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 2021  dicembre 22 Mercoledì calendario

Intervista al ministro Cingolani

Ministro Cingolani, ieri il gas ha toccato l’ennesimo record a 182 euro al Mwh ad Amsterdam, a fine mese saranno fissate le nuove tariffe di luce e gas, si parla di aumenti del 50-60%, solo in parte calmierati dall’intervento del governo da 3,8 miliardi. Alcune stime ipotizzano rincari nell’ordine del 30%. Ed è il terzo trimestre choc. La situazione sta diventando insostenibile per le famiglie, ma soprattutto per le imprese.
«È indubbio che siè in una situazione difficile. Il Northstream2, il gasdotto che collega la Russia alla Germania bypassando l’Ucraina, dovrebbe stabilizzare in basso il prezzo del gas. Ma la crisi tra Russia e Ucraina, con gli Stati Uniti che stanno frenando Berlino, impatta pesantemente sui costi. Una specie di tempesta perfetta. L’Italia è riuscita a diversificare le fonti di approvvigionamento. Ma ha un energy-mix davvero povero e ora paga le scelte sbagliate del passato. Abbiamo fatto una politica implosiva: nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne produciamo solo 4,5, a fronte di un consumo pari a 72 miliardi di metri cubi. Importiamo tutto e quindi siamo vulnerabili».
Il governo ha stanziato oltre 8 miliardi finora. Non si poteva fare di più?
«Le risorse disponibili sono queste. Ma ora anche l’Europa si sta muovendo. Finora eravamo tutti d’accordo per aspettare di valutare fino a che punto questa crisi fosse contingente. Ma la situazione è diventata più tesa del previsto e potrebbe durare anche nel 2023. Le prossime settimane saranno decisive».
Ma c’è un piano?
«Certo, ci sono in corso tutte le simulazioni. E ci sono sul tavolo diverse opzioni, a partire dalla defiscalizzazione, da negoziare ovviamente con la Commissione. In Europa si è parlato molto anche di come viene calcolato il prezzo dell’energia agganciata al gas».
A che punto è il confronto?
«A gennaio dovrebbe esserci una interministeriale Ue sull’energia. Ogni Paese si sta facendo i conti».
E a livello nazionale, cosa si può fare di più?
«Al Mite stiamo valutando per esempio la cartolarizzazione degli incentivi».
Che cosa significa?
«Cartolarizzare significa di fatto aprire un mutuo e impegnarti a restituirlo nel tempo. C’è poi da valutare, appunto, il calcolo del costo dell’energia».
Si spieghi meglio, si riferisce forse alla compartecipazione degli extra profitti delle società elettriche di cui ha parlato anche il premier Draghi?
«Se produco l’idroelettico con impianti che sgorgano dai fiumi e con impianti che sono stati costruiti 30 o 40 anni fa e sono già ammortizzati, questo tipo di energia potrebbe non essere agganciata per esempio al costo del gas del giorno prima. Si tratta di energia che non ha quel costo. È una piccola cosa: però va fatta una riflessione che tenga conto della tempesta energetica».
L’Italia però potrebbe muoversi in anticipo rispetto all’Ue?
«Si può fare finché ci si muove nell’ambito di 3 o 6 mesi, come nel caso dell’Iva ridotta, per far fronte a un’emergenza. Cosa diversa è una riforma strutturale».
Quindi intanto l’Italia può pensare a un intervento contingente che recuperi gli extraprofitti fatti in questo modo?
«È una delle soluzioni, se ci rendiamo conto che le tensioni continuano. Naturalmente vanno coinvolti gli operatori».
Parliamo di profitti futuri. Alcuni analisti hanno calcolato in almeno 4 miliardi gli extra-utili fatti nell’ultimo anno da fonti verdi a costo zero.
«È così, anche se fare delle stime è prematuro».
Con i tempi dell’Europa non si rischia di arrivare tardi?
«L’Europa ha urgenza su questo. Il costo dell’energia è drammaticamente alto o ovunque».
Francia e Spagna hanno però gli stessi interessi.
«In realtà anche la Germania. Fa largo uso di carbone ma è cosciente dell’urgenza del phase out».
Ma noi paghiamo il conto più alto, anche per il carbone tedesco.
«È il prezzo per aver fatto certe scelte. Abbiamo deciso che era meglio comprare all’estero il gas invece di utilizzare il nostro. E ci troviamo a dover potenziare le rinnovabili il più rapidamente possibile. Ma non si fa in due anni. Quindi, nei prossimi 12-18 mesi dobbiamo muoverci anche in altre direzioni. Come quella di aumentare la produzione di gas nazionale con giacimenti già aperti».
Di quanto secondo lei?
«Potremmo aumentare di una quantità non esagerata. Magari raddoppiare i 4 miliardi di metri cubi attuali. Quindi rimane sempre una percentuale piccolina sui 72 che consumiamo. Ma si risparmia anche un po’ sull’Iva. Si possono poi fare degli accordi perché venga utilizzato per aziende nazionali ad un prezzo con il ministero vigilante. Ma ci vuole del tempo».
Di che risparmi parliamo?
«Dipende dal tipo di accordo che si raggiunge, sicuramente una riduzione interessante. Dobbiamo utilizzare tutte le frecce a nostra disposizione. Deve essere chiaro però che il problema non lo risolviamo con una sommatoria di piccoli interventi. Se la crisi non rientra in tempi ragionevoli ci vorrà una terapia da cavallo».
Intanto molte aziende stanno sospendendo la produzione.
«Di questo dobbiamo tenere conto a dovere. E sono le Pmi a pagare il conto più salato».
Passiamo al piano Ue, tra i temi più spinosi c’è la riforma del sistema Ets, i diritti ad inquinare, che dovrebbe essere esteso a edifici e trasporti. Significa pagare più caro il riscaldamento. Impossibile non ipotizzare aiuti per attutire il colpo.
«In questo momento sarebbe particolarmente duro. Vanno immaginati dei meccanismi di compensazione».
Stesso discorso per il phase out dei motori termici nuovi al 2035 nell’ambito del Fit for 55 destinato ad avere impatti devastanti sul settore auto.
«Non vuol dire che spariscono i motori, perché dureranno per almeno altri 15 anni. Anche qui però, vanno messi in conto degli incentivi per la riconversione degli stabilimenti. Cambia l’intero modello di business delle auto».
La Germania che è più avanti, non sarà così disponibile.
«Si è da poco insediato il nuovo governo. Ma è confortante la posizione condivisa tra Draghi e il cancelliere Scholz per rivedere gli aiuti di Stato».
La stessa commissaria Vestager ha aperto agli aiuti di Stato per progetti a gas riconvertibile per l’idrogeno.
«In uno scenario così inaspettato e complesso è ovvio che su alcune regole ora bisogna riflettere per avere maggiore flessibilità».
L’ Italia si gioca tutto sul Pnrr, cruciale per le rinnovabili. È già al lavoro la supercommissione VIA per velocizzare le autorizzazioni del caso?
«È questione di giorni».
Il Mite ha in mano 35 miliardi di Pnnr. Ma sono i Comuni, poco attrezzati, a dover scaricare a terra i progetti.
«Gli daremo una mano. Abbiamo attivato dei tavoli con la Conferenza Stato Regioni e con Comuni e Province capire quali progetti si possono far partire subito con accordi di programma».
Chi monitorerà sul Pnrr?
«Un dipartimento nuovo guidato da Paolo D’Aprile da gennaio: a regime saranno 70-80 persone».