epoca come il vaffa di Grillo e la rottamazione di Renzi, come il “torni a bordo cazzo”, come “l’austerità” di Berlinguer e “la partitocrazia” di Pannella, più abracadabra di “resilienza”, più password di “debito buono” e “Whatever it takes”.
«Nonno d’Italia» è la parola-regina che nella patria dei finti umili ha fatto saltare il codice dell’ambizione con tutte le sue manovre segrete, e ci ha portati dentro il Quirinale con una sola innocente bugia: quella sui destini personali che, si è difeso Draghi, non contano, perché non sarebbero gli uomini che fanno l’Italia ma sarebbe l’Italia che fa gli uomini. E purtroppo nessuno lo ha contraddetto. Questo “rompete le righe” è stato infatti scandito, dietro le quinte della televisione, dai selfie finali dei giornalisti in fila, selfie da momento fatale, selfie da “c’ero anch’io”. E l’implicita prossima uscita di scena del presidente del Consiglio da palazzo Chigi ha preso il tono e il ritmo dell’entrata in scena del nonno d’Italia al Quirinale in una strana atmosfera da grande futuro dietro le spalle.Ecco, Draghi ha trovato un nome, appunto “nonno”, che rimanda al nostro valore nazionale, la famosa famiglia italiana come patria, con i rimandi difficili e rischiosi che volano da Alessandro Manzoni alla comicità di Lino Banfi, e nella pubblicità c’è il nonno Nanni che garantisce la robiola e il nonno Turi che garantisce il dolce col pistacchio, nel giornalismo il nonno d’Italia è Eugenio Scalfari, nello stile è stato Gianni Agnelli, nella musica Ennio Morricone, in architettura Renzo Piano… I nonni d’Italia conservano le tradizioni come una poetica, sono i “patrioti” a cui affidarsi, rassicurano e proteggono senza mai gonfiarsi di aggressività.
Di sicuro la carica di “nonno d’Italia” cattura davvero la sostanza del presidente all’italiana, quel carisma che è oggetto di studi scientifici e fa ammattire anche i migliori dei nostri costituzionalisti e dei nostri politologi. Nonni d’Italia sono stati (forse) tutti i presidenti, certamente gli ultimi cinque. C’era sicuramente un nonno nel paternalismo di Pertini e un nonno nella senilità allegrotta di Cossiga, un nonno nei burberi “non ci sto!” di Scalfaro, un nonno nella saggezza patriottica di Ciampi, un nonno nelle “lacrime napulitane” di Napolitano.
E c’è, ça va sans dire, un nonno in Matterella che ieri Draghi ha usato come scudo, evitando così il sistema di allusioni e di discorsi obliqui dei politici felpati che parlavano per ore senza dire niente e, per non tirare le cuoia, tiravano a campare con i due forni e il rinvio.
E invece, quando la domanda diventava stringente, Draghi tirava fuori Mattarella, il suo “modello” (di nonno). «È Mattarella che mi ha chiamato» con l’autorevolezza (del nonno). È Matterella che ha trattato tutti gli italiani con «la lucidità e la saggezza» (del nonno). «Rivolgo un messaggio di affetto al presidente Mattarella. Penso sia quello che provano gli italiani; ha svolto splendidamente il suo ruolo, è l’esempio, il modello di presidente della Repubblica».Ha annunciato dunque un programma chiaro e semplice il nonno d’Italia, e semmai, ieri, erano i giornalisti che, persino con autoironia, si rifugiavano in forme traslate per mimetizzare la domanda che era una sola, sempre la stessa. Ed era una pioggerella lenta e monotona di domande rituali, senza mai quel rombo di tuono che annunzia il temporale che pulisce e che rinfresca. Solo nel momento più difficile a Draghi è scappata, per imbarazzo, la parola «esondare», quando il nostro Tommaso Ciriaco gli ha chiesto dello sconquasso dei mercati europei nel caso in cui al Quirinale andasse Berlusconi.
A guardarlo rispondere a cinquanta domande che sono cinquanta e una volta la stessa domanda, in questo tradizionale ma paradossale incontro, che per sua natura è poco più di una cerimonia monotona, si vede che Draghi è nel suo ambiente con i giornalisti che hanno organizzato l’incontro come fosse una messa, con affetto e talvolta con esagerata devozione.
Il collo dritto, la schiena un po’ curva, la voce roca che forse rivela o forse simula l’emozione, i gesti e i sorrisi parsimoniosi come se cercasse di reprimere in sé un’ironia troppo naturale, ogni tanto abbassa gli occhi sugli appunti scritti a mano e ogni tanto li accende di un’arguzia border line con la sprezzatura. Senza mai misurarsi in un’arena né accomodarsi in una gabbia, ha imposto il pathos del distacco e della discrezione, «un ritorno allo stile neoclassico» lo ha ben definito Michele Masneri sul Foglio. Ha insomma cambiato le regole della comunicazione smontando le imbarazzanti auto celebrazioni di Conte, e ha mostrato la miseria anche estetica del dibattito pulp, delle giornaliste stelline e dei giornalisti macchiette, gli opinionisti madidi e sconvolti esperti in sbranamento e calci in bocca.
E così la conferenza stampa di ieri, come una brillante conversazione di spirito su un solo argomento, ha offerto al Parlamento italiano un uomo, uno stile e un programma, quello del nonno d’Italia. Delegittimarlo, quali che siano gli altri candidati (nascosti) sarà difficile. Si possono delegittimare i padri, mai i nonni.