Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2021
Secondo Erdogan, la Turchia rimborserà le perdite dei risparmiatori
Un piano d’emergenza per i risparmiatori. In sostanza un rialzo dei tassi selettivo che corregge, ma solo in piccola parte, i tagli dei tassi decisi dalla banca centrale per contrastare – “omeopaticamente”, si potrebbe dire – la forte inflazione e che ha interrotto la flessione della lira. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha varato lunedì misure di emergenza per proteggere gli investitori dalla flessione del cambio ed evitare la dollarizzazione del paese.
I rendimenti dei depositi in lira, in particolare, non potranno essere inferiori alla svalutazione della moneta. Se la lira perdesse il 20% del proprio valore, i rendimenti non potrebbero essere inferiori a quel livello, il 20%. In questo senso la misura è un rialzo dei tassi “nascosto”. La differenza tra il tasso di mercato e quello “legale” sarà a carico del bilancio dello Stato, con un evidente aggravio del debito pubblico. La misura si applicherà solo alle persone fisiche, non alle imprese, che detengono depositi di durata da tre a 12 mesi. Il rialzo dei tassi “nascosto” è dunque selettivo e non generalizzato. Non riguarda le aziende che, nelle intenzioni di Erdogan, dovrebbero beneficiare dal basso costo del credito e dalla flessione della lira oltre che del taglio di un punto percentuale nelle imposte sui redditi delle imprese.
Il provvedimento vuole bloccare – oltre alla perdita di riserve valutarie per la difesa del cambio – la tendenza alla sottoscrizione di depositi in moneta straniera, ormai pari alla metà di tutti i depositi del Paese e quindi frenare la flessione della lira, che incide – in modo particolarmente rapido nelle ultime settimane – sui salari reali, in un paese le cui importazioni sono pari al 30-33% del pil (in Italia, prima della pandemia, erano circa 10 punti di meno).
«D’ora in poi – ha detto esplicitamente Erdogan, dopo la riunione del governo di lunedì – i nostri cittadini non convertiranno i loro depositi dalla lira turca alle valuta straniere nel timore che il cambio sarà più alto». Il presidente ha anche escluso controlli nei flussi di capitale, esprimendo il suo impegno a rispettare le regole del mercato.
Se però, dopo la fiammata di lunedì sera e ieri – il cambio è passato dal minimo storico di lunedì a 18,36 per un dollaro fino a 11,09 (pari a un apprezzamento della moneta turca del 64,7%), dopo la vendita di oltre un miliardo di dollari – la moneta tornasse a calare il peso per i bilanci pubblici sarebbe enorme e la tentazione di finanziare il nuovo debito creando base monetaria potrebbe alimentare l’inflazione, già sottoposta a pressioni da diversi fattori.
Da settembre la lira turca ha perso il 50% del suo valore: la banca centrale, di fronte a un’inflazione salita al 21% e diretta verso il 30% l’anno prossimo, ha abbassato, cedendo a pressioni politiche, i tassi di riferimento di cinque punti percentuali, portandoli al 14 per cento.
È stata una mossa decisamente non convenzionale. L’ipotesi su cui si basa – detta “neofisheriana” – è che i tassi bassi riducano le aspettative di inflazione (anche se l’approccio neofisheriano potrebbe, al limite e solo in via molto astratta, non verificata empiricamente, funzionare al contrario, alzando i tassi quando l’inflazione è troppo bassa) e possano portare – «in qualche mese», ha detto Erdogan – l’inflazione in basso, verso il 4% (l’obiettivo è attualmente del 5%). I tassi bancari sui depositi sono un po’ più elevati del 14% della banca centrale e si spingono al 16-18%.
Al momento, sembra che Erdogan abbia soprattutto guadagnato un po’ di tempo. Il debito pubblico del Paese era pari al 39,8% a fine 2020 ed è previsto (dall’Fmi) in calo al 37,8% in questo 2021. Anche se la soglia di “allarme” per i paesi emergenti è più bassa rispetto a quelli avanzati, è un dato che permette un certo spazio di intervento a sostegno del risparmio interno.
Per qualche tempo, appunto. Diversi analisti nel paese pensano ora che il presidente – malgrado le sue smentite – abbia davvero l’intenzione di indire elezioni anticipate rispetto alla naturale scadenza di metà 2023, per godere di un consenso in crescita che potrebbe però non durare ancora molto a lungo.
Il «Nuovo programma economico» di Erdogan, in realtà, non si limita all’intervento sui risparmi. Oltre al taglio di un punto percentuale sulla corporate tax, il Governo ha azzerato le imposte sui titoli di Stato (oggi sono al 10%) e ha portato al 30%, dal 25% i contributi al sistema pensionistico volontario. La settimana scorsa, il governo ha anche approvato per il 2022 un aumento del 50% del salario minimo azzerando le imposte.