ItaliaOggi, 22 dicembre 2021
Estrarre gas dall’Adriatico costa 5 cent, ma l’Italia preferisce importarlo a 70 cent
Su questo Natale aleggia l’ennesima promessa di una riduzione del carico fiscale ma pure la certezza che gli eventuali vantaggi saranno annientati dal caro-bollette. La schizofrenia del prezzo dell’energia metterà a dura prova le famiglie ma anche le imprese. L’aumento del 400% del prezzo del gas è un fattore destabilizzante. A cominciare dalle associazioni dei consumatori si sta levando un coro di proteste oltre che di richieste di provvedimenti di calmieramento (a spese della finanza pubblica, cioè delle imposte).
Peccato che nessuno osi, forse per paura dell’impatto mediatico di gruppetti e comitati vari, affrontare il tema dell’approvvigionamento del gas, nel senso che il nostro Paese potrebbe evitare di dovere soccombere alle pretese dei monopolisti stranieri (spesso condite con ricatti politici) estraendo un po’ del gas che ha in casa, soprattutto sotto i mari. Un tempo questo gas veniva estratto, coi relativi benefici. Poi è incominciata l’operazione-terrore da parte di chi ha dipinto le trivelle come pericolosi missili conficcati dentro la crosta terrestre. Questi gruppuscoli sono stati cavalcati da una politica imprevidente e hanno finito per imporre lo stop alle trivelle, cioè al gas.
Con due risultati: il primo è che dobbiamo acquistare a un prezzo sempre più caro il gas all’estero, a cominciare dalla Russia e con royalties per tutti i Paesi attraversati dai gasdotti, il secondo è che non potendo impedire le trivellazioni da parte dei Paesi che si affacciano sull’Adriatico, in primo luogo la Croazia, e poiché i giacimenti non conoscono i confini, ecco che gli altri prelevano il gas che potrebbe essere nostro, con tanti ringraziamenti. Infatti chi arriva si prende tutto, secondo un effetto-granita: la prima cannuccia che giunge al fondo succhia tutto lo sciroppo. Così il Paese, malato di ideologismo, si ritrova cornuto e bastonato.
C’è poi un’evidente contraddizione verde: da un lato gli ambientalisti spingono verso l’energia pulita, col gas protagonista di questa transizione, dall’altra impedendone l’estrazione lo fanno mancare sul mercato.
Anche qui, come per il Covid, impazza l’antiscienza. Gli esperti di tutto il mondo garantiscono che l’estrazione del gas non provoca problemi di subsidenza, cioè di abbassamento del suolo. I contestatori invece dipingono scenari con l’ambiente devastato. La ricerca scientifica contro la demagogia populista. Del resto un Paese ecologico come la Norvegia continua tranquillamente a trivellare e ad estrarre gas e petrolio. E così il governo di Zagabria che sta indicendo gare a man bassa, l’Eni ne vince una parte ed è già al lavoro mentre non può fare quasi nulla nel mare Adriatico italiano. Dalle spiagge romagnole si vedono le trivelle di Zagabria andare a pieno regime e creare ricchezza. Lo stesso copione di quando c’è il fermo pesca. Le nostre barche non vanno in mare e compriamo il pesce dai croati che continuano a pescare.
A mettersi di traverso sono associazioni come Greenpeace, Legambiente e Wwf: «Due crisi parallele minacciano la vita sulla Terra: la crisi climatica e la perdita di biodiversità. Dare la priorità all’esplorazione dei combustibili fossili rispetto alla protezione della fauna selvatica le aggrava entrambe». Sui social, poi, c’è chi paventa terremoti e tsunami. A simpatizzare coi No-Triv sono pure il presidente della Puglia, Michele Emiliano, l’assessore al Territorio della giunta Zaia, in Veneto, Cristiano Corazzari, poi ci sono i 5stelle e politici sparsi e bipartisan, a loro agio con gli slogan.
Per una volta Confindustria e sindacati sono d’accordo. Si tratta di salvare l’industria estrattiva italiana (10mila lavoratori diretti, il triplo nell’indotto). Già in passato avevano scritto al governo: «Esprimiamo preoccupazione per le ricadute negative che il provvedimento di sospensione produrrà in termini di riduzione della produzione nazionale, in un settore strategico per gli interessi del Paese e di aumento della dipendenza energetica. Le imprese che operano nel settore stanno lavorando per conciliare sempre di più l’attività industriale con il rispetto delle procedure di salvaguardia ambientale, adottando tutte quelle forme di prevenzione che hanno consentito una sana convivenza dell’industria con attività diverse quali ad esempio la pesca, lo sviluppo del turismo e il benessere delle comunità in generale». Nessuna risposta. Ci riproveranno con Mario Draghi.
Franco Nanni è stato riconfermato in ottobre presidente dell’Associazione delle imprese contrattiste offshore: «Vogliamo uccidere un settore con eccellenze mondiali nella fabbricazione di componenti che lavorano anche in acque profonde? Non ci sono rischi: dovrebbe fuoriuscire una quantità enorme e assurda di materiale: non è mai successo. Ma per fare presa sulla gente si dicono grandi fesserie, bufale. Si arrivano a prospettare terremoti, subsidenze. Non ci sono evidenze scientifiche, quindi sono fake, chiacchiere da bar».
Nel 2006 venivano estratti, nei nostri mari, 10 miliardi di metri cubi di gas rispetto agli 86 miliardi consumati, oggi l’estrazione è di circa 4 miliardi di metri cubi su un consumo complessivo di 71 miliardi di metri cubi. In pratica anziché sforzarci di aumentare l’autoproduzione si va verso l’azzeramento e quindi il caro bollette non è che all’inizio. In un anno, dall’autunno del 2020 ad oggi, la bolletta per imprese e famiglie è salita del 250%, come riportano i dati dell’autorità Arera.
Aggiunge Nanni: «Addirittura c’è chi mette in relazione le attività estrattive con l’inquinamento marino ma analisi super partes hanno dimostrato che è quasi nullo, pari allo 0,1% del totale mentre il 60% deriva da scarichi civili e industriali e il 40% dai fumi delle navi».
In questa situazione che dire delle stime dell’Ufficio minerario? Le riserve accertate di gas in territorio italiano ammontano a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo tra 120 e 200 miliardi, per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro. Un tesoro che non viene sfruttato. L’estrazione in Adriatico costa 5 centesimi al metro cubo, il gas importato ci costa 50-70 centesimi.
Dice Davide Tabarelli, a capo di Nomisma-Energia: «Ci vorrebbe la forza e la lungimiranza di autorizzare nuove trivellazioni sotto il nostro mare. Nuove estrazioni ci farebbero risparmiare soldi senza controindicazioni. La nostra produzione potrebbe essere di 13 miliardi di metri cubi l’anno in più. Lasciamo sottoterra almeno 8 miliardi di euro e diamo soldi serenamente sotto forma di pagamenti a Russia, Norvegia, Libia, Algeria, Azerbaijan e Qatar. Noi paghiamo e Putin produce armi, noi paghiamo e la Libia ci manda i migranti».
Infine Claudio Descalzi, ad di Eni, chiosa: «Negli ultimi 10 anni l’Eni in Italia ha perforato solo tre pozzi esplorativi, tutti e tre onshore».